13 Marzo 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

DANNO BIOLOGICO TERMINALE E DANNO CATASTROFALE DEVONO ESSERE LIQUIDATI SEPARATAMENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 36841 DEL 15 DICEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 36841/2022 del 15 dicembre 2022, ha statuito la distinzione e separata liquidazione del danno biologico terminale e del danno catastrofale.

Nel caso in trattazione la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava una società al pagamento agli eredi di un suo dipendente deceduto per mesotelioma pleurico riconosciuto dall'INAIL come malattia professionale, di una somma a titolo del danno iure hereditatis, oltre ad un'ulteriore somma a ciascun erede a titolo di risarcimento del danno iure proprio.

Avverso questa pronuncia gli eredi proponevano ricorso al quale la società datrice resisteva con controricorso. In particolare, gli eredi lamentavano violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., in relazione all'art. 2059 c.c., violazione del principio di integralità ed adeguatezza del risarcimento del danno non patrimoniale, errata e falsa applicazione delle Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale terminale e temporaneo, inidoneità ed irrazionalità del criterio liquidatorio adottato dalla sentenza impugnata. La Corte di Cassazione si è espressa più volte sul tema affermando che il danno subito dalla vittima è trasmissibile agli eredi nella duplice componente del danno biologico terminale, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che con lucidità assiste allo spegnersi della propria vita e confermando la correttezza delle tecniche di liquidazione del danno terminale commisurate alle Tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportune personalizzazioni che tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute prima del decesso. In particolare la Suprema Corte rifacendosi alla passata pronuncia secondo cui “in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte”(Cass. n. 12041/2020), confermava che si tratta di danni differenti e separati. Il danno biologico da invalidità temporanea totale può essere liquidato sulla base delle tabelle in relazione alla menomazione dell'integrità fisica patita dal danneggiato fino al decesso e dà luogo a pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi; il danno catastrofale, invece, è un danno non patrimoniale consistente nella sofferenza causata dal rendersi conto del progressivo spegnimento della propria vita e necessita un criterio di quantificazione equitativo “puro” che tenga conto della sofferenza interiore. Secondo gli Ermellini, la Corte d'Appello, riconducendo a nozione unitaria il pregiudizio sofferto dal lavoratore deceduto quale danno biologico terminale ricomprendente sia il danno morale catastrofale che quello biologico unitario, aveva effettuato una errata applicazione dei suddetti principi consolidati. La Suprema Corte, pertanto, cassava la sentenza rinviando al giudice con l'indicazione di procedere a riliquidare il danno non patrimoniale agli eredi.


PER LA CASSAZIONE NON PUÒ ESSERCI LA DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLA LITE PER UN ATTO DI MERA RISCOSSIONE 

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 37401 DEL 21 DICEMBRE 2022 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.37401 del 21 dicembre 2022, ha statuito che non può essere consentita la definizione agevolata della lite avente ad oggetto un atto di mera riscossione. 

Nel caso di specie i Giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso con cui l'Agenzia delle Entrate aveva impugnato la declaratoria di estinzione di un giudizio pronunciata dai Giudici Territoriali nella controversia avente ad oggetto una cartella di pagamento emessa per un avviso di liquidazione, impugnato e divenuto definitivo, di maggior imposta di registro da versare

Con l’ordinanza de qua, gli Ermellini hanno giudicato fondate le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria, richiamando il disposto dell'art. 6, c.1 del DL n.119/2018, secondo cui sono espressamente definibili solo le controversie aventi ad oggetto atti impositivi, e rammentando inoltre le importanti puntualizzazioni rese dalle Sezioni Unite civili sull'interpretazione dell'espressione "atto impositivo" inteso come quello che impone per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell'an e nel quantum. 

La Suprema Corte ha pertanto concluso che, anche il giudizio avente ad oggetto l'impugnazione della cartella emessa in sede di controllo automatizzato, con la quale l’Agenzia delle Entrate liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a una controversia suscettibile di definizione agevolata, laddove la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa.  

