3 Ottobre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

SONO MONETIZZABILI LE FERIE NON GODUTE DELLA DIPENDENTE DELLA P.A., CHE NON HA POTUTO FRUIRNE IN QUANTO IN CONGEDO DI MATERNITÀ

CORTE DI CASSAZIONE- ORDINANZA N.19330 DEL 15 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 19330 del 15 giugno 2022, afferma la possibilità di monetizzazione delle ferie non godute della dipendente pubblica, nel caso in cui le stesse non siano state fruite nei periodi di congedo obbligatorio di maternità.

Nel caso in oggetto, una lavoratrice dimissionaria dipendente di una P.A. adiva il Tribunale per chiedere il pagamento della indennità sostitutiva per ferie non godute, delle quali la stessa non aveva potuto fruire, in quanto si trovava in congedo obbligatorio per maternità sino alla data delle sue dimissioni.

Se in primo grado la domanda della dipendente veniva accolta, la Corte d’Appello, riformando la sentenza dei Giudici di prime cure, afferma che il rigetto della domanda trova fondamento nell’applicazione dell’art. 5 comma 8, del D.L. n. 95/2012, convertito in Legge n. 135/2012, norma che impedisce la monetizzazione delle ferie non godute, avendo tra l’altro la giurisprudenza delimitato l’ambito applicativo della stessa ai casi in cui l’estinzione del rapporto derivi da cause conoscibili con largo anticipo o comunque riconducibili alla volontà del lavoratore.

La lavoratrice ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, pur affermando la corretta interpretazione della norma effettuata dalla Corte territoriale, richiama la pronunzia della Corte Costituzionale n. 96/2016, con la quale il Giudice delle leggi ha precisato che, sia il dato letterale della norma, che la sua ratio, fanno riferimento al divieto di monetizzazione per le fattispecie di cessazione del rapporto di lavoro riconducibili ad una scelta o ad un comportamento del lavoratore (dimissioni e risoluzione) o ad eventi quali la mobilità, il pensionamento o il raggiungimento dei limiti di età, che consentirebbero comunque di pianificare per tempo la fruizione del periodo di riposo e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro e quelle del lavoratore, contrastando in questo modo l’uso abusivo della monetizzazione delle ferie, per riaffermare il valore primario del godimento effettivo del periodo di riposo.

Quanto affermato nell’art. 5 del richiamato D.L. n. 95/2012 non è quindi certamente riconducibile al caso in oggetto, in quanto la dipendente, in congedo obbligatorio per maternità, non aveva goduto delle ferie spettanti per causa a lei non imputabile, pertanto, per le ragioni esposte, la sentenza viene cassata con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione.


L'INTIMAZIONE DI PAGAMENTO NON RICHIEDE L'ALLEGAZIONE DELLA MOTIVAZIONE ESSENDO SUFFICIENTE L'INDICAZIONE DELLA CARTELLA NON PAGATA E GIA' NOTIFICATA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.21065 DEL 4 LUGLIO 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°21065 del 4 luglio 2022 – ha (ri)confermato la validità dell'avviso di intimazione recante il solo riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata.

La vicenda in esame trae origine dalla impugnazione di una intimazione di pagamento (id: art. 50, DPR n.602/73 – Riscossione coattiva) emessa nei confronti di una società contribuente. In particolare la società intimata si doleva che l'atto non contenesse elementi essenziali quali un'idonea motivazione, l'indicazione dei termini e della autorità dinnanzi alla quale ricorrere, il tasso ed il metodo di calcolo degli aggi e degli interessi.

Il ricorso veniva accolto e la relativa sentenza veniva confermata anche in grado d’appello dalla CTR Lombardia, poiché il contenuto dell’atto notificato non consentiva di comprendere le ragioni della richiesta di pagamento.

Per la cassazione della sentenza la società incaricata alla riscossione ha proposto ricorso contestando l'operato della CTR che non aveva posto nella giusta relazione l'obbligo della motivazione con le finalità della notifica dell'intimazione.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto  il ricorso evidenziando che  l'intimazione di pagamento  è un atto vincolato, in quanto redatto in relazione ad un modello ministeriale,  avente come contenuto l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni; ne consegue che lo stesso non è annullabile a causa della insufficienza della motivazione.

In particolare, la norma esclude che i soggetti interessati possano far valere vizi inerenti al contenuto di tali provvedimenti proprio perché non influenti sul diritto di difesa ed in genere inidonei ad incidere sulla causa del provvedimento.

Pertanto, hanno continuato gli Ermellini, una volta che il contenuto dell'avviso di intimazione non si differenzi da quanto indicato nel modello ministeriale, resta esaustivo il solo riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata e appare fuorviante parlare di mancanza di motivazione. Il contenuto dell'atto, hanno concluso gli Ermellini, nello specifico, era in grado di rendere edotto il contribuente delle ragioni della emissione dell'intimazione. La CTR avrebbe dovuto considerare che per la validità della motivazione era sufficiente che il contribuente fosse stato messo in grado di conoscere la pretesa tributaria nell'an e nel quantum, cosa avvenuta con il riferimento alla cartella precedentemente notificata, ed esercitare il suo diritto di difesa contestando per esempio l'avvenuta notifica dell'atto prodromico, o che tale atto era venuto meno vuoi per il pagamento o per prescrizione. Essendo il riferimento alla cartella già notificata specifico e concreto, in grado di garantire la difesa del contribuente e la sua effettiva possibilità di contestazione, non si poteva assolutamente discutere sulla mancanza di motivazione dell'intimazione.


