20 Marzo 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

PER LA CASSAZIONE NON È SANABILE L'INESISTENZA O LA MANCANZA IN ATTI DELLA PROCURA ALLA LITE 

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – SENTENZA N. 37434 DEL 21 DICEMBRE 2022 

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37434 depositata in data 21 dicembre 2022, hanno statuito il seguente principio di diritto:” il vigente art. 182, comma secondo, cod. proc. civ., non consente di sanare l’inesistenza o la mancanza in atti della procura alla lite”, in merito alla quaestio se, ai sensi del secondo comma dell’articolo 182 c.p.c., come novellato dalla Legge n. 69/2009, il Giudice debba assegnare un termine per rilascio della procura ad litem  o per la  rinnovazione della stessa, nel caso in cui la procura rilasciata al difensore di una parte sia materialmente presente in atti  ma, tuttavia, risulti affetta da un vizio che ne determini la nullità, ovvero nel caso in cui l’avvocato abbia agito in rappresentanza di una parte senza che in atti esista alcuna procura da quest’ultima rilasciata in suo favore,  

In dettaglio la vicenda, per quel che qui rileva, è relativa alle doglianze di una società in giudizio contro una persona fisica per la richiesta di condanna al pagamento dei lavori effettuati dall’attrice e di un equo indennizzo per l’occupazione senza titolo dei locali. Il convenuto, costituitosi, rendeva noto l’esistenza fra le parti di un altro contenzioso giudiziario, avente ad oggetto la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., al quale chiedeva l’accorpamento con la causa introdotta dall’attrice, e nel merito della resistenza alla domanda principale, esperendo domanda riconvenzionale, chiedeva la riduzione del prezzo pattuito per la compravendita, stante la dimensione dei locali, di superficie inferiore a quanto convenuto, ma il Tribunale, con sentenza, dichiarava inammissibile l’atto di costituzione del convenuto per assenza di procura speciale.  

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, confermando in toto il decisum dei Giudici Territoriali, hanno aderito, nello specifico, alla tesi maggiormente restrittiva, che esclude ogni e qualsiasi possibilità di “sanatoria” del difetto di mancanza della procura speciale

In nuce, per la S.C., la procura deve essere rispettosa del principio di specialità, che ne impone certo e specifico riferimento alla decisione impugnata, e non è in alcun modo configurabile un rilascio tardivo per ordine del Giudice. 


LA DISCIPLINA IN MATERIA DI IMPRESA FAMILIARE E LA CONVIVENZA MORE UXORIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2121/2023 DEL 24 GENNAIO 2023

 

La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 2121/2023 del 24 gennaio 2023, ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione circa la possibilità di interpretazione evolutiva dell’art. 230 bis, comma 3, c.c. “in considerazione dell’evoluzione dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso, con una esegesi orientata sia agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost., che all’art. 8 CEDU, come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente “more uxorio”, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità”.

Nel caso in trattazione il Tribunale rigettava le domande proposte da una donna nei confronti dei figli, nonché coeredi, di un uomo di cui assumeva essere stata stabile convivente more uxorio, volte ad accertare l'esistenza di un'impresa familiare e, di conseguenza, ad ottenere la liquidazione della quota a lei spettante quale partecipe dell'impresa, pari quantomeno al 50% del valore dei beni acquistati e degli utili conseguiti, compresi gli incrementi patrimoniali avutisi nel corso del tempo. La Corte d'Appello riformando la sentenza solo in punto di regolamentazione delle spese confermava la sentenza impugnata.

