10 Gennaio 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI NOVEMBRE 2021
E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Novembre 2021. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Novembre è pari a 3,867669 e l’indice Istat è 105,7.

GLI ESITI DEGLI ACCERTAMENTI SANITARI DELLA COMMISSIONE MEDICA DI VERIFICA NON SONO VINCOLANTI PER IL GIUDICE.
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 30932 DEL 29 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 30932 del 29 ottobre 2021 ha statuito che le risultanze degli accertamenti espletati dalla Commissione Medica di verifica possono essere disattesi dal Giudice, trattandosi di meri atti di verifica sanitaria, compiuti in base ad un giudizio di discrezionalità tecnica.
Nel caso esaminato, la lavoratrice impugnava il licenziamento irrogatole a seguito dell'accertamento della Commissione Medica competente, che, nonostante avesse dichiarato la permanentemente inidoneità alla prestazione lavorativa e al lavoro proficuo in modo assoluto a causa della grave depressione di cui soffriva da molti anni, non aveva però riscontrato la sussistenza dei requisiti necessari all’ottenimento dei benefici della pensione di inabilità, facendo così emergere un quadro clinico discrepante.
I Giudici di seconde cure, riformando la pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze, accoglievano la predetta domanda, dichiarando l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto e disponendo la reintegra nel posto di lavoro con conseguente risarcimento, sul presupposto che, all’esito di una CTU, la dipendente era stata ritenuta in buon equilibrio da oltre un anno e per questo idonea allo svolgimento delle sue mansioni.
La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ha rilevato che il Giudice non è vincolato dalle risultanze emerse a seguito degli esami sanitari effettuati dalla Commissione Medica di verifica e può, in ogni caso, disporre la consulenza tecnica d'ufficio. Inoltre, è stato ribadito che il giudicante ben può sindacare l'attendibilità degli esami svolti dalla Commissione, essendo libero di disattenderne l'esito qualora riscontri profili di contraddittorietà e/o illogicità. Infatti, il Giudice, in forza dei principi costituzionali posti a garanzia della piena ed effettiva tutela processuale, ha il potere-dovere di vagliare e verificare l'attendibilità degli accertamenti sanitari espletati, in sede amministrativa, dalla Commissione.

NELLE PROCEDURE DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO RIFERITE AD AZIENDE CON UN UNICO CENTRO DI IMPUTAZIONE DATORIALE SONO COINVOLTI I LAVORATORI DI TUTTE LE AZIENDE INTERESSATE
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 32474 DEL 8 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 32474 dell’8 novembre 2021, afferma che nell’avviamento di una procedura di licenziamento collettivo riferita a più aziende, aventi un unico centro di imputazione datoriale, i lavoratori interessati saranno quelli di tutte le aziende coinvolte.
Nel caso in esame un lavoratore adiva il Giudice per impugnare il licenziamento, intimato dal datore di lavoro in seguito ad avviamento di procedura per licenziamento collettivo. Sia il Tribunale, che la Corte d’Appello dichiaravano illegittimo il licenziamento, giacché, in entrambi i casi era stato ritenuto esistente un unico centro di imputazione tra aziende, nonostante nel corso del rapporto di lavoro si fossero susseguite diverse società. Di conseguenza, i Giudici di merito avevano rilevato la necessità di verificare gli esuberi tenendo conto della platea complessiva dei lavoratori, inclusi quelli in forza alla precedente società.
Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte afferma che gli elementi di collegamento tra le due società rendono evidente la circostanza per la quale tra le stesse vi fosse un rapporto che andava ben oltre la mera sinergia tra consociate, emergendone al contrario una vera e propria compenetrazione di mezzi ed attività, dalla quale era possibile dedurre una sostanziale unicità soggettiva tra le due. Orbene, l’unicità soggettiva viene evidenziata non dall’unico criterio rappresentato da un collegamento economico – funzionale, ma tiene conto dell’unicità della struttura organizzativa e produttiva; dell’integrazione tra le attività esercitate dalle imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; del coordinamento tecnico ed amministrativo – finanziario, dal quale è possibile rinvenire un unico soggetto con funzioni di direzione, che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; dell’utilizzazione contemporanea ed indifferenziata della prestazione lavorativa in favore dei diversi imprenditori. L’accertamento, nel caso de quo, della compenetrazione tra strutture aziendali tale da rendere la prestazione lavorativa riferibile ad un unico soggetto e non rilevante la circostanza rappresentata dalla storia lavorativa del singolo dipendente, rende dunque necessario che nello svolgimento di una procedura collettiva di licenziamento, la stessa debba coinvolgere tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale scaturito dall’integrazione delle due società.

