6 Marzo 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

NELLE SOCIETA’ IN HOUSE E’ NECESSARIO IL CONCORSO ANCHE PER I DIRIGENTI 

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 89 DEL 3 GENNAIO 2023 

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 89 del 3 gennaio 2023, afferma che, nelle società a partecipazione pubblica, la selezione del personale – incluso quello dirigenziale – deve essere preceduta dall’esperimento di procedure concorsuali. 

Il caso in esame ha riguardato il ricorso di un dirigente avverso l’anticipata risoluzione del contratto a tempo determinato per dedotta nullità, in quanto stipulato in violazione di norme di legge imperative. La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, confermando la nullità del contratto di lavoro per omessa esecuzione della procedura selettiva idonea a rendere palesi i criteri di scelta adottati nell'individuazione del contraente. 

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva che, in tema di reclutamento del personale, le società c.d. in house devono adottare criteri che impongono l'esperimento di procedure concorsuali o selettive, nel rispetto dei principi stabiliti dall'art. 35, comma 3, del D.lgs. 165/2001. 

Secondo i Giudici di legittimità, dette procedure devono essere seguite anche per il contratto di lavoro dirigenziale, non potendosi lo stesso ritenere escluso per la sua natura fiduciaria, in quanto la normativa pubblicistica deve applicarsi non solo al reclutamento del personale, ma anche al conferimento degli incarichi. Per la sentenza, i contratti sottoscritti in assenza della citata procedura selettiva devono ritenersi affetti da insanabile nullità. 

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del dirigente e conferma la legittimità del recesso. 
 

SONO PIGNORABILI I CREDITI PROFESSIONALI DEGLI STUDI ASSOCIATI PER I DEBITI DEL SINGOLO PROFESSIONISTA 

CORTE DI CASSAZIONE – III SEZIONE CIVILE – SENTENZA N. 756 DEL 12 GENNAIO 2023 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 756 del 12/01/2023, ha statuito che il creditore del professionista può far scattare l'esecuzione forzata sui crediti che il secondo vanta verso i clienti nelle forme del pignoramento presso terzi,  ancorché il debitore sia tenuto per statuto a versare i compensi ricevuti all'associazione professionale di cui è socio, in quanto il creditore verso i clienti, infatti, resta sempre e comunque la persona fisica perché il credito sorge da una prestazione d'opera intellettuale.  

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto, dopo una doppia sconfitta in sede di merito, le doglianze di una banca, che aveva pignorato presso alcune società i crediti vantati dal commercialista per l'attività di componente del collegio sindacale, pur se debitrici verso l'associazione professionale e non nei confronti del commercialista.  

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che il sindaco di una società per azioni può essere soltanto una persona fisica, e pertanto, la compagine che conferisce l'incarico a un professionista risulta dunque debitrice di quest'ultimo.  

Quindi, per i Giudici del Palazzaccio, non vi può essere nessun dubbio che si possa trasferire la legittimazione all'esercizio del credito, ad esempio per mandato, oppure all'incasso, magari con l'indicazione di pagamento, mentre per trasferire la titolarità serve la cessione. Le prime due ipotesi, tuttavia, non sono opponibili al creditore del professionista e la terza presuppone un atto formale. 

In nuce, per la S.C., non conta che il socio sia obbligato dallo statuto a versare i compensi allo studio associato, essendo un obbligo interno, vincolante soltanto per i membri dell'associazione e inopponibile ai creditori del singolo associato, ergo, è del tutto irrilevante che le società si siano impegnate a pagare allo studio i compensi per l'attività di sindaco, in quanto l'indicazione o la delegazione di pagamento non fa venire meno la qualità di creditore del professionista
 

E’ INGIUSTIFICATO PER MANCANZA DI VERIDICITA’ IL LICENZIAMENTO PER G.M.O. LADDOVE RISULTINO INESISTENTI LE RAGIONI ORGANIZZATIVE O PRODUTTIVE ADDOTTE DAL DATORE DI LAVORO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.752 DEL 12 GENNAIO 2023.