LE MISSIONI SUCCESSIVE ASSEGNATE AL MEDESIMO LAVORATORE TRAMITE AGENZIA INTERINALE PRESSO LA STESSA IMPRESA UTILIZZATRICE POTREBBERO ELUDERE L'ESSENZA DELLE DISPOSIZIONI DELLA DIRETTIVA CE 2008/104

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 22861/2022 DEL 21 LUGLIO 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22861 del 21 luglio 2022, ha stabilito che le missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice potrebbero eludere l'essenza stessa delle disposizioni della Direttiva CE 2008/104 e potrebbero costituire abuso di tale forma di rapporto di lavoro, specialmente quando non venga fornita alcuna spiegazione al fatto che un'impresa utilizzatrice ricorra a tale successione di contratti. In tale ipotesi spetta al giudice nazionale verificare se una delle disposizioni della Direttiva 2008/104 venga aggirata e ciò anche se sia maturata la decadenza prevista dall'art. 32, L. n. 183/2010 per l'azione di costituzione di un rapporto di lavoro in capo all'utilizzatore.

Nel caso in trattazione, infatti, un lavoratore assunto con una pluralità di contratti di somministrazione a tempo determinato presso la medesima impresa utilizzatrice, in un arco temporale di circa 8 anni, chiedeva al Tribunale l'accertamento della nullità dei reiterati contratti di somministrazione e il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal primo contratto o, in subordine, a decorrere dall'inizio del primo contratto di cui fosse accertata l'illegittimità. Il Tribunale respingeva la domanda per l'intervenuta decadenza del lavoratore dal diritto di impugnazione, ai sensi dell'art. 32, L. n. 183/2010. La Corte d'Appello rigettava il ricorso ribadendo l'intervenuta decadenza dall'azione, ad eccezione che per l'ultimo contratto, la cui impugnativa era da ritenersi tempestiva. Quest’ultimo rapporto, tuttavia, veniva ritenuto legittimo essendo stato stipulato nella vigenza del dettato di cui al D.lgs. n. 81/2015, che aveva eliminato la necessità di indicazione delle causali giustificatrici dell'apposizione del termine al contratto di lavoro.

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso il lavoratore sostenendo la violazione dell'art. 117 Cost., comma 1, in relazione alla Dir. n. 2008/104/CE, art. 5.5, sul lavoro tramite agenzia interinale. Il ricorrente, in particolare, osservava che l'invio in successive missioni corrispondenti a non meno di dieci contratti di somministrazione a tempo determinato e per complessivi 1.596 giorni lavorativi, pari a oltre 65 mesi, costituisse una elusione delle norme sia interne che del diritto dell'Unione che qualificano il rapporto a tempo indeterminato come la forma ordinaria di rapporto di lavoro, rispetto al quale i rapporti precari si pongono in termini di eccezione rispetto alla regola. Il lavoratore, infatti, censurava la decisione resa sull'ultimo contratto, stipulato nella vigenza del decreto legislativo n. 81/2015, per il quale la Corte territoriale aveva limitato la propria valutazione alla verifica del rispetto del termine decadenziale previsto dal citato art. 32 e, accertata la sua osservanza soltanto per ciò che concerneva l'ultimo contratto di somministrazione, del 2016, ne aveva considerato la liceità, poiché non più soggetto ai vincoli di motivazione delle norme anteriori.

La Corte Suprema osservava che la Direttiva CE n. 104/2008 impone agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie affinché un lavoratore non venga assegnato a ripetute missioni, di fatto rendendo permanente l'impiego del lavoratore presso il medesimo utilizzatore, tramite la stessa agenzia interinale, eludendo così il dettato della direttiva comunitaria. Allo scopo richiamava la sentenza della Corte di giustizia europea del 17 marzo 2022, n. 232/20, con la quale si affermava che missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice eludono l'essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto compromettono l'equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest'ultima. La Corte Europea affermava, inoltre, che qualora in un caso concreto non venga fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l'impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della direttiva 2008/104 venga aggirata; a maggior ragione laddove ad essere assegnato all'impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale.

Tenendo presenti tali principi di diritto comunitario, la Cassazione rilevava che il giudice di merito non aveva compiuto le valutazioni cui era tenuto al fine di verificare l'elusione o meno delle norme imposte dalla Direttiva 104/20008 ma si era limitato ad accertare l'intervenuta decadenza dall'azione ai sensi dell'art. 32, L. n. 183/2010. L'istituto della decadenza, tuttavia, non preclude un'azione giudiziale volta a far accertare diversi profili di danno estranei a quelli per cui è prevista la decadenza stessa e, nel caso in esame, questa non può andare ad incidere sulla decisione del giudice riguardo al se le reiterazioni di missioni del lavoratore presso la stessa impresa avessero oltrepassato il limite ragionevole di durata affinché la missione stessa si potesse considerare "temporanea". In conclusione, secondo la Suprema Corte, tale valutazione non era stata compiuta dai giudici di merito e dunque la sentenza impugnata veniva cassata con rinvio ad altra Corte d'Appello.