 

È SEMPRE IL TRIBUNALE FALLIMENTARE CHE DECIDE IN CASO DI MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ DI UNO DEI CREDITORI SULLA TRANSAZIONE FISCALE NEL CONCORDATO PREVENTIVO
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE UNITE – ORDINANZA N.35954 DEL 22 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, con l’ordinanza n. 35954 del 22 novembre 2021, ha statuito che è sempre il Tribunale Fallimentare a decidere in caso di manifestazione di volontà di uno dei creditori sulla transazione fiscale nel concordato preventivo, evidenziando anche la giurisdizione del Giudice Ordinario, nonostante il parere contrario dell’Amministrazione Finanziaria.
In tal modo è stata data un’interpretazione UNIVOCA E DEFINITIVA su di una fattispecie che aveva visto una diversa posizione delle sezioni della Suprema Corte di Cassazione.
Il caso di specie è relativo ad una società che, versando in situazione di estrema difficoltà economica, formulava istanza di concordato preventivo valutata negativamente dall’Agenzia delle Entrate con rituale ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno da parte della società contribuente, mentre l’Amministrazione Finanziaria nella pendenza del giudizio, proponeva un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con richiesta che fosse dichiarata la giurisdizione del Giudice Ordinario e segnatamente del Tribunale Fallimentare competente.
Con l’ordinanza de qua, i Giudici di piazza Cavour, richiamando una recente e similare sentenza della stessa Corte in riferimento all'accordo di ristrutturazione dei debiti non disciplinato, ratione temporis, dal DL n.125/2020 e mancato assenso dell'Amministrazione Finanziaria alla proposta di trattamento dei crediti tributari, ha stabilito che tali controversie spettano alla giurisdizione del Tribunale Fallimentare, considerata l'obbligatorietà delle proposte nell'ambito delle procedure e della prevalenza dell'interesse concorsuale su quello tributario. In particolare, l'inserimento della transazione fiscale all'interno della disciplina generale delle procedure concorsuali ha indubbiamente accentuato la posizione sistematica con la previsione dell'obbligatorietà del sub-procedimento di “trattamento dei crediti tributari” nell'ambito della “procedura madre” di concordato preventivo ovvero di accordo di ristrutturazione dei debiti, un’esclusività che si traduce nella prevalenza della ratio concorsuale su quella fiscale.
In nuce, per la S.C., mancando la natura provvedimentale della scelta assunta dell'Agenzia delle Entrate contro la quale si rivolge la società contribuente, la giurisdizione della controversia spetta al Tribunale Fallimentare, essendo appunto in discussione la mera manifestazione di volontà di uno dei creditori sulla transazione fiscale, sulle quali questi è funzionalmente competente a decidere. La giurisdizione del Giudice Ordinario va dichiarata esclusivamente nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali.

 

L'INCOMPATIBILITA' DELLA CARICA DI PRESIDENTE DEL CDA O DI AMMINISTRATORE UNICO CON LA QUALIFICA DI LAVORATORE DIPENDENTE RENDE INDEDUCIBILE IL COSTO PER LE RETRIBUZIONI EROGATE.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 36362 DEL 23 NOVEMBRE 2021.

