9 Gennaio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

IN CASO DI VARIAZIONE DEL CCNL IL LAVORATORE NON PUO’ FAR VALERE IL PRINCIPIO DI IRRIDUCIBILITA’ DELLA RETRIBUZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 31148/2022 DEL 21 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 31148 del 21 ottobre 2022, ha sancito che, in caso di sostituzione, per modifica negoziale, di una fonte collettiva ad un'altra, il lavoratore non può far valere il principio di irriducibilità della retribuzione pretendendo il trattamento retributivo previsto in relazione al CCNL originariamente applicato.

Nel caso in trattazione, una dipendente di una nota emittente radio nazionale, assunta con mansioni di "radio reporter" con applicazione, inizialmente, del contratto nazionale di lavoro giornalistico e, in seguito, del contratto collettivo nazionale Radiotelevisioni private, deducendo l'inefficacia o comunque l’illiceità del mutamento del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro, agiva per la condanna del datore al pagamento delle differenze retributive spettanti sulla base del contratto collettivo nazionale giornalisti originariamente applicato. La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda della giornalista pubblicista condannandola alla restituzione della somma, calcolata al lordo, oltre accessori, corrisposta dalla società datrice di lavoro in esecuzione della sentenza di primo grado.

Per la Cassazione di tale sentenza la lavoratrice proponeva ricorso deducendo violazione dell'art. 27, comma 4, c.c.n.l. Radiotelevisioni private del 9 luglio 1994 e degli artt. 1362, 1363 e 2077 del codice civile, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto valida la variazione di inquadramento contrattuale frutto di accordo negoziale intervenuto tra lei e la società datrice di lavoro. La Corte Suprema rilevava preliminarmente che la modifica negoziale della fonte collettiva applicabile al rapporto risultava essere espressione della libera esplicazione dell’autonomia privata riconosciuta dall’ art. 1322 c.c.. Secondo i giudici, inoltre, non sussisteva alcuna violazione dell’art. 2077 c.c. atteso che il Contratto collettivo costituisce fonte eteronoma di integrazione del contratto individuale. Ugualmente era da escludersi la violazione degli artt. 2103 e 2113 c.c., prospettata con riferimento alla modifica peggiorativa del trattamento economico conseguente alla mutazione di CCNL, poiché, nell’ipotesi di successione dei contratti, sono possibili anche modificazioni in pejus per i lavoratori, con il solo limite dei diritti quesiti dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di ritenere acquisito un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente.

Su tali presupposti la Corte rigettava il ricorso ritenendo non dovute le differenze retributive richieste.


NIENTE CONFISCA PREVENTIVA SE IL GIUDICE NON QUANTIFICA IL PROFITTO DEL REATO

CORTE DI CASSAZIONE – V SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 40429 DEL 26 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.40429 del 26 ottobre 2022, ha statuito che è illegittimo il sequestro preventivo se il Giudice non quantifica il profitto del reato, infatti quando la misura cautelare reale risulta finalizzata alla confisca, è necessario individuare "l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario” conseguito dal presunto autore dell'illecito, ex adverso il provvedimento non rispetta il principio di proporzionalità.

Il caso di specie, è relativo alle doglianze di una famiglia di imprenditori indagata per bancarotta fraudolenta per distrazione, nei confronti del sequestro preventivo disposto su somme di denaro nella disponibilità degli indiziati.

Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, hanno evidenziato come la spiegazione sia contenuta nell'articolo 321 Cpp, in quanto, un conto è il sequestro impeditivo previsto dal primo comma, un altro è quello finalizzato alla confisca disciplinato dal secondo. Infatti, mentre il prima serve a evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito ipotizzato, mentre l'altro nasce dall'esigenza di assicurare al processo cose di cui la Legge prevede la confisca, indipendentemente dall'attitudine a dar luogo a effetti e conseguenze rispetto alla consumazione del reato.

In nuce, per la S.C., la misura cautelare reale, funzionale alla confisca diretta del denaro, deve essere fondata sulla corretta determinazione del profitto, altrimenti il provvedimento non incontrerebbe limiti di sorta nell'individuazione dell'oggetto, finendo per comprimere in modo indebito diritti garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, come la proprietà privata, trasformando il sequestro preventivo in uno strumento inutilmente vessatorio, in tutto o in parte.


LA DECURTAZIONE DELLO STIPENDIO, DIETRO MINACCIA DI LICENZIAMENTO, INTEGRA IL REATO DI ESTORSIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 41985 DEL 7 NOVEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n° 41985 del 7 novembre 2022, ha affermato che deve essere condannato per estorsione il datore di lavoro che, sotto la minaccia del licenziamento, decurta lo stipendio ai dipendenti facendosi restituire parte degli emolumenti in contanti.

La pronuncia de qua è il risultato della decisone dei Giudici di legittimità sul ricorso sollevato da due imprenditori ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del reato di estorsione in danno di una loro dipendente, per averla costretta a restituire parte dello stipendio percepito mensilmente con la minaccia del licenziamento.

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ha rilevato, preliminarmente, che costringere un lavoratore a restituire in contanti parte della retribuzione mensile, per evitare il licenziamento, integra il reato di estorsione ex art. 629 del codice penale.