La donna ricorreva in Cassazione lamentando la violazione degli artt. 230-bis e 230-ter c.c. e dell'art. 11 delle Preleggi e osservando che la mutata sensibilità sociale ha trovato riscontro nella L. n. 76/2016 sulle unioni civili, la quale ha introdotto l'art. 230 ter che disciplina i diritti del convivente nell'impresa familiare sotto il profilo della partecipazione agli utili e agli incrementi dell'azienda commisurata al lavoro prestato. In passato la Suprema Corte aveva statuito che il presupposto per l'applicabilità della disciplina in materia di impresa familiare fosse l'esistenza di una famiglia legittima e, pertanto, l'art. 230 bis c.c. non fosse applicabile nel caso di mera convivenza, trattandosi di norma eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica, cosicché era stata ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 230-bis nella parte in cui esclude dall'ambito dei soggetti tutelati il convivente more uxorio. Gli Ermellini, tuttavia, riflettendo sulla circostanza che l'art. 230-bis c.c. delimita la platea dei soggetti reputati “familiari” e che l'art. 2 Cost. è riferibile anche alla convivenza di fatto, purché caratterizzata da un grado accertato di stabilità, attribuendo rilevanza giuridica al rapporto di convivenza more uxorio per alcune specifiche situazioni, ritenevano di non poter ignorare l’evoluzione avutasi nella società con la sempre maggior diffusione della convivenza, con l'effetto che l'esclusione del convivente che per lungo tempo abbia lavorato nell'impresa familiare dell'altro convivente si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., con il diritto UE (ed in particolare con l'art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e con la giurisprudenza della Corte UE. Secondo l’orientamento della Corte di Strasburgo, infatti, la “famiglia di fatto” condivide con la famiglia legittima la scelta di condivisione di un percorso di vita comune e la vita dei conviventi rientra nella concezione di vita familiare ormai da tempo elaborata dalla Corte EDU in sede di interpretazione dell'art. 8, par. 1 CEDU, che include sia la famiglia legittima, sia la famiglia naturale (intesa come relazione fondata sul dato biologico) sia la famiglia in senso “sociale”, a condizione che sussista l'effettività di stretti e comprovati legami affettivi. I Giudici, ritenuta la questione di particolare importanza, rinviavano la decisione alle Sezioni Unite.

IL RICONOSCIMENTO DEL DANNO PER LA PERDITA DI CHANCE DI ACCRESCIMENTO PEROFESSIONALE NON E’ TASSABILE AI FINI IRPEF

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.3804 DEL 8 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione – sentenza n°3804 del 8 febbraio 2023 – ha confermato che il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale.

Nel caso in specie, i dipendenti, dirigenti medici dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone, avevano ricevuto notificati avvisi di accertamento dall’Agenzia delle Entrate che recuperavano a tassazione Irpef le somme riconosciute dall'A.S.P. a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione di un accordo transattivo, a conclusione di una causa che aveva condannato l'Azienda Sanitaria a risarcire ai propri dipendenti il danno derivante dalla perdita di chance.

Sul punto, la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria aveva accolto l'appello dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza, stabilendo la legittimità degli Avvisi impugnati, vertendosi in tema di somme qualificabili come redditi da lavoro dipendente.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i dipendenti.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribadendo che  – in tema di imposte sui redditi – in base al D.P.R. n°917/86, art.6, comma 2,  le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi; esse non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa; dal ché,  non è tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente "da perdita di chance", consistente, ad esempio, nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell'attività lavorativa a seguito dell'ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini – in accoglimento del ricorso con condanna dell'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio – sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente).


LA PROVA DEL DEMANSIONAMENTO E DEL DANNO ALLA PROFESSIONALITÀ PUÒ ESSERE FORNITA ATTRAVERSO DEDUZIONI PRESUNTIVE GIURIDICAMENTE VALIDE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 3692 DEL 7 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 3692 del 7 febbraio 2023, afferma che il demansionamento ed il danno alla professionalità possono essere provati attraverso deduzioni presuntive giuridicamente valide.

Nel caso esaminato, il dipendente di un’università ricorreva giudizialmente per l’accertamento del suo demansionamento protratto nel tempo e di condotte assimilabili al mobbing. La Corte d’Appello aveva accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo il demansionamento ma non il mobbing e condannando l’Università alla reintegra del dipendente nelle mansioni corrispondenti all’inquadramento posseduto ed al risarcimento del danno biologico. Il dipendente ricorreva in Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 1218 e 2087 c.c. in relazione all’art. 2059 c.c.

La suprema Corte afferma che lo svuotamento di mansioni e lo svilimento dei compiti assegnati al dipendente, che vengano ricondotti ad attività meramente esecutive prive di autonomia, nonché la sussistenza di altre circostanze, quali: la rilevanza dei compiti svolti in precedenza; la durata del demansionamento; l’obsolescenza delle conoscenze e competenze professionali ostativa alla possibilità di aggiudicarsi premi di produttività ed allo stesso tempo l’esclusione dalla partecipazione a corsi di aggiornamento professionale; rappresenta una deduzione presuntiva giuridicamente valida relativamente al demansionamento.