La Corte di Cassazione – sentenza n°752 del 12 gennaio 2023 – ha (ri)confermato, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che laddove il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità, ovvero per la pretestuosità della causale addotta.

Nel caso in specie, la Corte d'Appello di Potenza, in riforma della sentenza del Tribunale di Matera, aveva respinto la domanda di annullamento del licenziamento per g.m.o. intimato da una società ad una lavoratrice, addetta a mansioni di estetista con orario part time pari a 24 ore settimanali, per esigenza di ridurre i costi di gestione e necessità di procedere alla riorganizzazione dell'azienda. In particolare si era data evidenza al calo dei ricavi nell'anno 2017, con incidenza di circa il 10% sul fatturato complessivo ed all'incremento dei costi del personale. Inoltre, l'attuazione di nuove assunzioni nel periodo precedente il licenziamento dell’estetista (rientrata da un periodo di astensione per maternità) e la scelta del suo licenziamento rispetto ad altre lavoratrici, a parità di carichi di famiglia e di qualifica professionale, appariva corretta e rispettosa dei principi di buona fede e correttezza, a fronte del minor monte ore di lavoro svolto dalla stessa rispetto alle colleghe.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, con rinvio alla Corte di Appello di Potenza. In particolare, gli Ermellini, dopo aver ribadito i requisiti (id: causali) per il ricorso al licenziamento ex art. 3, Legge n°604/1966 hanno chiarito che l'onere probatorio in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge resta a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili; ove, però, il Giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta.

Nel caso di specie, hanno concluso gli Ermellini cassando la sentenza impugnata con rinvio, la valutazione del nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale riferibili alla contrazione del fatturato e il licenziamento della lavoratrice non risulta coerente con l'assunzione di due lavoratrici avvenuta proprio durante l'anno (2017) che ha presentato il calo dei ricavi, assunzioni effettuate a pochi mesi dal rientro della estetista  in azienda, che hanno inevitabilmente determinato l'incremento dei costi del personale; le gravi lacune di indagine in ordine alla coerenza logica ed al nesso di causalità intercorrente tra l'accertato calo di volume di affari e il licenziamento, a fronte dell'assunzione di due lavoratrici ha compromesso la corretta verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla Legge n°604/1966 che consentono al datore di lavoro di precedere al recesso.
 

RISARCIMENTO DEL DANNO PER DEMANSIONAMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 876/2023 DEL 13 GENNAIO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 876, depositata il 13 gennaio 2023, ha stabilito la legittimità del risarcimento del danno da demansionamento della lavoratrice venutosi a trovare in condizione di subordinazione gerarchica rispetto ai colleghi.

Nel caso in esame un vicecomandante della Polizia municipale sentendosi vittima di un sistematico e progressivo processo di erosione delle sue attribuzioni e delle sue relazioni, messo in atto dal nuovo comandante, che di fatto cancellava la sua posizione lavorativa, denunciava tale situazione con la conseguenza di subire un procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della censura. In occasione della valutazione consuntiva della sua attività per un singolo anno, inoltre, riceveva un giudizio di mera adeguatezza, con conseguente perdita del 50 per cento della retribuzione di risultato. La lavoratrice, dunque, proponeva ricorso al Tribunale di Forlì chiedendo la riassegnazione alle mansioni di sua spettanza ed il risarcimento del danno subito per il demansionamento, per il mancato percepimento delle indennità che le sarebbero spettate e per la perdita di chance e del danno non patrimoniale. Sia i Giudici di merito che d’Appello ritenevano gli elementi probatori sufficienti per l’accoglimento del ricorso e la condanna al risarcimento del danno.