La Corte di Cassazione – sentenza n°36362 del 23 novembre 2021 – ha ri(confermato) l'incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente e la carica di presidente del cda per mancanza del requisito essenziale della subordinazione relativo alla soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo.
Nel caso de quo, l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione, nei confronti di una società cooperativa, le spese sostenute dalla stessa nei confronti di un socio-amministratore e del presidente del Cda a titolo di lavoro subordinato, in assenza delle caratteristiche proprie di tale tipologia di rapporto, quali il potere direttivo, gerarchico e disciplinare. All'uopo, la Commissione tributaria regionale della Sardegna aveva accolto parzialmente l'appello presentato dalla cooperativa a r.l. avverso la sentenza della Ctr di Cagliari, ritenendo sussistente il requisito della inerenza dei costi.
Avverso la sentenza della Ctr ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate duolendosi dell'errata valutazione del giudice di appello che non aveva correttamente considerato la evidente incompatibilità derivante dalla duplice veste di soggetto apicale dotato di autonomia decisionale e lavoratore dipendente.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso riconoscendo le doglianze dell'Amministrazione Finanziaria. In particolare, con riferimento al socio ed amministratore, componente del consiglio di amministrazione della società contribuente, questi godeva di autonomia decisionale e, nello svolgimento delle sue mansioni, non rispondeva del suo operato ad alcun superiore gerarchico. Quanto al presidente del consiglio di amministrazione, essendo munito della rappresentanza generale della società, gli Ermellini hanno evidenziato che non è ammessa la contemporanea presenza dell'attività di lavoro subordinato, poiché il potere di rappresentanza equivale al potere di controllo, con la conseguente incompatibilità delle due cariche. Invero, hanno continuato gli Ermellini la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l'assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare esercitato dagli altri componenti dell'organo cui egli appartiene; mentre, in mancanza di siffatto assoggettamento, l'osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
In nuce, sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del cda o di amministratore unico della stessa. Per contro, la compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita.

 

LA ROTTAMAZIONE TER NON ESTINGUE IL REATO DI OMESSO VERSAMENTO DELL'IVA, IN QUANTO SUSSISTE AMPIA DIVERSITÀ FRA IL REGIME PENALE E IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO PER IL RECUPERO DELL'IMPOSTA.
CORTE DI CASSAZIONE – III SEZIONE PENALE – SENTENZA N.43602 DEL 26 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43602 del 26 novembre 2021, ha statuito che la rottamazione ter non estingue il reato di omesso versamento dell'IVA, in quanto sussiste ampia diversità fra il regime penale e il procedimento amministrativo per il recupero dell'imposta.
Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno respinto in toto le doglianze di un imprenditore che, accusato di compensazione illegittima e omesso versamento IVA, da un'inchiesta penale definita con un verdetto di otto mesi di reclusione, si appellava al fatto di aver aderito alla cosiddetta rottamazione ter per ottenere l'estinzione del reato.
Ex adverso per gli Ermellini, non appare ravvisabile una distonia del sistema normativo rispetto al fatto che la richiesta di adesione alla rottamazione ter non dispieghi effetti estintivi rispetto alla fattispecie delittuosa di omesso versamento dell'iva, non essendo affatto irragionevole la diversità di regime tra la disciplina penale, volta a sanzionare una condotta omissiva istantanea, che si consuma alla scadenza del termine per il versamento dell'iva, e la procedura amministrativa di recupero dell'imposta evasa, che non elide il disvalore penale della condotta già realizzata, ma che può eventualmente rilevare ai fini della non operatività della confisca, ai sensi dell'art. 12 bis c. 2 del Dlgs. n. 74/2000, in quanto “la confisca non opera per la parte che il
contribuente si impegna a versare all'Erario
”.
In nuce, per la S.C., fermo restando che, ove a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, vi sia stato il pagamento integrale del debito, lo stesso, in base all'art. 13 del Dlgs n.74/2000, rende non punibile l'autore del reato, nel caso in cui l'estinzione del debito avvenga prima dell'apertura del dibattimento, per cui deve concludersi che il legislatore ha già calibrato adeguatamente le possibili interferenze tra disciplina penalistica e disciplina amministrativa, senza dare luogo a situazioni di possibili incertezze.
Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

Condividi:

Modificato: 10 Gennaio 2022