Tale comportamento del datore di lavoro non solo viola l’art. 2103 c.c., ma comporta anche la lesione del diritto al lavoro costituzionalmente garantito. Il lavoro rappresenta, infatti, un mezzo di estrinsecazione della personalità del cittadino e dell’immagine e professionalità del dipendente, pertanto, il demansionamento prolungato comporta una lesione del bene immateriale della dignità professionalità, da intendersi quale esigenza umana di manifestare la propria utilità, con conseguenti riflessi sulla vita sociale e di relazione di chi la subisce che producono automaticamente un danno non economico, ma comunque rilevante sul piano patrimoniale, suscettibile di valutazione e risarcimento, anche in via equitativa.


L’ACCERTAMENTO CON ADESIONE NON E’ VINCOLANTE PER EVENTUALI ATTI DI CONTESTAZIONE RELATIVI AD ANNUALITA’ SUCCESSIVE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.3854 DEL 8 FEBBRAIO 2023.

La Corte di Cassazione – sentenza n°3854 del 8 febbraio 2023 – ha confermato che l'accertamento con adesione vincola sia il contribuente che l'Amministrazione finanziaria solo per il periodo di imposta interessato dall'accordo.

Nel caso in specie, l'Agenzia delle entrate – Direzione provinciale II di Napoli – aveva accertato, con appositi avvisi, la realizzazione di un disegno elusivo posto in essere dalla una società contribuente e dai soci della medesima società, mediante una serie di operazioni dirette a collocare in una holding le partecipazioni detenute in detta società, utilizzando l'istituto della cessione di azioni, al posto della più lineare operazione di conferimento.

In sede di adesione, l’operazione fu poi qualificata (come richiesto dalla contribuente) come cessione di partecipazioni con rispettiva tassazione della plusvalenza.

Per i successivi periodi di imposta, l’Agenzia delle Entrate, senza considerare quanto definito in sede di adesione, con successivo avviso di accertamento riqualificò nuovamente l’operazione nella forma del conferimento di partecipazioni.

Impugnato dalla contribuente tale avviso di accertamento, la Commissione tributaria provinciale di Napoli rigettava il ricorso. Parimenti, interposto gravame dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettava l'appello e condannava l'appellante alla rifusione delle spese di lite.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la curatela del fallimento della società.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso premettendo che l'accertamento con adesione vincola sia il contribuente che l'Amministrazione finanziaria e, in particolare, preclude a quest'ultima una ulteriore attività accertatrice solo per il periodo di imposta interessato dall’accordo che costituisce il limite oggettivo della definizione concordata fra le parti.

Al contrario, hanno continuato gli Ermellini, per gli altri periodi d'imposta, l'accertamento con adesione non ha carattere vincolante per le parti, non potendo certo essere paragonato ad un giudicato, con gli effetti esterni tipici di questo, con particolare riferimento ai presupposti fattuali posti a fondamento della pretesa impositiva.

L'atto di adesione, hanno concluso gli Ermellini, limita l'efficacia dell'accertamento entro i confini (contenutistici e temporali) in cui tale accordo si è formato, non potendosi quindi estendere l'efficacia di tale accordo, con riferimento ai presupposti ed al periodo dell'imposta, oltre i termini ed i limiti in esso indicati. In ragione di ciò, non può certo affermarsi che l'Amministrazione finanziaria, procedendo all'accertamento per gli anni successivi, abbia violato il canone di correttezza di cui al comma 1, art. 10, legge n°212/2000,  (id: statuto del contribuente), non potendosi certo considerare l'accordo raggiunto per un determinato periodo d'imposta ostativo con riferimento ad accertamenti relativi a periodi d'imposta successivi, tanto più che, essendosi in presenza di comportamenti elusivi, il contribuente non può considerarsi sorpreso dall'attività accertatrice dell'Amministrazione finanziaria.

Ad maiora

IL CONSIGLIO PROVINCIALE DELL’ORDINE

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 20 Marzo 2023