29 Dicembre 2016

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO PER MOTIVI DI ECONOMIA. LEGITTIMITA’. INTERVENTO DEL GIUDICE DEL LAVORO SULLA SCELTA IMPRENDITORIALE. ILLEGITTIMO. PREROGATIVE INSINDACABILI DEL DATORE DI LAVORO EX ART. 41 COSTITUZIONE.  SUSSISTENZA. SVOLGIMENTO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO DELLE MANSIONI DEL LAVORATORE LICENZIATO. LEGITTIMITA’. VALUTAZIONE DEL GIUDICE DEL NESSO DI CAUSALITA’ TRA DECISIONE DATORIALE E RECESSO INTIMATO AL LAVORATORE. NECESSITA’.

 (Cassazione – Sezione  Lavoro – n. 24458 del 30 Novembre 2016)

Numerosissime volte ci siamo occupati del “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” di cui all’art. 3 della legge 15 Luglio 1966 n. 604 (id: collegato all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa) e della necessità di provare, in un eventuale giudizio, la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive nonché il  relativo nesso eziologico con l’intimazione del licenziamento acclarata, ovviamente,  l’impossibilità di adibire il lavoratore da esodare a mansioni diverse anche inferiori allo scopo di conservare il rapporto di lavoro e la conseguenziale retribuzione utile al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia e ad un’esistenza libera e dignitosa così come affermato dall’art. 36 della ns. Costituzione.

Nei ns. commenti alle varie sentenze della Suprema Corte di Cassazione ma anche nel corso dei vari   Convegni e del Master sul “Collegato Lavoro 2010” abbiamo analizzato, in profondità, il comportamento del Giudice del Lavoro che non potrebbe, giammai, interferire nella scelta organizzativa del datore di lavoro fosse anche finalizzata, in virtù di licenziamenti, a risparmiare il costo retributivo e contributivo.

E ciò nel pieno rispetto dell’art. 41della Costituzione.

Ecco perché abbiamo scelto, per la Rubrica “La Giurisprudenza commentata dalla Categoria. Una sentenza al mese”, la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione  N. 24458 del 30 Novembre 2016 che in modo sintetico e significativo riepiloga i “principi” processuali in materia di “giustificato motivo oggettivo” a cui gli Ermellini stanno dando continuità.

Ecco il fatto storico!!!

Una lavoratrice con le mansioni di magazziniera, dipendente da farmacia rurale con numero di dipendenti non superiore a 15 ed ubicata in un paese con non più di 3.000 abitanti, viene licenziata per riduzione di personale e, dunque, per “giustificato motivo oggettivo” nel Maggio 2001 avendo la titolare necessità di procedere ad una riorganizzazione caratterizzata da una riduzione di costi donde le mansioni della lavoratrice licenziata vengono svolte dalla datrice di lavoro.

La dipendente ricorre, avverso il licenziamento, alla Magistratura del Lavoro chiedendo, tra l’altro, la retribuzione adeguata ex art. 36 della Costituzione anche in considerazione della prevalente mansione di commessa svolta.

Il Tribunale respinge il ricorso della lavoratrice relativamente al licenziamento. Tale sentenza viene riformata dalla Corte Distrettuale che condanna, pertanto, la datrice di lavoro, ai sensi della legge 108/90, a riassumere la lavoratrice entro tre giorni o, trattandosi di obbligazione alternativa, ad erogarle una indennità pari a 6 mensilità. La datrice di lavoro è condannata, inoltre, al versamento, in favore della lavoratrice di circa 38.000 euro a titolo di differenza paga, mancato preavviso e T.F.R.. La Corte Distrettuale afferma, in sentenza, che la datrice di lavoro non aveva provato quella situazione di necessità di riduzione dei costi e l’esigenza di una conseguenziale riorganizzazione estrinsecatasi nell’eliminazione della posizione della lavoratrice licenziata.

La Corte Distrettuale conclude di non poter ritenere giustificato un licenziamento che si appalesa funzionale al solo risparmio sulle retribuzioni e la contribuzione oltre all’onere di dimostrare l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della riorganizzazione aziendale.

La magistratura di Appello ha, quindi, accolto le risultanze della c.t.u. contabile essendo stato dimostrato in giudizio lo svolgimento da parte della lavoratrice licenziata di mansioni diverse, commessa, inquadrabile nella 5° qualifica funzionale.

La datrice di lavoro ricorre in Cassazione per due motivi:

  • l’aver sufficientemente provato e motivato la riorganizzazione dell’attività donde la Corte Distrettuale aveva proceduto ad una falsa applicazione dell’art. 3 della legge 604/66;
  • la condivisione da parte della Corte Distrettuale delle risultanze della c.t.u. contabile comprensiva di scatti di anzianità e 14^ mensilità giacché la disciplina collettiva, ai fini dell’art. 36 della Costituzione, poteva essere presa in riferimento solo come parametro per cui non era consentita a tale c.t.u. contabile l’inclusione di tali istituti contrattuali di diritto privato oltre alla considerazione che i calcoli erano stati effettuati tenendo conto di 26 giornate e non quelle effettivamente lavorate e risultanti dal libro paga opportunamente prodotto e mai contestato dalla lavoratrice.

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 24458 del 30 Novembre 2016, ha accolto il primo motivo, respinto il secondo ed ha cassato la decisione della Corte Distrettuale con rinvio ad altra Corte di Appello per il riesame nel merito.