In tali circostanze, per la sentenza, non risulta applicabile neanche la condizione attenuante di cui all’art. 62, comma 4, c.p. (applicabile nell’ipotesi in cui venga cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità), stante gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona destinataria delle minacce.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei due titolari della società datrice, confermando sia la loro colpevolezza che la pena inflittagli, in quanto ritenuta proporzionata.


IL PATTO DI NON CONCORRENZA RESTA VALIDO SE IL CORRISPETTIVO È COMUNQUE DETERMINATO O DETERMINABILE SULLA BASE DI PARAMETRI OGGETTIVI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 33424 DELL’ 11 NOVEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 33424 dell’11 novembre 2022, statuisce la validità nel patto di non concorrenza se il corrispettivo pattuito risulti determinato o determinabile sulla base di parametri oggettivi.

Nel caso in oggetto, un lavoratore adiva il Tribunale per richiedere la nullità del patto di non concorrenza stipulato con il datore di lavoro, nel quale veniva previsto un importo fisso annuo per tre anni, ma non veniva specificato quale importo sarebbe spettato in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro, che si era poi verificata.

Sia il Tribunale in primo grado, che la Corte d’Appello in secondo grado, hanno confermato la nullità del patto, stante l’indeterminatezza ed indeterminabilità del corrispettivo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, in quanto correlato alla durata del rapporto di lavoro e privo di un importo minimo garantito.

La Suprema Corte, ribaltando la sentenza dei Giudici di merito ed in continuità con una precedente pronuncia in materia, afferma che ai fini della validità del patto di non concorrenza è necessario che il corrispettivo possegga i requisiti previsti dall’art.1346 c.c., in particolare con riferimento alla determinatezza o determinabilità dovrebbe anche essere verificato che il corrispettivo non rappresenti una somma meramente simbolica e sia quindi iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore con riferimento alle sue capacità di guadagno. Dalla verifica resta esclusa la valutazione relativa all’utilità reale per il datore di lavoro del comportamento tenuto dal lavoratore o del suo valore di mercato. Tuttavia, la determinatezza o determinabilità del corrispettivo in base a parametri oggettivi non vengono meno perché quest’ultimo viene proporzionato alla durata del rapporto di lavoro.

Per le ragioni esposte la Suprema Corte cassa la sentenza, rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione.


IL CONTRIBUENTE PUO’ UTILIZZARE L’ISTITUTO DEL RAVVEDIMENTO OPEROSO ANCHE PER SANARE LE VIOLAZIONI RELATIVE A CONDOTTE FRAUDOLENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 33974 del 17/11/2022

L’istituto del ravvedimento operoso è un valido strumento di compliance, utilizzato per correggere eventuali errori e/o omissioni commessi nella compilazione delle dichiarazioni fiscali rese all’Amministrazione Finanziaria.

In caso di errore il contribuente può quindi attivarsi per correggere e/o integrare i dati trasmessi, e contemporaneamente versare gli importi dovuti, con una riduzione delle sanzioni dovute.

Ma il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso, nelle forme e limiti previsti dalle attuali norme, come formulato dall’art.13 del D. Lgs 472/1997, sembrava non potersi applicare in caso di condotta fraudolenta del contribuente, e nemmeno nel caso in cui la dichiarazione presentata fosse consapevolmente infedele.

E’ questo il caso che viene a trattare la Corte di Cassazione con la sentenza in epigrafe, riguardante un accertamento emesso in capo ad una società con il quale era stata contestata l’esistenza di costi non deducibili e sopravvenienze attive dovute all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Nel corso dell’attività istruttoria prodromica all’emissione dell’atto accertativo, la società aveva presentato dichiarazione integrativa, riducendo quindi l’importo accertabile dall’Ufficio, ma l’Amministrazione Finanziaria aveva escluso la validità di tale condotta perché non prevista dall’ordinamento come utilizzabile per sanare eventuali comportamenti non derivanti da errori e/o omissioni, ma da condotte ritenute fraudolente.

Fulcro della discussione incentrata innanzi la Corte di Cassazione è proprio il possibile ricorso allo strumento del ravvedimento operoso quando le differenze non derivino da errori e/o omissioni, ma da un comportamento consapevole del contribuente.

La Corte di Cassazione, prendendo spunto dalle considerazioni del contribuente, ritiene che l’istituto del ravvedimento operoso sia applicabile anche in questi casi, proprio in virtù di una progressiva espansione delle casistiche in cui è possibile utilizzarlo, e stabilisce il seguente principio di diritto: “In materia di imposte sui redditi, il contribuente può accedere allo strumento del ravvedimento operoso anche per regolarizzare le violazioni fiscali connesse a condotte fraudolente, ferma restando l’operatività dei limiti propri della relativa disciplina e tenendo conto della situazione concretamente in essere e dei relativi riflessi in ordine al quantum della sanzione; ciò in considerazione della volontà del legislatore ― documentata dall’estensione delle cause di non punibilità anche ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, determinata dall’inserimento, al comma 2 dell’articolo 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, del riferimento esplicito agli articoli 2 e 3 del medesimo decreto ― di incentivare progressivamente il ricorso al ravvedimento operoso ai fini degli effetti penali, senza alcuna distinzione circa la tipologia di reato tributario contestato”

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Carissimi Colleghi, con questo numero riprendiamo il nostro impegno istituzionale per l’anno 2023 di Formare…Informando. Vi auguriamo un proficuo 2023.

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

Condividi:

Modificato: 9 Gennaio 2023