22 Maggio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DELLA DIPENDENTE CHE IGNORA PLATEALMENTE IL RICHIAMO DEL SUO SUPERIORE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 10435/2023 DEL 19 APRILE 2023

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10435, depositata il 19 aprile 2023, ha statuito l’illegittimità del licenziamento qualora non sia possibile catalogare come grave l’episodio che ha comportato il provvedimento espulsivo.

Nella fattispecie in esame, una dipendente di una residenza assistenziale per anziani impugnava il licenziamento comminatole per aver, in modo plateale, ignorato il richiamo di un suo superiore. Una sera, infatti la ricorrente si rivolgeva al coordinatore infermieristico, che le rammentava le corrette procedure di messa in sicurezza della sala da pranzo, da lei nell’occasione inosservate, voltandogli le spalle ed allontanandosi da lui mentre le parlava e, accompagnando l’esclamazione con ampio e derisorio gesto del braccio, esclamava: “Ma va’, va’”. Secondo l’azienda datrice di lavoro si trattava di un contegno scorretto ed offensivo della lavoratrice, avente mansioni di addetta alle cure igieniche della persona, rifacimento letti, pulizia locali e assistenza ai pazienti, nonché rappresentante per la sicurezza dei lavoratori, nei confronti di un suo superiore gerarchico, così grave da legittimarne il licenziamento. Il Tribunale di Velletri dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre alle spese processuali.

La Corte d’Appello, ritenendo che la presunta insubordinazione della lavoratrice non fosse sufficiente a giustificarne l’allontanamento definitivo dalla struttura, in parziale riforma della sentenza di primo grado, annullava il licenziamento intimato e condannava la società alla reintegrazione del dipendente nonché al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a n. 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Il comportamento contestato, infatti, rientrava tra gli illeciti per i quali la contrattazione collettiva prevede sanzioni esclusivamente conservative, pertanto l’episodio doveva essere ritenuto insubordinazione non connotata da particolare gravità.

Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla società, che, difatti, vedeva confermato l’obbligo di reintegrare in servizio la lavoratrice: anche per i Giudici Supremi, difatti, l’episodio che aveva portato alla lettera di licenziamento non era davvero grave. Gli Ermellini, tenuto presente ogni aspetto concreto della vicenda, ritenevano che quello tenuto dalla lavoratrice era stato “un comportamento rimasto a livello verbale nell’ambito di uno scambio di vedute contrapposte tra un operatore ed il suo coordinatore”, sottolineando che peraltro “la condotta, oltre a non essere connotata da violenza, né fisica né verbale, non ha determinato ripercussioni specifiche e significative a livello aziendale né è emerso alcun pericolo o danno per utenti o colleghi e per il patrimonio aziendale”.

IL DOVERE DI FORMAZIONE IN CAPO AL DIPENDENTE È PIENA ESPRESSIONE DELLA COLLABORAZIONE E DILIGENZA CON CUI IL DIPENDENTE STESSO È CHIAMATO AD ADEMPIERE LA SUA ATTIVITÀ SUL POSTO DI LAVORO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12241 CASSAZIONE CIVILE SEZ. LAV. 09/05/2023

Deve essere confermato il licenziamento intimato al lavoratore che tiene una condotta gravemente insubordinata, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l'obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego dello stesso

Il dovere di formazione in capo al dipendente è piena espressione della collaborazione e diligenza con cui il dipendente stesso è chiamato ad adempiere la sua attività sul posto di lavoro, a norma dell’art. 2014 c.c. Così ha statuito la Corte di Cassazione in merito alla controversia posta in essere da un lavoratore che ha rifiutato di seguire la formazione offerta dall’azienda, necessaria per una corretta assistenza dei clienti della stessa. In particolare la Corte territoriale aveva già accertato che il lavoratore si era rifiutato di approfondire lo studio dei sistemi operativi, come richiestogli dal suo diretto superiore gerarchico, sebbene non impegnato in altre commesse; aveva inoltre accertato che la formazione sollecitata non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero, risultando infondate le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio rifiuto; i giudici di appello, poi, hanno appurato che il lavoratore aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso un cliente, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi presso questa società sebbene rientranti nelle sue competenze sistemistiche generali; hanno giudicato la condotta di insubordinazione di rilevante gravità e la sanzione espulsiva quale misura proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente.

