19 Giugno 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI MAGGIO 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Maggio 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Maggio 2017 è pari a 1,223205 e l’indice Istat è 101,10.

 

IL LAVORATORE ASSENTE PER MALATTIA PUO' DEDICARSI AD ALTRA ATIVITA' LAVORATIVA A CONDIZIONE CHE SIA COMPATIBILE E CONFORME AGLI OBBLIGHI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 10416 DEL 27 APRILE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 10416 del 27 aprile 2017, ha confermato il principio di diritto in materia di attività esercitata dal lavoratore durante lo stato di malattia che obbliga il lavoratore ad adottare ogni cautela idonea perché cessi lo stato di malattia con conseguente recupero dell'idoneità al lavoro.

Nel caso de quo, la Corte di Appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale di Latina, aveva respinto la domanda avanzata da un lavoratore tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso per giusta causa intimato dal datore di lavoro per aver prestato attività lavorativa presso una pizzeria, durante le sue assenze per malattia conseguenti ad un trauma contusivo al calcagno.

Il lavoratore, per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso lamentando che la Corte di merito non avrebbe tenuto in considerazione la giurisprudenza di legittimità alla stregua della quale l'eventuale svolgimento di attività lavorativa in costanza di malattia non è vietata, ma deve essere valutata caso per caso a seconda dell'attività e del tipo di patologia e della possibilità che l'attività lavorativa svolta pregiudichi oppure ostacoli il recupero delle energie psico-fisiche.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, ribadendo la corretta sussunzione, operata dalla Corte di merito, della fattispecie nella normativa relativa all'obbligo di entrambe le parti di attenersi ai doveri di correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto di lavoro: artt. 1175 e 1375 c.c.. Invero, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, oppure nel caso in cui la medesima attività, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

Al riguardo, hanno concluso gli Ermellini, la Corte di merito ha sottolineato che la società datrice di lavoro ha contestato specificamente al lavoratore lo svolgimento di attività lavorativa presso una pizzeria, con conseguente servizio ai tavoli, così come accertato all'esito dell'attività investigativa svolta dal datore di lavoro. La condotta, pertanto, è senza dubbio indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura, data la patologia e la causa per la quale si era assentato dal luogo di lavoro.

 

È ILLEGITTIMO L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO SE LO SCOSTAMENTO TRA RICAVI DICHIARATI E QUELLI STATISTICI NON RAGGIUNGA LIVELLI DI ABNORMITÀ ED IRRAGIONEVOLEZZA

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 13054 DEL 24 MAGGIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 13054 del 24 maggio 2017, ha statuito l’illegittimità dell’atto di accertamento induttivo emesso avendo come riferimento esclusivamente le percentuali di ricarico determinate a livello locale, senza tener conto della percentuale di ricarico mediamente riscontrata nel settore di appartenenza a livello nazionale.

Nel caso in specie, un contribuente ricorreva alla Corte di Cassazione contro la sentenza di CTR che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione ai fini IRPEF, IVA ed IRAP di maggiori ricavi determinati applicando sul costo del venduto la percentuale di ricarico media propria del settore e dell’ambito territoriale di competenza (162%), in luogo di quella del 133% applicata dal contribuente.

In fase di ricorso dinanzi al Giudice tributario il contribuente aveva rilevato che si era adeguato dichiarando il ricavo minimo ritenuto congruo in base agli studi di settore che erano in vigore nell’anno d’imposta oggetto d’accertamento.

Orbene, gli Ermellini, con la sentenza de qua, uniformandosi a  costante giurisprudenza di legittimità esistente in materia, hanno rilevato chein tema di accertamento delle imposte ed in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità; diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, ad integrare una prova per presunzioni” (Cass. n. 27488/2013; Cass. n. 20201/2010; Cass. n. 26388/2005; Cass. n. 5870/2003).

Nel caso in specie, hanno concluso i Giudici del Palazzaccio, lo scostamento tra ricavi dichiarati dal contribuente e quelli statistici derivanti dall’applicazione dello studio di settore non evidenziava tale abnormità (133% in luogo di quella del 162%), con la conseguenza che occorrevano altri elementi a supporto per la validità dell’accertamento, elementi che il Giudice di merito non aveva affatto considerato e riscontrato.

Per le motivazioni suddette il ricorso veniva accolto con cassazione della sentenza del Giudice d’Appello.

PER LA CASSAZIONE IL LAVORATORE CHE RIENTRA NEL RAMO D’AZIENDA CEDUTO, NON E’ TENUTO A PRESTARE IL CONSENSO E POTRA’ RECEDERE SOLO DOPO LA INTERVENUTA CESSIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12919 DEL 23 MAGGIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 12919 del 23 maggio 2017, ha statuito che, nel caso di cessione di ramo d’azienda, non è richiesto il consenso del dipendente al trasferimento, ma lo stesso potrà esercitare il diritto di recesso solo ad acquisizione eseguita.

Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il primo motivo del ricorso di un dipendente, cassando con rinvio la sentenza dei Giudici Territoriali che confermavano il suo licenziamento disciplinare.

Il caso di specie è relativo alla cessione del ramo d’azienda e il relativo trasferimento del personale dipendente alla cessionaria. Il lavoratore ricorrente, ricevuta la comunicazione del suo passaggio alle dipendenze della nuova azienda, non si presentava a lavoro alla data indicata e pertanto gli veniva mossa la contestazione sull’assenza ingiustificata.

Gli Ermellini, accoglievano le doglianze del lavoratore, ritenendo il motivo di ricorso ampiamente fondato, in quanto il trasferimento di ramo d’azienda è disciplinato dall’art. 2558 C.C. “alla cui stregua, se non è pattuito diversamente, l’acquirente subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”.

Le succitate norme valgono anche per i contratti di lavoro subordinato con la differenza che “la disciplina di carattere commerciale è qualificata da un carattere dispositivo, mentre la regola lavoristica si configura come norma imperativa in base alla quale il rapporto di lavoro con l’imprenditore subentrante costituisce un effetto automatico ex lege della vicenda circolatoria”.

In nuce, per la S.C., la cessione dell’azienda non può essere motivo di licenziamento né per il cedente né per il cessionario, tant’è che non è richiesto il consenso dei dipendenti coinvolti e, quindi, “nelle ipotesi di cessione d’azienda il lavoratore potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dall’art. 2112, c.4, C.C.”.

 

LE DIMISSIONI PER VIOLENZA O DOLO SONO ANNULLABILI SOLO SE LA MINACCIA DEL LICENZIAMENTO E’ INGIUSTA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 14321 DELL’8 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 14321 dell’8 giugno 2017, ha statuito che le dimissioni possono essere annullate, per dolo o violenza, solo innanzi alla prospettazione di un male ingiusto e laddove si accerti l’inesistenza del diritto a licenziare il lavoratore.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Ancona, a conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Ancona, riteneva non vi fosse alcuna minaccia di licenziamento conseguente all’accettazione di una buona uscita unitamente alla somma di € 10.000#, in quanto, nel corso della riunione tenutasi a Milano, in conseguenza a due provvedimenti conservativi, il lavoratore (responsabile di un punto vendita)  non aveva contestato i provvedimenti disciplinari inflitti e le proprie inadempienze prospettate e la condotta lavorativa dello stesso erano tali da giustificare un licenziamento per giusta causa.

Nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare tutto l'iter logico giuridico dei giudici dell'Appello di Ancona, hanno ricordato che la nozione di giusta causa è di matrice legale tale per cui il Giudice non è vincolato alle previsioni del contratto collettivo, che si prestano ad una funzione meramente esemplificativa, a differenza di quanto accade per le misure conservative. Pertanto, le dimissioni sono annullabili solo quando la minaccia di licenziamento si configuri come una prospettazione di un male ingiusto e, quindi, soltanto se la minaccia è ingiusta, ovvero quando le dimissioni sono eterodeterminate per vizio della volontà. 

 

LA MANCATA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO LEGITTIMA LE SANZIONI PREVISTE DALLO SATUTO DEI LAVORATORI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13810 DEL 31 MAGGIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 13810 del 31 maggio 2017, ha statuito che la reintegrazione nel posto di lavoro deve essere completa, includendo anche gli aspetti non retributivi.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Brescia, a conferma della pronuncia di primo grado, riteneva legittima la sanzione prevista dall'art. 18, comma 10 dello Statuto dei Lavoratori (pagamento al Fondo pensioni, per ogni giorno di ritardo, di un importo pari alla retribuzione dovuta al lavoratore), ritenendo che la ricostituzione de iure del rapporto lavorativo con dispensa lavorativa non facesse venir meno il presupposto sanzionatorio.

Nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare tutto l'iter logico giuridico dei Giudici dell'Appello di Brescia, hanno, in particolare, ricordato che la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall'art. 18 impone la “restitutio in integrum” del “posto di lavoro” sotto ogni aspetto, anche non retributivo.

Difatti, il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento ma è anche una forma di accrescimento della professionalità ed il mezzo attraverso cui i soggetti possono affermare la propria identità personale sociale, diritti tutelati dalla Costituzione.

In conclusione, il datore di lavoro che si limiti ad erogare la retribuzione, consentendo anche l'accesso al lavoratore in quanto dirigente sindacale, senza consentire la prestazione lavorativa di quest'ultimo non è esonerato dal pagamento della sanzione di cui sopra.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 19 Giugno 2017