3 Maggio 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….
 

AI FINI DEGLI SGRAVI CONTRIBUTIVI L’ASSUNZIONE DEL NUOVO LAVORATORE, IN PRESENZA DI UN DIRITTO DI PRECEDENZA, DEVE RISPONDERE AD UNA ESIGENZA DI SPECIFICA PROFESSIONALITA’.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9913/21 DEL 15 APRILE 2021
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9913 del 15 aprile 2021, ha statuito che, ai fini del diritto allo sgravio contributivo, è necessario dimostrare che l’assunzione del nuovo lavoratore risponda ad un’esigenza di specifica professionalità, non suscettibile di essere soddisfatta nel rispetto del diritto di precedenza di cui era titolare l’ex dipendente.
Nel caso in trattazione, infatti, un’azienda di trasporti si opponeva ad un avviso di addebito emesso dall’INPS per il recupero di sgravi contributivi di cui la società aveva beneficiato per l’assunzione di un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, in violazione del diritto di precedenza di una ex dipendente licenziata. Il Tribunale accoglieva l’opposizione ritenendo che, avendo la lavoratrice rinunciato al diritto di precedenza in sede conciliativa, nessun diritto fosse stato violato.
La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, riteneva valida la rinuncia da parte della ex dipendente e rimarcava che il diritto di precedenza alla riassunzione sorge all’atto del licenziamento, momento dal quale decorre il termine di 6 mesi per l’esercizio dello stesso. I Giudici, inoltre, sostenevano che suddetto diritto operi solo qualora si realizzi una sostituzione vera e propria “tra due lavoratori con profili professionali identici e fungibili” e, pertanto, accertato che i due lavoratori fossero addetti a mansioni differenti, pur rilevando che la violazione del diritto di precedenza costituisce condizione ostativa al godimento degli sgravi contributivi, respingevano il ricorso proposto dall’INPS.
L’Istituto Previdenziale proponeva ricorso per la cassazione della sentenza lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l. n. 223/1991 e dell’art. 4, comma 12, l. n. 92/2021, atteso che il requisito dell’identità dei profili e delle mansioni dei due lavoratori non è richiesto dal citato art. 4.
I Giudici ritenevano fondato il ricorso in quanto ai sensi dell’art. 15, comma 6, l. n. 264/1949 “i lavoratori licenziati da un’azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro un anno”, termine ridotto a 6 mesi dall’art. 6, comma 4 D.lgs. n. 297/2002 e l’art. 8, comma 1, l. n. 223/1991 stabilisce che “per i lavoratori in mobilità ai fini del collocamento si applica il diritto di precedenza nell’assunzione di cui alla L. 29 aprile 1949, n. 264, art. 15, comma 6, e successive modificazioni ed integrazioni”. La Corte di Cassazione, già in precedenza, con sentenza 14293/2002 aveva affermato che il datore di lavoro, nel caso in cui violasse il diritto di precedenza, potrebbe evitare il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento ex art. 1218 c.c. fornendo “la prova della assoluta inevitabilità della scelta, sotto il profilo delle professionalità assolutamente peculiari da acquisire all’azienda ovvero della impossibilità di procedere alla stipulazione di contratti dei quali potrebbero essere parti gli ex dipendenti”. Nel caso specifico, dunque, la Corte di merito avrebbe dovuto richiedere la prova che l’assunzione del nuovo lavoratore dalle liste di mobilità rispondesse ad un’esigenza di specifica professionalità, non suscettibile di essere soddisfatta nel rispetto del diritto di precedenza di cui era titolare l’ex dipendente.
In conclusione, la Suprema Corte accoglieva il ricorso e rinviava alla Corte d’Appello in diversa composizione.
 

LEGITTIMA LA COMUNICAZIONE DI CAMBIO DI TURNO ANCHE SE EFFETTUATA CON POCO PREAVVISO, SE IL DISAGIO SUBITO È COMPENSATO CON MAGGIORI RIPOSI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 10868 DEL 23 APRILE 2021
Nelle organizzazioni di lavoro, specie quelle caratterizzate da turni, l’ordine di servizio con cui si assegna al lavoratore dipendente un determinato turno lavorativo deve essergli notificato, in quanto a regola generale di correttezza, con un “certo” anticipo che, giammai, ad esempio, potrebbe corrispondere a qualche ora prima dell’inizio della prestazione.
A volta, però, possono anche verificarsi casi di comunicazione assegnazione turno con “poco preavviso”.
E’ legittimo?
Se n’è occupata la Suprema Corte di Cassazione in questa pronuncia molto interessante.
Con sentenza n. 10868 del 23 aprile 2021, la Corte di Cassazione ha statuito, infatti, la legittimità della comunicazione di cambio di turno inviata al dipendente con poco preavviso, se quest’ultimo viene compensato da riposo
Nel caso in oggetto, il Tribunale accoglieva il ricorso presentato dal lavoratore contro un sistema organizzativo ritenuto illegittimo, secondo il quale la comunicazione del turno di servizio avveniva solo poche ore prima dell’inizio della prestazione lavorativa e ritenuto contrario ai principi di correttezza e buona fede previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c.
In secondo grado la sentenza veniva però riformata dalla Corte d’Appello, il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione.
La Suprema Corte, confermando la sentenza di secondo grado, afferma che le conclusioni dei Giudici di primo grado non sono condivisibili, in quanto l’esistenza di un danno biologico e/o esistenziale per il lavoratore dovrebbe essere provata, non ricorrendo,  secondo l’orientamento precedentemente espresso dalla stessa Corte, in automatico in tutti i casi di inadempimento datoriale, né potendo essere valutato senza una specifica documentazione provante la natura del pregiudizio che si ritiene subito.  È necessario, al contrario, secondo quanto disposto dagli artt. 2697 e 1223 c.c., individuare l’effetto negativo diretto della violazione sul bene o diritto tutelato, indicando le precise lesioni patrimoniali e non determinate dalla condotta inadempiente, nonché il nesso causale tra la condotta posta in essere dal datore di lavoro ed il danno subito dal lavoratore. Tale onere nel caso in oggetto non era stato assolto dal ricorrente, non era stato quindi provato il danno subito. Al contrario, il datore di lavoro aveva bilanciato il disagio patito dal lavoratore a causa del poco preavviso, riconoscendo un maggior numero di ore di riposo, secondo le disposizioni previste dal contratto collettivo applicato in azienda. Per le ragioni esposte, la Corte di Cassazione, confermando la sentenza del Giudice di secondo grado, rigetta il ricorso presentato dal lavoratore.
 

