14 Maggio 2018
Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….
LA CERTIFICAZIONE MEDICA “INCOMPLETA” NON E’ SUFFICIENTE A FAR PRESUPPORRE UNA SIMULAZIONE DELLO STATO DI MALATTIA.
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 10089 DEL 24 APRILE 2018.
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 10089 del 24 aprile 2018, ha statuito che la produzione di una certificazione medica “incompleta” da parte del dipendente non è sufficiente per far ritenere che lo stato di malattia sia simulato essendo necessario, al fine dell’applicazione delle eventuali sanzioni disciplinari, un accertamento reale di tale simulazione con onere probatorio a carico del datore di lavoro.
Nel caso de quo, un lavoratore si assentava dal lavoro producendo una certificazione medica recante la mera presenza del prestatore presso un ambulatorio oculistico per improvvisi disturbi visivi. Tale documento non recava l’indicazione di una prognosi ed il subordinato non provvedeva ad integrarlo con apposito documento telematico rilasciato dal medico ASL. Il datore di lavoro, all’esito del procedimento disciplinare normato dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, irrogava la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione.
I Giudici di merito sancivano l’illegittima della sanzione. Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.
Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum dei gradi di merito, hanno evidenziato che la produzione di documentazione medica insufficiente ad attestare l’esistenza della malattia non è di per se sufficiente a dimostrare la simulazione della malattia stessa in quanto è onere della parte che eccepisce la condotta simulata allegare e provare le circostanze di fatto a sostegno della paventata condotta illecita del lavoratore.
Pertanto, atteso che, nel caso in disamina il datore di lavoro non aveva fornito alcune prova della (ipotetica) simulazione dello stato di malattia, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno confermato l’illegittimità della sanzione disciplinare già sancita nei giudizi di prime cure.
LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE DOPO UN PROVVEDIMENTO DI REINTEGRA A NUOVE MANSIONI E NUOVA SEDE NON SI PRESENTI IN SERVIZIO.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9224 DEL 13 APRILE 2018.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 9224 del 13 aprile 2018, ha statuito la legittimità dei licenziamenti intimati per mancata ottemperanza dei lavoratori all'invito a riprendere servizio nei termini di legge, considerata altresì, la possibilità del datore di lavoro di esercitare lo ius variandi mediante trasferimento del lavoratore.
Nel caso in specie, due lavoratori, dopo la dichiarazione di illegittimità del loro licenziamento collettivo e la conseguente reintegra, avevano ricevuto dal datore di lavoro l'invito a riprendere servizio presso un cantiere in Algeria, sussistendo sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, stante la soppressione del reparto di carpenteria metallica ove i lavoratori erano addetti in precedenza. I dipendenti non si erano presentati in servizio, adducendo la mancanza di tutti i presupposti di fatto per consentire l'attuazione concreta dell'invito quali: il preavviso previsto contrattualmente in caso di trasferimento e la comunicazione del provvedimento ai sindacati.
La Corte d'Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela, aveva dichiarato legittimo il provvedimento adottato dalla società datrice come motivato, ex art. 18, c.5, legge n°300/70 (nel testo precedente alla modifica del 2012), in relazione alla mancata ripresa in servizio nei termini di legge.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori eccependo l'errore della Corte distrettuale che non aveva qualificato il licenziamento adottato come recesso ontologicamente disciplinare, ovvero per giusta causa.
Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, ritenendo inammissibili le doglianze riproposte dai lavoratori. Nel caso de qua, hanno spiegato gli Ermellini, il recesso concerneva la mancata ottemperanza dei lavoratori all'invito a riprendere servizio nei termini di legge, esulando, pertanto, il successivo profilo del cambiamento di sede. In particolare, il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, doveva sì avvenire mediante il reinserimento nel luogo precedente, ma era salva la possibilità per il datore di lavoro al trasferimento, sussistendo particolari motivi organizzativi.
In nuce, secondo la Suprema Corte, a luogo degli impedimenti rilevati dai lavoratori, questi avrebbero dovuto tempestivamente mettersi a disposizione del datore di lavoro e, solo successivamente censurare la decisione datoriale relativa al trasferimento.
IL PROFESSIONISTA CHE ABBIA A DISPOSIZIONE TRE STUDI PROFESSIONALI PER LA PROPRIA ATTIVITÀ, DEVE ESSERE ASSOGGETTATO ALL'IRAP.
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 6193 DEL 14 MARZO 2018
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 6193 del 14 marzo 2018, ha statuito che il professionista, che per lo svolgimento della sua attività professionale, si avvale di tre studi professionali è soggetto passivo ai fini IRAP.
Nel caso in specie, un medico ricorreva alla giustizia tributaria contro il silenzio-rifiuto dell'Agenzia delle Entrate in merito ad un'istanza di rimborso IRAP. La C.T.R., ravvisando l'esistenza dell'autonoma organizzazione dell'attività professionale svolta dal contribuente, respingeva il ricorso dello stesso.
Nel dettaglio, il professionista suddetto utilizzava due studi funzionali nell’esercizio dell’attività di medico di base in convenzione con il SSN ed un terzo studio per svolgere l’attività libero professionale di odontoiatra.
Si ricorda che il requisito dell’autonoma organizzazione costituisce il presupposto impositivo ai fini IRAP e ricorre quando il contribuente:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
- impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segretaria ovvero meramente esecutive.
