24 Luglio 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GIUGNO 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Giugno 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Giugno 2017 è pari a 1,273430 e l’indice Istat è 101,00.

 

L'INFORTUNIO IN ITINERE E' INDENNIZZABILE A CONDIZIONE CHE L'UTILIZZO DEL MEZZO PROPRIO DA PARTE DEL DIPENDENTE SIA NECESSITATO DALLE CARENZE DEL TRASPORTO PUBBLICO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16835 DEL 7 LUGLIO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16835 del 7 luglio 2017, ha (ri)statuito che l'infortunio in itinere, occorso in caso di utilizzo del mezzo proprio da parte del lavoratore, è indennizzabile solo nel caso in cui non esista adeguato sistema di trasporto pubblico ovvero lo stesso sia particolarmente disagevole per il dipendente.

Nel caso de quo, un lavoratore rimaneva infortunato mentre rientrava a casa, dopo la giornata di lavoro, con il proprio motociclo. L'INAIL non riconosceva la prestazione economica a suo carico in quanto il tragitto casa/lavoro era di complessivi 6 km, di cui circa 5 km coperti da apposito servizio di trasporto pubblico.

Il prestatore adiva la Magistratura sostenendo la necessità di utilizzo del proprio mezzo di trasporto per il particolare disagio connesso all'utilizzo degli autobus di linea la cui fermata più vicina distava circa 600 metri dalla propria abitazione.

I Giudici di prime cure rigettavano il ricorso. Il subordinato ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di merito, hanno evidenziato che l'infortunio in itinere, verificatosi nel tragitto casa/lavoro (o viceversa) percorso con proprio mezzo di trasporto, è indennizzabile a condizione che non esista un sistema di trasporto pubblico che copra la tratta interessata, ovvero che l’utilizzo dello stesso sia particolarmente disagevole per il lavoratore.

Pertanto, atteso che nel caso de quo la fermata dell'autobus era a soli 600 metri dall'abitazione del dipendente, e che lo stesso non avrebbe avuto alcuna difficoltà a percorrere tale distanza a piedi considerata la sua giovane età ed il perfetto stato di salute, i Giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso confermando la non indennizzabilità dell'evento lesivo.

                                                                                             

IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DELL'APPRENDISTA COMPORTA L'APPLICAZIONE DELLE MEDESIME SANZIONI PREVISTE PER I RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO. 

 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 17373 DEL 13 LUGLIO 2017.

La Corte di Cassazione – sentenza n° 17373 del 13 luglio 2017, ha (ri)confermato, in tema di licenziamento illegittimo dell'apprendista, che la disciplina sanzionatoria non è diversa da quella risultante dalla sua natura di rapporto a tempo indeterminato.

Nel caso in esame, il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva la domanda di un lavoratore apprendista licenziato illegittimamente durante la fase cosiddetta formativa del rapporto di apprendistato condannando il datore di lavoro al pagamento, tra l'altro, delle somme per retribuzioni e tfr che avrebbe percepito lavorando sino alla scadenza del contratto di apprendistato. La Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza.

Il datore di lavoro, insoddisfatto, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sull'assunto di rientrare, per requisito dimensionale, nell'area di applicazione ex art. 8 legge n° 604/66 con la conseguente tutela economica ivi prevista.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ed ha annullato la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli riconoscendo fondato il motivo di ricorso. La fattispecie, hanno evidenziato gli Ermellini, è regolata ratione temporis dalla normativa di cui alla legge 19 gennaio 1955, n° 25, agli artt. 21 e 22 della legge n° 56/1987, all'art. 16 della legge n° 196/1997 ed agli artt. da 47 a 53 del D.lgs. n°276/2003. Non si applicava invece la disciplina introdotta dal D.Lgs. n° 167/2011 che, nel definire l'apprendistato, ne ha riconosciuto la natura di rapporto a tempo indeterminato (qualificazione riconfermata dall'art. 41 del D.Lgs. 15 giugno 2015 n° 81 che ha abrogato il D.Lgs. n° 167/2011). Tuttavia, deve affermarsi che anche il contratto di apprendistato disciplinato dalla legge del 1955 dà origine ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bi-fasico, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista (al normale scambio tra prestazione e retribuzione si aggiunge lo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale) mentre, la seconda fase, soltanto eventuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2128 c.c., rientra nell'ordinario assetto del rapporto di lavoro subordinato.