Entrambe le valutazioni delle Corti di merito sono state ritenute dalla Suprema Corte non adeguatamente censurate dal lavoratore e pienamente rispondenti al dettato normativo, anche nella valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva.

FACOLTA' DI RECESSO PER G.M.O. IN CASO DI RIFIUTO DI TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO IN PART-TIME

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 12244 DEL 9 MAGGIO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 12244 del 9 maggio 2023, ha statuito che in caso di rifiuto di trasformazione del rapporto da lavoro da full time a part-time, il divieto di licenziamento ex art. 8 del D.lgs. 81/2015 non è assoluto ma opera laddove il recesso, non motivato da ragioni di carattere organizzativo, costituisca una mera ritorsione del datore di fronte al diniego del lavoratore di aderire a una proposta di riduzione dell'orario di lavoro.

Il caso esaminato ha riguardato l'impugnazione giudiziale del licenziamento per g.m.o. irrogato alla dipendente all’esito del suo rifiuto di trasformare il proprio orario di lavoro da tempo pieno in part-time richiesto dal datore di lavoro per intervenute questioni di esubero.

La Corte d’Appello accoglieva parzialmente la domanda poichè, pur riconoscendo sì l’insufficienza ma non l’inesistenza del giustificato motivo addotto dalla società, non riteneva assolto l’onere di prova sulla natura squisitamente ritorsiva del recesso.

La Corte di Cassazione, confermando il decisum, ha rilevato preliminarmente che l’art. 8 del d.lgs. 81/2015 prevede che “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

Dunque, è sicuramente illegittimo, perché in contrasto con il divieto di cui si discute, il licenziamento che costituisce una ritorsione del datore di lavoro nei confronti del dipendente che ha rifiutato di aderire a una proposta di modifica dell’orario di lavoro. D’altro canto, il divieto deve essere applicato cum grano salis, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e, da ultimo, dalla sentenza in commento. Infatti, poiché il datore di lavoro non può modificare unilateralmente l’orario del lavoratore, se viene meno la possibilità di utilizzare proficuamente la prestazione di quest’ultimo a tempo pieno potrebbe sorgere una ragione oggettiva che legittima il licenziamento per soppressione del posto di lavoro. rifiutante

Ovviamente il datore di lavoro che licenzi il lavoratore a seguito del rifiuto della proposta di riduzione dell’orario ha l’onere di dimostrare: la sussistenza effettive di esigenze economico-organizzative in base alle quali la prestazione non può essere mantenuta a tempo pieno, l’avvenuta proposta di riduzione dell’orario di lavoro rifiutata dal dipendente nonché il nesso causale tra le esigenze di riduzione ed il licenziamento.

Ciò non esclude che, in linea generale, il licenziamento possa costituire una ritorsione al rifiuto, tuttavia, perché possa dichiararsi la nullità del licenziamento, occorre che il lavoratore provi a sua volta l’efficacia determinante esclusiva dell’intento ritorsivo, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso.

L'AVVISO DI ACCERTAMENTO È AFFETTO DA NULLITÀ LADDOVE SIA FONDATO SU MOTIVI D'IMPOSIZIONE DISTINTI ED INCONCILIABILI
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 13620 DEL 17 MAGGIO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°13620 del 17 maggio 2023 – ha statuito la illegittimità dell’accertamento fondato su ragioni contraddittorie tra loro.

Nel contesto di un più ampio ventaglio di rilievi, era scaturita la notifica di cinque avvisi di accertamento nei confronti di una Spa sul presupposto che avesse rappresentato componenti passive di reddito non deducibili, mediante la contabilizzazione di fatture per prestazioni inesistenti, non inerenti e non obiettivamente determinabili. In particolare, l’Ufficio aveva argomentato la propria pretesa sulla scorta della mancanza del requisito di certezza delle spese per la loro determinazione e sulla sproporzione rispetto alla prestazione di servizio remunerata.

La società impugnò gli avvisi innanzi alla Commissione tributaria di primo grado della Provincia di Trento, la quale, riuniti i ricorsi, li accolse solo parzialmente.