Il professionista ricorreva in Cassazione lamentando che il Giudice d’Appello avesse ritenuto sussistere il requisito dell’autonoma organizzazione per la presenza dei due studi necessari per l’esercizio dell’attività di medico di famiglia, studi necessari secondo la convenzione stipulata con l’ASL, per cui l’esistenza dell’ulteriore studio per lo svolgimento della contestuale attività libero professionale di odontoiatra non provava l’esistenza di un’autonoma organizzazione poiché veniva svolta con attrezzature, compensi e spese non eccedenti, per quantità e valore, il minimo ritenuto indispensabile per l’esercizio di tale professione senza l’ausilio di lavoro altrui.
Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, hanno respinto il ricorso, ricordando quanto segue: “seppur, a volte, l’utilizzo di due studi professionali, se rigorosamente giustificati da peculiari esigenze di convenzione, non è circostanza che possa far ritenere sussistente l’autonoma organizzazione ove tali studi costituiscano semplicemente due luoghi ove il medico riceve i suoi pazienti e, quindi, è soltanto uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell’attività professionale autonoma (Cass. n. 25238/16, 16369/17), tuttavia, con l’utilizzo di tre studi propri, il contribuente impiega beni strumentali globalmente eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività superando oggettivamente la soglia minima richiesta dalle sezioni unite per l’esonero dalla imposizione fiscale ai fini dell’IRAP” (Cass. n. 16369/17; n. 23838/16; n. 17569/16; n. 17742/16; n. 19011/16; n. 22852/16; n. 22103/16).
Per le motivazioni suddette, oltre a respingere il ricorso, gli Ermellini hanno pure condannato il medico al pagamento delle spese di lite del giudizio.
SGRAVI CONTRIBUTIVI LEGITTIMI SOLO SE SI VERIFICA L'EFFETTIVA CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO NEL GRUPPO DELLE CONTROLLATE
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8680 DEL 9 APRILE 2018
La Corte di Cassazione, sentenza n° 8680 del 9 Aprile 2018, ha statuito che gli sgravi contributivi istituiti con lo scopo di favorire lo sviluppo delle imprese operanti nel Mezzogiorno e la nuova occupazione, necessitano, per il loro riconoscimento, che le aziende operanti in tali territori abbiano realizzato l'effettiva creazione di nuovi posti di lavoro, eccedenti rispetto al personale già occupato nelle stesse attività.
Il caso di specie è relativo ad un verbale di accertamento che contestava ad una azienda di Foggia le agevolazioni per la riduzione degli oneri sociali previsti dalla Legge n. 488 del 1998 ottenute per nuovi contratti di lavoro instaurati con il personale occupato in una azienda acquisita, con il quale l’INPS contestava che le società erano riconducibili ad un unico proprietario, per cui non si era verificato un effettivo incremento occupazionale.
Gli Ermellini, con la sentenza de qua, ribaltando il decisum dei Giudici Territoriali, accoglievano le doglianze dell’INPS, sottolineando che effettivamente la norma in esame, cioè la Legge n.448/1998, art. 3 c. 6, lett. d) prevede, che l'incremento occupazionale debba essere calcolato al netto delle diminuzioni occupazionali in società controllate ex art. 2359 c.c. o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.
In nuce, per la S.C., non ricorre il requisito dell'effettivo incremento occupazionale nel caso in cui l'impresa, senza creare nuovi posti di lavoro, si sia limitata a succedere nei rapporti lavorativi, non a rischio, facenti capo ad un'altra azienda. Pertanto, una volta dimostrata la sussistenza di un controllo sulle altre società di vigilanza per il tramite dello stesso titolare, che nel caso in esame era risultato essere in possesso di una partecipazione per oltre 2/3 nelle altre società controllate, non rileva la necessità di dimostrazione di un collegamento economico funzionale tra le stesse, come richiesto in sede di ricorso.
NEL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E’ NECESSARIO DIMOSTRARE L’ASSOLVIMENTO DELL’OBBLIGO DI REPECHAGE
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 10435 DEL 2 MAGGIO 2018.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 10435 del 2 maggio 2018, ha chiarito che la manifesta insussistenza, facilmente verificabile sul piano probatorio, consente al Giudice di applicare la reintegra nel posto di lavoro, ove non particolarmente onerosa.
Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Bologna, a conferma della sentenza del Tribunale di Parma, dichiarava illegittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore in data 26/03/2014, in seguito ad una riorganizzazione aziendale connessa ad andamenti negativi di bilancio relativi all’anno 2013, ritenendo insufficiente l’onere probatorio riguardante l’obbligo di repechage. Tale convinzione si basava sul fatto che l’azienda aveva effettuato diverse assunzioni negli anni 2012-2014. I Giudici optavano per la tutela indennitaria, tenuto conto delle dimensioni aziendali e dell’anzianità della lavoratrice.
Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno espresso il seguente principio di diritto: la verifica del requisito di manifesta insussistenza del fatto, posto a base del licenziamento, riguarda entrambi i presupposti di legittimità, ossia, gli aspetti organizzativi, produttivi e di regolare funzionamento nonché l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. Ne consegue che, la manifesta insussistenza va sempre riferita ad una mancanza dei suddetti presupposti a fronte del quale il Giudice è libero di scegliere l’applicazione della tutela risarcitoria ex art. 18, comma 5, della Legge 300/1970 come novellato dal Legge 92/2012, ciò quando il regime ex comma 4 art. 18 risulti eccessivamente oneroso per il datore di lavoro.
Ad maiora
IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO
(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!
Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro
Modificato: 14 Maggio 2018