20 Febbraio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L'ASSENZA DI ALLEGAZIONI RELATIVE AD EVENTUALI POSIZIONI LAVORATIVE NELLE QUALI ESSERE RICOLLOCATO, CONFERMA L'ASSOLVIMENTO DELL'OBBLIGO DI REPECHAGE DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 35225 DEL 30 NOVEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n. 35225 del 30 novembre 2022, statuisce che, nelle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’assenza di allegazioni circa l’esistenza di posizioni lavorative nelle quali essere ricollocato da parte del lavoratore, rappresenta un elemento comprovante l’assolvimento dell’obbligo di repechage da parte del datore di lavoro.

Nel caso in oggetto, un lavoratore impugnava il licenziamento intimato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo, motivato dalla soppressione del posto di lavoro, ritendo violato l’obbligo di repechage.

Sia in primo, che in secondo grado il licenziamento veniva tuttavia ritenuto legittimo.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione, denunciando la falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 5 della Legge n. 604/1966, giacché la Corte d’Appello aveva ritenuto che il datore di lavoro avesse assolto i suoi obblighi in materia di repechage, data l’unicità della posizione lavorativa del dipendente, per la quale non si erano verificate nuove assunzioni, senza tenere conto però del fatto che il lavoratore svolgeva anche attività diverse da quelle specifiche previste per la sua mansione, ritenendole meramente accessorie e saltuarie.

La Suprema Corte, confermando la pronuncia della Corte Distrettuale,  afferma che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo resta a carico del datore di lavoro l’obbligo di provare l’impossibilità di una ricollocazione del lavoratore all’interno dell’azienda, tuttavia, in caso di presunzioni gravi, precise e concordanti dalle quali emerga tale impossibilità, il lavoratore dovrebbe dimostrare, attraverso allegazioni l’esistenza di una posizione lavorativa nella quale poter essere ricollocato. Infatti, in caso contrario, la sua inerzia in tal senso rappresenta un elemento utile a comprovare il corretto assolvimento dell’obbligo da parte del datore di lavoro.

LA VALUTAZIONE DELLA RECIDIVA DEL DIPENDENTE È CONDIZIONE NECESSARIA PER LA SCELTA DELL’APPLICAZIONE DELLA SANZIONE DISCIPLINARE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 35402 DEL 1 DICEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 35402 del 01 dicembre 2022, afferma che nella scelta tra sanzione conservativa e sanzione espulsiva, da applicare al dipendente, deve tenersi conto del comportamento tenuto dallo stesso, se in esso viene rilevata una condizione di recidività.

Nel caso in oggetto, un dipendente ricorreva contro il licenziamento intimato dal datore di lavoro in seguito a contestazione disciplinare a causa di un’assenza ingiustificata dal lavoro, ritenendo che, secondo le disposizioni del CCNL di riferimento, a quel tipo di infrazione dovesse essere applicata una sanzione di tipo conservativo.

La Corte d’Appello, confermando la sentenza dei Giudici di prime cure rigettava il ricorso, affermando che la sanzione conservativa non era applicabile al caso in esame, giacché, l’assenza del lavoratore dal posto di lavoro faceva parte di una fattispecie più complessa, non riconducibile alla singola assenza di un giorno, ma alla recidiva costituita da una serie di analoghe infrazioni, per le quali era stata sempre attivata la procedura di contestazione disciplinare, conclusa ogni volta con l’applicazione di una serie di sanzioni di carattere conservativo. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso, afferma che non risulta corretto soffermarsi sul singolo addebito, poiché il comportamento del lavoratore rappresenta solo l’elemento di una contestazione disciplinare più ampia, nella quale si pone in evidenza la recidiva del dipendente e per la quale non risulta applicabile la singola disposizione del CCNL di riferimento, dovendo tenersi conto del comportamento tenuto dal lavoratore nel suo complesso ed applicare la sanzione espulsiva come “extrema ratio” prevista dallo stesso CCNL, a cui ricorrere in caso di reiterazione dell’infrazione da parte del lavoratore.

E’ NULLO IL LICENZIAMENTO INTIMATO DURANTE IL PERIODO DI COMPORTO PER SCARSO RENDIMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 36188 DEL 12 DICEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 36188 del 12 dicembre 2022, ribadisce che il datore di lavoro non può porre fine unilateralmente al rapporto di lavoro fino a che perdura il cosiddetto periodo di comporto, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia.

La decisione in argomento riguarda il ricorso sollevato da un dipendente per ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento irrogato dalla società datrice per scarso rendimento dovuto alle continue assenze per malattia. Secondo la Corte territoriale, a causa dell’eccessiva morbilità, il lavoratore avrebbe violato il dovere di diligenza rendendo la sua prestazione non utilizzabile in maniera proficua dalla società stessa.

Di tutt’altro parere si è rivelata la Corte di Cassazione: tenendo conto degli interessi contrastanti del datore di lavoro e del lavoratore – che si concretizzano, per il primo, nel continuare a occupare solo i dipendenti che lavorano e producono e, per il secondo, nel disporre del periodo necessario per curare la propria malattia senza rischiare di non riuscire a sostentarsi – il superamento del periodo di comporto va considerato come unica condizione di legittimità del licenziamento.