Il principio di diritto ribadito, hanno continuato gli Ermellini, ha quale immediato effetto la inapplicabilità al contratto di apprendistato, in caso di licenziamento intervenuto durante il periodo di formazione, della disciplina relativa al licenziamento ante tempus nel rapporto di lavoro a termine. Conclusivamente, hanno affermato i supremi Giudici, è stata applicata al rapporto di apprendistato una disciplina diversa da quella della sua natura di rapporto a tempo indeterminato, affermando erroneamente che il risarcimento del danno non fosse condizionato dalla qualificazione del contratto di apprendistato come contratto a tempo determinato o indeterminato. In particolare, la Corte territoriale, a seguito dell'erroneo inquadramento della questione, non ha accertato la dimensione occupazionale del datore di lavoro, la cui verifica diviene fondamentale alla luce della affermata applicabilità al rapporto di apprendistato della disciplina ordinaria del licenziamento illegittimo.

 

I SOCI DEGLI STUDI PROFESSIONALI ASSOCIATI NON HANNO L’OBBLIGO DI ESSERE ASSICURATI ALL’INAIL

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15971 DEL 27 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15971 del 27 giugno 2017, ha statuito che i soci delle associazioni professionali non sono tenuti ad alcun versamento di contributi all’INAIL, in quanto le norme vigenti non prevedono alcun obbligo assicurativo per infortuni e malattia nel caso in specie.

Nel caso in specie, l’INAIL aveva richiesto ad uno studio tecnico associato di ingegneria e architettura – che pur aveva istituito un rapporto assicurativo con dipendenti e co.co.pro. – il pagamento del premio assicurativo per i soci professionisti in quanto componenti dello studio professionale che effettuano accessi in cantieri. Da qui l’origine del contenzioso che ha condotto il caso al vaglio di legittimità della Suprema Corte.

All’uopo, si segnala che l’interpretazione del T.U., D.P.R. n° 1124/1965, delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ha destato non pochi dubbi e perplessità, soprattutto con riferimento al versamento dei contributi da parte dei soci di studi professionali.

Tanto è vero la questione era già stata affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 25 del 12 gennaio 2016, con la quale fu chiarito che il senso letterario della normativa non prevedeva l’obbligo assicurativo INAIL per l’associazione professionale così come la legge non lo stabiliva per il libero professionista.

Orbene, con la sentenza de qua, gli Ermellini, nell’accogliere in toto il ricorso dello studio associato, hanno letteralmente sostenuto che “la tendenza espansiva dell'obbligo assicurativo, sul piano soggettivo, deve essere effettuata nel rispetto e nell'ambito delle norme vigenti, le quali in alcun luogo (artt.1, 4 e 9 del DPR 1124/1965) contemplano l'assoggettamento delle associazioni professionali all'obbligo in questione (così come non lo contemplano per il mero libero professionista); come dimostra pure la recente ordinanza della Corte Cost. 12.1.2016 n. 25 dalla quale risulta confermata la mancanza dell'obbligo assicurativo contro gli infortuni e le malattie professionali in capo ai membri di studi professionali associati, ancorché legati da un vincolo di dipendenza funzionale (questione alla quale la sentenza impugnata neppure accenna, e senza che l'INAIL abbia promosso sul punto alcun rituale mezzo di impugnazione)”.

In definitiva, i soci delle associazioni professionali non sono tenuti ad alcun versamento di contributi all’INAIL, poiché il D.P.R. 1124/1965 non ha previsto per le associazioni tra professionisti tale obbligo, così come non lo stabilisce per il libero professionista. Discorso diverso è quello delle società tra professionisti, che sono soggette all’assicurazione INAIL.