SI PUÒ APPLICARE LA RISCOSSIONE FRAZIONATA IN CASO DI AVVISO DI RECUPERO CREDITO D’IMPOSTA

Corte di Cassazione – Ordinanza n. 23289 del 26 luglio 2022

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.23289 del 26/07/2022, ha statuito che, anche all'avviso di recupero di credito d'imposta è applicabile la disciplina della gradualità dell'iscrizione a ruolo disciplinato dall'art. 15 del DPR n. 602/1973, in quanto gli avvisi di recupero di crediti d'imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione.

In dettaglio, i Giudici di piazza Cavour, si sono espressi in rigetto delle doglianze con cui l'Agenzia delle Entrate aveva impugnato la decisione della CTR nell'ambito di una causa tributaria avente ad oggetto l'opposizione di una cartella di pagamento notificata a una Srl, a seguito di atto di recupero per credito IVA, confermando, in definitiva, la sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che il regime dell'iscrizione a ruolo frazionato in pendenza del giudizio sull'atto prodromico, previsto dagli artt. 15 del DPR n. 602/73 e 68, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 546/1992, trovasse applicazione anche con riferimento all'avviso di recupero dei crediti, essendo, quest'ultimo, assimilabile all'avviso di accertamento.

Con l’ordinanza de qua, gli Ermellini hanno ribadito quanto già affermato in precedenti pronunce, come l’avviso di recupero dei crediti e avviso di accertamento siano sostanzialmente equiparabili, e nel caso di specie in particolare, proprio alla luce di tale assimilazione è stato precisato che il termine dilatorio di 60 giorni dalla conclusione della verifica fiscale previsto dall'art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 è applicabile anche all'avviso di recupero del credito d'imposta, con conseguente illegittimità dell'atto di recupero emesso ante tempus.

In nuce, per la S.C. se è vero che la disposizione in esame è espressamente riferita a imposte, contributi e premi "corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi", mentre nel caso del recupero di crediti d'imposta non si discute dell'entità dell'imponibile, è comunque innegabile che la norma che accorda un credito d'imposta contribuisce a definire l'entità della somma concretamente dovuta dal contribuente, cosicché il diniego o la revoca del credito implicano anche essi accertamento della debenza del tributo.


IN PRESENZA DI LAVORATORI IN NERO E’ PLAUSIBILE IL RICORSO ALL’ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE – ORDINANZA 25210 del 24/08/2022

La Corte di Cassazione ribadisce che il ricorso ad un accertamento analitico-induttivo è possibile anche quando venga ritenuta attendibile la contabilità, ma emergano comunque degli elementi che possano far presupporre l’esistenza di componenti di reddito non dichiarati.

Nel caso in esame la Corte esamina un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza di annullamento della ripresa a tassazione di redditi non dichiarati, derivanti da un avviso di accertamento di tipo analitico induttivo ex art.39 DPR 600/1973 emesso a carico di un’impresa nei cui confronti era stato redatto un p.v.c. nel quale era stato rilevato, tra l’altro, l’utilizzo di lavoratori in nero.

La presenza di tali elementi aveva provocato il convincimento negli accertatori di una redditività ben diversa da quella dichiarata dall’impresa, giacché l’utilizzo di tali lavoratori faceva presupporre l’esistenza di ulteriori redditi non dichiarati, e quindi aveva portato all’emissione dell’avviso di accertamento secondo la norma citata.

Nel corso del primo grado di giudizio, la Commissione Tributaria Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso della società, attenuando la pretesa erariale, mentre la Commissione Tributaria Regionale aveva annullato le risultanze dell’avviso di accertamento, sulla base del fatto di aver ritenuto attendibile la contabilità tenuta dalla società, e quindi valutando non giustificato il ricorso a tale strumento accertativo.

La Corte di Cassazione, nel censurare il ragionamento logico tenuto dalla CTR, ritiene invece che la presenza di lavoratori in nero sia un elemento determinante, in quanto “tale elemento di fatto è … per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 7440 del 08/03/2022; Cass. Sez. U, Sentenza n. 356 del 13/01/2010) certamente idoneo in astratto ad assurgere a presunzione grave precisa e concordante ai fini del fondamento della rettifica analitica induttiva del reddito perché rende la contabilità inattendibile, innanzitutto per l'omessa registrazione nelle scritture contabili o altre obbligatorie”, e quindi assurge ad elemento di per sé sufficiente a giustificare il ricorso allo strumento accertativo utilizzato dall’Amministrazione Finanziaria.

Decide quindi per l’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate e rinvia alla CTR in diversa composizione per la trattazione della questione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 3 Ottobre 2022