Pertanto, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell'imposta di registro, quindi, la definizione dell'atto come avviso di liquidazione "non vale ad escludere la sua natura di atto impositivo, quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, essendo sufficiente che la sua contestazione da parte del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuto dell'obbligazione tributaria". 

In nuce, per la S.C., la CTR aveva errato nel ritenere che la controversia fosse soggetta alla definizione agevolata dato che la cartella in questione non costituiva il primo ed unico atto con il quale la pretesa fiscale era stata comunicata ai contribuenti, essendo non un atto impositivo ma un atto di mera riscossione. 


NEI CASI DI INFORTUNIO SUL LAVORO LA RESPONSABILITA' DELL'APPALTATORE NON ESCLUDE QUELLA DEL COMMITTENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.375 DEL 10 GENNAIO 2023.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°375 del 10 gennaio 2023 – ha (ri)confermato, in tema di responsabilità per gli infortuni sul lavoro e conseguente azione di regresso Inail, che la responsabilità dell'appaltatore non esclude quella del committente.

Nel caso in specie, la Corte d'Appello di Campobasso aveva confermato la sentenza del tribunale di Isernia che aveva accolto la domanda di regresso proposta dall'INAIL nei confronti del datore di lavoro e dei civilmente responsabili di un infortunio letale occorso ad un lavoratore a causa dello smottamento delle pareti di uno scavo fatto nell'esecuzione del lavoro, in relazione al quale infortunio, l'Istituto aveva pagato le prestazioni previdenziali in favore della vedova del lavoratore.  Il giudice di merito aveva affermato la responsabilità del comune di Frosolone quale committente dei lavori e dei direttori dei lavori del comune, nonché del titolare della ditta appaltatrice dei lavori e del responsabile di cantiere; tutti condannati a pagare in solido tra loro a favore dell'INAIL la somma di euro 676.277, oltre interessi. In particolare, la corte territoriale aveva affermato la responsabilità del comune appaltante in relazione all'ingerenza nei lavori manifestata attraverso i direttori dei lavori dallo stesso nominati.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Comune per avere la corte territoriale ritenuto l'automatismo per la responsabilità del committente al di là della concreta incidenza della condotta ex art. 26 D.Lgs. n°81 del 2008.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso ed ha precisato che, in linea generale, deve rilevarsi che la responsabilità dell'appaltatore non solo non esclude quella del committente, ma anzi quest'ultima è configurabile quando vi sia stata in concreto assunzione di una posizione di garanzia e comunque, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, non viene meno se non per i soli rischi specifici delle attività proprie dell'appaltatore o del prestatore d'opera. Invero, hanno continuato gli Ermellini, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. 

Nel caso di specie, hanno evidenziato gli Ermellini, la sentenza impugnata ha in concreto accertato che, oltre che operare la scelta dell'impresa esecutrice dei lavori, il Comune non si era limitato ad un mero controllo della rispondenza dei lavori appaltati al capitolato, ma aveva dettato – tramite i suoi direttori dei lavori – disposizioni specifiche sui lavori e sulla sicurezza, ingerendosi non solo nella determinazione dello svolgimento dei lavori ma anche in materia di sicurezza, con specifiche disposizioni circa l'esecuzione dello scavo, la sua larghezza e profondità.

In relazione a ciò, anche l'assunto difensivo relativo alla carenza di responsabilità dell'ente locale in ragione della sua presunta estraneità al rapporto assicurativo non è condivisibile, in quanto l'azione di regresso è esperibile non solo nei confronti del titolare del rapporto assicurativo, ma anche di chi assume una posizione di garanzia nel luogo di lavoro, e cioè nei confronti di tutti coloro ai quali incomba l'obbligo di tutelare l'incolumità degli occupati al di là della qualifica formale di datore di lavoro, sicché il debito di sicurezza sussiste nei confronti di tutti coloro che in ragione dell'attività svolta siano gravati di specifici obblighi di prevenzione nei confronti dei lavoratori a rischio.