Gli Ermellini hanno esaminato la fattispecie della riorganizzazione e, pertanto, della disposizione dell’art. 3 della Legge 15 Luglio 1966 n. 604 affermando che ci si trovava al cospetto di una trasformazione dell'attività riconducibile alla sostituzione del lavoro svolto dalla dipendente licenziata con l'attività espletata direttamente dalla datrice di lavoro.

La convenuta datrice di lavoro aveva allegato che, nel periodo in cui la ricorrente aveva prestato attività nella farmacia, c'era sempre stato un farmacista in sostituzione o in aggiunta alla titolare e che il licenziamento era stato motivato dall'esigenza di garantire la presenza permanente in farmacia di personale laureato, esigenza sorta a seguito dell'incremento degli impegni familiari della titolare dell’azienda consistenti negli accresciuti bisogni dei tre figli in età scolare e in una situazione di divorzio dal coniuge, che le avevano imposto una riorganizzazione della propria vita privata. Da qui la necessità di assumere due farmaciste che si alternavano in regime di part-time nella gestione dei rapporti con la clientela, mentre era divenuto troppo oneroso mantenere altro personale con mansioni inferiori. E, peraltro, anche dopo il licenziamento della magazziniera non era stato assunto altro personale in sua sostituzione né altro personale parafarmaceutico giacché, come emerso dalle testimonianze, alla tenuta del magazzino aveva provveduto la stessa datrice di lavoro. Dunque, alla luce delle sopraggiunte esigenze della datrice di lavoro, era divenuto inutile e molto oneroso mantenere una posizione lavorativa ormai sovrabbondante.

I Giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno, poi, ribadito il loro costante orientamento donde il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, è scelta riservata all'imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell'azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità (cfr. Cass. 21121 del 2004, n. 17887 del 2007, n. 15157 del 2011, n. 7474 del 2012; Cass. Sez. un. n. 10144 del 2012; Cass. n. 19197 del 2013, n. 24037 del 2013).

Gli Ermellini hanno ancora una volta ribadito che nella nozione di giustificato motivo oggettivo rientra anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa, motivo questo rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, con la conseguenza che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato.

Il Giudice di merito, così come ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione in continuità con le precedenti pronunce, deve solo accertare, senza entrare nel merito di altre motivazioni, che risulti l’effettività e non la pretestuosità delle ragioni addotte dall’imprenditore a giustificazione della soppressione, in via mediata attraverso l'indicazione delle motivazioni economiche che tale scelta hanno determinato. In altri termini, al giudice è demandato il compito di riscontrare nel concreto, seppure senza ingerenza alcuna nelle valutazioni di congruità e di opportunità economiche rimesse all'insindacabile scelta dell'imprenditore, la genuinità del motivo oggettivo indicato a giustificazione del licenziamento e il nesso di causalità tra tale motivo e il recesso.

La Corte di appello, invece, pur dando atto che il motivo addotto nella lettera di licenziamento ("riduzione di personale") era stato specificato in giudizio dalla datrice di lavoro, titolare della farmacia rurale,  nel senso del "diretto e personale svolgimento" delle mansioni già espletate dalla lavoratrice licenziata,  ha omesso di esaminare funditus se tale motivo, interpretato alla luce delle altre circostanze dettagliate nelle difese di primo grado e delle emergenze istruttorie, fosse effettivo e non pretestuoso limitandosi, ex adverso, a negare che la convenuta potesse procedere alla soppressione del posto di lavoro occupato dalla lavoratrice al solo fine di realizzare economie di spesa, così ingerendosi indebitamente nel merito delle scelte economiche adottate dalla datrice di lavoro.

E, pertanto, a giudizio della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice di merito aveva omesso l'indagine che invece occorreva condurre, avente ad oggetto la pertinenza della scelta organizzativa alle ragioni addotte dalla convenuta. Tale indagine era intrinseca alla effettività della causale del licenziamento, poiché l'inesistenza del giustificato motivo oggettivo rendeva illegittimo il recesso, mentre era  giustificato il motivo che fosse effettivo, ossia non fittizio o apparente, e in nesso causale con il recesso.

Il riscontro di effettività non attiene alla sola scelta aziendale di sopprimere il posto di lavoro occupato dal lavoratore o di ridurre il personale, non potendo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo trovare la sua ontologica giustificazione nella scelta operata (ad libitum) dall'imprenditore (sarebbe così preclusa in radice la verifica di legittimità non rimanendo al giudice altro riscontro se non la presa d'atto che il lavoratore licenziato occupava il posto di lavoro soppresso), ma attiene alla verifica del nesso causale tra soppressione del posto di lavoro e le ragioni della organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso.

Non essendosi attenuto a tali “principi” il giudice di merito, sostituendosi, peraltro, all’imprenditore nella valutazione della opportunità della scelta economica, la Suprema Corte di Cassazione ha rinviato la causa ad altra Corte di Appello  per l’esame nel merito alla luce dei principi più volte citati.

Il secondo motivo, circa le risultanze della c.t.u. contabile, è stato, invece respinto dalla Suprema Corte in quanto la relazione peritale non è stata riportata, nemmeno in parte, nel ricorso per cassazione restando, quindi, preclusa ogni possibilità di verifica della fondatezza o meno delle censure mosse alla stessa.

Raccomandiamo, vivamente, ai colleghi la possibilità di discutere le sentenze di Cassazione, di cui alla presente Rubrica, con i propri praticanti.

Buon Approfondimento

 

Il Presidente

Edmondo Duraccio

 

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Modificato: 29 Dicembre 2016