La Commissione di secondo grado respinse il gravame principale osservando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente, il fatto che i rilievi erariali fossero sorretti da plurime ragioni, anche apparentemente contraddittorie fra loro, non comportava la nullità degli atti impositivi, e ciò sia perché “nessuna norma di legge fa discendere la nullità degli atti amministrativi da un vizio di contraddittorietà della motivazione”, sia perché, in ogni caso e come ritenuto dai giudici di prime cure, nel caso di specie si era trattato “di scarsa rigorosità motivazionale più che di contraddittorietà della motivazione”.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso confermando che la motivazione dell’atto impositivo, al pari di quella di ogni provvedimento amministrativo, è funzionale alla salvaguardia delle garanzie di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità che devono connotare l’azione dell’Amministrazione, da ricondurre, a loro volta, alle esigenze di razionalità e non arbitrarietà del potere discrezionale, riconosciute dall’art. 97, comma secondo, della Costituzione.

Per altro verso, hanno continuato gli Ermellini, nell’ottica del destinatario dell’atto, la motivazione è anche strumentale alla comprensione del percorso decisionale dell’autorità, in vista della possibile impugnazione, in termini riconducibili ai diritti riconosciuti dagli artt. 24 e 103 Cost.

In quest’ultimo senso, la motivazione dell’atto impositivo assume una connotazione rilevante anche per il giudice dell’eventuale contenzioso sullo stesso, poiché costituisce il principale, se non l’unico, elemento utilizzabile ai fini del relativo sindacato. Di conseguenza, hanno concluso gli Ermellini, se è ben possibile che un atto impositivo sia fondato su motivazioni concorrenti – utilizzate dall’Erario nell’ottica di una complessiva connotazione della condotta del contribuente posta a monte della pretesa – è tuttavia necessario che, in tal caso, il ricorso ad una pluralità di ragioni non frustri l’esigenza di rispettare il vincolo funzionale al quale è destinato l’obbligo di motivazione.

LA GRAVITÀ DELLO STATO DI DISABILITÀ NON È RILEVANTE PER LA FRUIZIONE DELL’ESONERO DAL LAVORO NOTTURNO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 12649 DEL 10 MAGGIO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 12649 del 10 maggio 2023, statuisce, ai fini della fruizione dell’esonero dal lavoro notturno previsto dall’art. 11 del D. Lgs. n. 66/2003, che l’unica condizione richiesta sia la presenza di un soggetto disabile a carico del lavoratore, non essendo al contrario richiesta la sussistenza di una situazione di disabilità grave.

Nel caso de quo il lavoratore adiva il Tribunale per veder accertato il proprio diritto a non prestare lavoro notturno, per la presenza a suo carico di un soggetto disabile, ai sensi della Legge n. 104/1992.

Sia il Tribunale, che la Corte d’Appello accoglievano la domanda, ritenendo che la normativa in materia non richiedesse, ai fini della possibilità di esonero dai turni notturni, la dichiarazione di gravità dello stato di handicap del familiare a carico del lavoratore.

Il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ritenendo il ricorso infondato, afferma che nell’ambito delle limitazioni al lavoro notturno previste per particolari esigenze familiari del lavoratore, ex art. 11 del D. Lgs. n. 66/2003, non possano essere obbligati a prestare lavoro notturno, tra gli altri, i lavoratori che abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della Legge n. 104/1992. L’esonero è rimesso alla volontà del lavoratore, che dovrà eventualmente esprimerlo in forma scritta al datore di lavoro.

Dal disposto normativo, affermano gli Ermellini, emerge che per fruire dell’esonero occorre che vi sia la presenza di un soggetto disabile ex Legge n. 104/1992, mentre, non essendo specificato dal legislatore, non risulta necessario, al contrario, che la condizione di disabilità sia riconosciuta come grave, né può giungersi a questa conclusione dalla circostanza che la disposizione normativa preveda che il disabile sia “a carico”, giacché quest’ultima condizione non rappresenta un elemento dirimente della questione, indicando una mera relazione di assistenza che deve sussistere tra lavoratore e disabile. A conferma di questa tesi il tradizionale canone ermeneutico “Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, infatti, se il legislatore avesse inteso subordinare la concessione di un beneficio alla circostanza della sussistenza di un grave handicap, lo avrebbe esplicitamente richiesto, come nel caso di altre disposizioni normative in materia.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 1 Agosto 2023