 

ALL’EVASORE FISCALE POSSONO ESSERE SEQUESTRATI BENI ESCLUSIVAMENTE NEL LIMITE DEL RISPARMIO INDEBITAMENTE CONSEGUITO SENZA CONSIDERARE LE SANZIONI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 28047 DEL 7 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 28047 del 7 giugno 2017, ha statuito che, all’evasore fiscale possono essere sequestrati beni esclusivamente pari all’ammontare del risparmio d’imposta ma escludendo le sanzioni. Infatti, le sanzioni de qua rientrano nel calcolo, solo quando vi è la sottrazione fraudolenta al pagamento dei tributi.

Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso presentato da un imprenditore accusato di aver emesso delle fatture a fronte di una fittizia ristrutturazione di un immobile, motivando la decisione evidenziando come il profitto dei reati tributari, in ragione delle specifiche caratteristiche di detti delitti, è peculiarmente caratterizzato dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale a seguito del mancato pagamento d’imposta non risolvendosi in un accrescimento del patrimonio del soggetto attivo.

Ex adverso, la S.C. ha affermato che all’interno del profitto del reato tributario, confiscabile anche nella forma per equivalente, vadano ricondotte anche le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, solo con riguardo, segnatamente, al reato di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.

Orbene,  proprio perché la condotta illecita addebitata non era, nella specie, quella di evasione dell’imposta a seguito di dichiarazione o di omesso versamento, ma di specifica sottrazione fraudolenta dei beni quale possibile oggetto di apprensione da parte dell’Erario a fronte, per di più, di intervenuto accertamento di un debito fiscale con computo anche delle sanzioni collegate, il profitto, corrispondente al valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria per l’Erario doveva essere parametrato, in tal caso, anche alle già calcolate sanzioni volendo il contribuente sottrarsi appunto anche ad esse.


L’APPLICAZIONE DI UN CONTRATTO AZIENDALE, IN LUOGO DI QUELLO NAZIONALE – C.D. “LEADER” – DA’ LUOGO AD UNA OMISSIONE CONTRIBUTIVA

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 17535 DEL 14 LUGLIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 17535 del 14 luglio 2017, ha statuito che la retribuzione da assumere quale imponibile ai fini previdenziali è quella desumibile dal contratto collettivo nazionale, salvo condizioni di miglior favore.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Trieste, a conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Udine, respingeva l’appello proposto da una società per una cartella esattoriale, emessa da Equitalia Friuli Venezia Giulia Spa per conto dell’INPS.

Nello specifico, la pretesa contributiva dell’INPS trovava fondamento in alcuni rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi fra la società e dei giovani neo diplomati o studenti, ai quali veniva impropriamente applicato il CCNL Uneba per la parte “normativa” ed un contratto locale, per la sola parte “economica”, stipulato con Fisascat – CISL, quale organizzazione maggiormente rappresentativa.

Nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare l'iter logico giuridico dei Giudici dell'Appello, oltre a chiarire che la nullità della notifica di una cartella esattoriale può essere sanata con il raggiungimento dello scopo stesso (nel caso consentendo la rituale opposizione),  hanno  ricordato che la contribuzione relativa al SSN è calcolata a percentuale rispetto alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali prevista dalla Legge. n. 389/1989). Quindi, la retribuzione utile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali è quella desumibile dai diversi accordi contrattuali o individuali “solo” quando questi risultino migliorativi, in caso contrario la base imponibile di riferimento è sempre quella prevista dai minimi retributivi stabiliti dai contratti collettivi nazionali.  

In conclusione, il minimale contributivo di cui alla Legge 338/1989 va correttamente rapportato al CCNL Uneba e non all’Accordo Territoriale” Fisascat – CISL, riconoscendo infine Uneba quale contratto leader del settore.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 24 Luglio 2017