Difatti, nel corso del periodo di comporto, non è possibile irrogare al lavoratore assente per malattia un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, facendo leva sullo scarso rendimento e sull'eventuale disservizio aziendale causato dall'assenza del dipendente malato. Si tratta, per la Corte, di una situazione che non può essere paragonata allo scarso rendimento, che è caratterizzato da inadempimento, anche inconsapevole. Nella malattia, infatti, la tutela della salute rappresenta un valore preminente da tutelare, che giustifica la specialità delle regole del comporto.

Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia (così come di quelle per infortunio), prima che sia decorso il periodo massimo di comporto, deve quindi considerarsi nullo per violazione della norma imperativa posta dal secondo comma dell'articolo 2110 del codice civile.

PER LE SOCIETA’ DI CAPITALI A RISTRETTA BASE SOCIETARIA E’ LEGITTIMA L’AZIONE ACCERTATRICE SUI CONTI CORRENTI DEI CONGIUNTI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 37471 del 21/12/2022

In materia di accertamenti fiscali, e di indagini finanziarie, l’Amministrazione Finanziaria può utilizzare i dati risultanti dalle movimentazioni dei conti correnti dell’amministratore e dei suoi congiunti in caso di ristretta compagine sociale.

Tale principio viene richiamato dalla Corte di Cassazione nella trattazione di un ricorso in tema di accertamento che aveva appurato un maggior reddito derivante da ricavi non dichiarati e costi non deducibili in capo ad una società di capitali (una srl) a ristretta base societaria.

Nel corso degli accertamenti disposti dalla Guardia di Finanza, venivano acquisiti agli atti i movimenti bancari non solo della società, ma anche del legale rappresentante e del proprio figlio: in particolare, nota la Corte, “in tema di accertamenti fiscali, tanto in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, quanto in materia di Iva , ex art. 51, secondo comma, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, le rispettive presunzioni ivi stabilite – secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili – operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti

Infatti tali movimentazioni possono essere riferibili alla società “in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l'amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. 12/09/2018, n. 22224, Cass. 14/10/2016, n. 20851, Cass. 11/03/2016, n. 4788; Cass. 12/06/2015, n. 12276, Cass. 14/01/2015, n. 428; Cass. 18/12/ 2014, n. 26829)”

Resta ferma la possibilità di difesa del contribuente che riesca a dimostrare che tali movimentazioni non afferiscono all’attività propria della società, ma che derivino da ulteriori e diverse fonti di reddito. Mancando tali circostanze a discolpa conclude la Corte di Cassazione per l’accoglimento delle doglianze dell’Agenzia delle Entrate.

IN RELAZIONE AL REGIME DELL’INVERSIONE CONTABILE (ID: REVERSE CHARGE) L’OMISSIONE DELL’AUTOFATTURA NON COSTITUISCE UNA VIOLAZIONE MERAMENTE FORMALE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 37754 DEL 23 DICEMBRE 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°37754 del 23 dicembre 2022 – ha statuito, con riferimento alle registrazioni conseguenti alle operazioni in regime di reverse charge, che l’omissione dell’autofattura, incidendo sui tempi sui tempi di esercizio del diritto alla detrazione, non costituisce violazione meramente formale.

Nel caso in specie, la CTR della Puglia aveva respinto l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate  avverso la sentenza della CTP di Bari, la quale aveva accolto il ricorso di un contribuente avverso un atto di contestazione sanzioni a fini IVA e afferente l'omessa doppia annotazione nei registri IVA ai fini dell'applicazione del regime dell'inversione contabile (id: reverse charge), essendosi il contribuente limitato ad annotare le fatture emesse da un fornitore tedesco sul solo registro degli acquisti. In particolare, la CTR motivava il rigetto dell'appello dell’AdE evidenziando che: a) la violazione era stata posta in essere dal contribuente "senza alcun intento elusivo" e non aveva comportato "alcun debito di imposta"; b) la violazione non aveva nemmeno arrecato alcun serio pregiudizio all'azione di controllo dell'Ufficio, "non potendosi ritenere tale il solo porre in essere il controllo ed il maggior impegno del personale incaricato".

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’AdE per avere la CTR erroneamente ritenuto che le irregolarità commesse dal contribuente ai fini dell'applicazione della disciplina del reverse charge costituiscano violazioni meramente formali.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e ribadito che le violazioni tributarie possono essere "sostanziali", se incidono sulla base imponibile o sull'imposta o sul versamento, "formali", se pregiudicano l'esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull'imposta o sul versamento, oppure "meramente formali", perché non influenti sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo e non arrecanti pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo; solo tali ultime violazioni non sono punibili per inoffensività, dovendo la valutazione concreta circa la natura "formale" o "meramente formale" della violazione compiersi in base all'idoneità "ex ante" della condotta a recare detto pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, con riferimento al regime dell'inversione contabile la violazione consistente nel trattare l'operazione come se fosse fuori campo IVA, con omissione dell'autofattura e delle conseguenti registrazioni e dichiarazioni, non costituisce una violazione meramente formale, atteso che, determinando un "vulnus" all'azione di controllo, impedisce all'amministrazione finanziaria di verificare l'applicazione del regime dell'inversione contabile, esclude il tempestivo assolvimento dell'imposta, sia pure mediante il meccanismo di compensazione proprio dell'inversione contabile, ed incide sui tempi di esercizio del diritto alla detrazione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 20 Febbraio 2023