PER LA CASSAZIONE È LEGITTIMO IL CONCORSO DEI REATI DI BANCAROTTA PER DISTRAZIONE E PECULATO MENTRE E’ DA ESCLUDERSI QUELLO DI AUTORICICLAGGIO.

Corte di Cassazione – Sentenza n. 14402 del 16 aprile 2021
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14402 del 16 aprile 2021, ha statuito che è ampiamente legittima la condanna per peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione in capo all’imprenditore che si appropria dei ricavi gestionali della società di cui ha disponibilità in ragione del suo incarico causandone il grave dissesto economico e, quindi, il conseguente fallimento.
E’ invece escluso il reato di autoriciclaggio in assenza di condotte prive di idoneità decettiva.
Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, confermando la sentenza della Corte d’Appello, hanno respinto le doglianze di un amministratore unico di una SRL, tese alla violazione del principio del ne bis in idem, accusato dei reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria. All’imputato era stato contestato di essersi appropriato di oltre un milione di euro, avendo, per ragioni del suo incarico, la disponibilità di somme della società provenienti dai ricavi gestionali della stessa, e per la medesima condotta, gli era stato anche addebitato di aver causato un grave dissesto economico alla società amministrata, sfociato nella conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento.
Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato la legittima configurabilità del concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, precisando come si tratti di reati che si differenziano per struttura ed offensività. Nel caso in esame, infatti, il potere di azione era stato esercitato una sola volta, nello stesso unico procedimento ma attraverso la contestazione di distinti e differenti reati e quindi non c’era stata alcuna violazione del ne bis in idem.
In nuce, per la S.C., la sentenza deve essere annullata senza rinvio, per il capo di imputazione relativo all’autoriciclaggio, “perché il fatto non sussiste”, in quanto la condotta posta in essere dell’imputato era stata, in realtà, priva di idoneità decettiva ovvero di capacità di rendere difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.
 

PAGA L’IRAP IL PROFESSIONISTA CHE, PUR NON AVENDO DIPENDENTI, SI APPOGGIA A DUE STUDI.

Corte di Cassazione – Sentenza n. 11086 del 27 aprile 2021
Altra importante pronuncia, in materia di IRAP, da parte della Suprema Corte di Cassazione della serie “in materia di IRAP non c’è mai certezza” con particolare riferimento alla indeducibilità di un costo sostenuto per canone di locazione e per quanto riguarda l’assoggettabilità di un professionista all’IRAP pur non avendo dipendenti.
Esaminiamo i citati principi enunciati dai Giudici di Piazza Cavour.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11086 del 27 aprile 2021, ha, infatti, statuito che il costo sostenuto per il canone di locazione dello studio professionale non è deducibile quando è considerato troppo alto, in pratica antieconomico, e che deve pagare l’imposta IRAP, il professionista che, pur non avendo dipendenti, si appoggia a due studi.
I Giudici di Piazza Cavour, nello specifico, hanno respinto le doglianze di un avvocato confermando in toto l'atto impositivo dell’Amministrazione Finanziaria che, da un lato recuperava a tassazione il maggior reddito negando i costi dei canoni di locazione e dell'altro condannava il professionista al pagamento dell'Irap.
Con la sentenza de qua, gli Ermellini, hanno evidenziato che l'Agenzia delle Entrate contestava l'antieconomicità e la non congruità in senso stretto del costo, in quanto il canone mensile del contratto di locazione era stato stipulato per la somma esorbitante di euro 50.000,00 per soli due mesi, ed anche il fatto che il legale, pur non avendo una formale autonoma organizzazione, prestasse la sua opera professionale su due studi, condannandolo al prelievo fiscale ai fini IRAP. Su quest’ultima contestazione, i Giudici del Palazzaccio hanno ribadito che, nel caso di attività professionale, l'Irap coinvolge una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista, determinata dalla sua cultura e preparazione professionale e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista, come il lavoro dei collaboratori e dipendenti, il numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, le prestazioni di terzi, le forme di finanziamento diretto ed indiretto.
In nuce, per la S.C., è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista a essere interessato dall'imposizione dell’imposta IRAP che colpisce l'incremento potenziale, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giusi Acampora, Pietro Di Nono, Fabio Triunfo e Michela Sequino.

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Modificato: 3 Maggio 2021