Il Comune datore di lavoro ricorreva in Cassazione lamentando l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto la corte territoriale non aveva considerato che, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale, non è ravvisabile alcuna violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52. La Corte d’Appello, dunque, aveva errato nel ravvisare una violazione del citato decreto atteso che le mansioni rientravano nella medesima area professionale e che il Comune non aveva assolutamente posto la controricorrente in una posizione di subordinazione gerarchica nei confronti di altri colleghi inquadrati come D1, ma aveva semplicemente mutato le sue mansioni, essendo stata nominata responsabile del servizio Gestione Atti e Contenzioso, con diretta dipendenza dal Comandante della Polizia Municipale. Secondo la Corte Suprema, invece, dalla documentazione e dalle deposizioni testimoniali raccolte si evinceva il progressivo svuotamento di mansioni subito dalla lavoratrice, culminato in una determina che la poneva in una condizione di subordinazione gerarchica rispetto a due colleghi inquadrati come ispettori. Il ricorso veniva respinto e riconosciuto il diritto al risarcimento del danno.
 

NON SUSSITE OBBLIGO DI ASSICURAZIONE INAIL NEI CONFRONTI DEI COMPONENTI DEGLI STUDI PROFESSIONALI ASSOCIATI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 1777/2023 DEL 20 GENNAIO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1777/2023 del 20 gennaio 2023, ha ribadito che non sussiste obbligo di assicurazione presso INAIL nei confronti dei componenti degli studi professionali associati.

Nel caso in trattazione il Tribunale ordinario accoglieva l'opposizione ad una cartella proposta da uno studio professionale di geometri associati avverso l'iscrizione a ruolo, effettuata dall'Inail, per contributi integrativi dovuti per obbligo assicurativo nei confronti dell’INAIL. I Giudici ritenevano tali somme non dovute, atteso che i professionisti che svolgono la propria attività in forma associata non sono soggetti all'obbligo assicurativo Inail. La Corte d’Appello confermava la pronuncia di primo grado rilevando come il contributo integrativo non fosse dovuto dallo studio associato poiché i professionisti che svolgono la propria attività in forma associata non sono soggetti all'obbligo assicurativo Inail, così come non sono soggetti a tale obbligo, stante l'equiparazione a fini previdenziali, ex D.Lgs. n. 163 2006, le società di professionisti. Pertanto, l'obbligo in discorso non sussiste né per le predette società di professionisti né per lo Studio associato parte in causa, quale che sia la sua reale natura giuridica, in quanto l'equiparazione agli effetti previdenziali (tra gli studi associati e le società di professionisti) riguarda non solo la sola materia pensionistica ma anche la materia della tutela Inail.

Avverso tale decisione l’INAIL ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata equiparazione, da parte della Corte Territoriale, ai fini assicurativi dei soci delle società di professionisti ai professionisti in forma associata, laddove tale equiparazione sussisterebbe solo ai fini previdenziali. La Corte Suprema rifacendosi al pensiero consolidato della Corte, ricordava che in tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, non sussiste l’obbligo assicurativo nei confronti dei componenti di studi professionali associati “in quanto la tendenza ordinamentale espansiva di tale obbligo può operare, sul piano soggettivo, solo nel rispetto e nell'ambito delle norme vigenti, che, come per il libero professionista, in nessun luogo (artt. 1, 4 e 9 del D.P.R. n. 1124 del 1965) vi assoggettano le associazioni professionali” (Cass. civ. n. 30428/2019, Cass. civ. n. 15971/2017, Cass. civ. 33203/2021). I Giudici, osservavano, inoltre, che risultava irrilevante stabilire se lo studio professionale opponente fosse o meno una società tra professionisti, atteso che le società tra professionisti sono escluse dall'obbligo contributivo Inail essendo equiparate agli associati in forma professionale, ai sensi della richiamata normativa, per i quali è pacificamente escluso l'obbligo contributivo per l'assicurazione Inail.

Ad maiora

IL CONSIGLIO PROVINCIALE DELL’ORDINE

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 6 Marzo 2023