PER LA CASSAZIONE IL RICORSO CON RICEVUTA GENERATA UN SECONDO DOPO LA SCADENZA È DA CONSIDERARE TARDIVO 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 1519 DEL 19 GENNAIO 2023 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1519 del 19 gennaio 2023, ha fornito importanti precisazioni in tema di notificazione del ricorso a mezzo PEC, per come desunte in ragione della recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 75/2019. 

Con la decisione de qua, infatti, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 16-septies del DL n. 179/2012, nella parte in cui la norma prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 dell'ultimo giorno utile ad impugnare, si perfeziona, per il notificante, alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. 

Il caso di specie è relativo al ricorso per cassazione che l’Agenzia delle Entrate aveva notificato tramite Pec nell’ultimo giorno utile rispetto allo spirare del termine di impugnazione, e dall'attestazione di conformità "cumulativa" di notifica PEC prodotta dall'Agenzia ricorrente, risultava che il ricorso era stato notificato, con spedizione all'indirizzo del destinatario, con accettazione del messaggio alle ore 00:00:01, come da ricevuta generata dal gestore della posta elettronica certificata della mittente, e consegna allo stesso destinatario alle ore 00:00.05 del medesimo giorno. 

Con la sentenza de qua, i Giudici di piazza Cavour, hanno evidenziato le implicazioni che ne derivano dall'applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione per notificante e destinatario, in quanto la ricevuta di accettazione deve essere generata, al più tardi, entro la ventiquattresima ora del predetto ultimo giorno utile, vale a dire entro le ore 23:59:59 (UTC). 

Pertanto, con l'insorgere del secondo immediatamente successivo, alle ore 00:00:00 (UTC), il termine di impugnazione deve intendersi irrimediabilmente scaduto, per essere già iniziato il nuovo giorno, risultando irrilevante, in tale ipotesi, che il ricorso sia stato già avviato alla spedizione dal mittente, prima di questo momento. 

In nuce, per la S.C., l'accettazione del messaggio dell’Amministrazione Finanziaria alle ore 00:00:01 è palesemente tardiva e il ricorso, ciò posto, deve essere giudicato come inammissibile in quanto tardivo, risultando inviato il giorno successivo al termine per l'impugnazione. 

NEUTRALITA' DEL DATORE IN CASO DI CONFLITTI TRA SIGLE SINDACALI 

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2520 DEL 27 GENNAIO 2023 

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 2520 del 27 gennaio 2023, afferma che, all’insorgenza di conflitti tra le varie sigle sindacali, il datore deve mantenere un atteggiamento neutrale e non può in alcun caso fare ricorso all’utilizzo del potere disciplinare. 

Il caso in esame ha riguardato l’impugnazione giudiziale della sanzione disciplinare (sospensione per 8 giorni) irrogata al lavoratore, rappresentante sindacale, per aver inviato ad alcuni colleghi una mail in cui strumentalizzava la morte di un altro lavoratore al fine di contestare l'azienda ed i rappresentanti di altre sigle. La Corte d’Appello accoglieva la domanda, ritenendo la condotta del ricorrente riconducibile alla dialettica sindacale e al diritto di critica, a fronte della circostanza che era stata trovata una lettera del dipendente suicidatosi che collegava l’estremo gesto con la situazione di stress lavorativo dettata dallo scontro creatosi tra le sigle sindacali in ordine alla sottoscrizione di un accordo di mobilità. 

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva che il datore deve conservare un atteggiamento di neutralità in caso di conflitto insorto tra le varie sigle sindacali in merito a visioni differenti degli interessi dei lavoratori. Secondo i Giudici di legittimità, unica deroga a tale principio generale è rappresentata dall’ipotesi in cui l’intervento datoriale si renda necessario per proteggere l'incolumità delle persone o l'integrità dell'azienda sebbene, anche in questi casi, è comunque precluso il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, che sono attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell'azienda. 

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando l’illegittimità della sanzione irrogata. 

Ad maiora

IL CONSIGLIO PROVINCIALE DELL’ORDINE

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 13 Marzo 2023