3 Aprile 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

PER LA CASSAZIONE È PUNIBILE LO SPOSTAMENTO O L’UTILIZZO DI IMPORTI COSPICUI PER COMPRARE IMMOBILI, AUTO, MOTO O INTERE SOCIETÀ

CORTE DI CASSAZIONE – II SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 4855 DEL 3 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.4855 del 03/02/2023, ha statuito che scatta l'autoriciclaggio anche per le spese personali di chi ha compiuto il reato presupposto, nonostante l'esimente del godimento di natura personale prevista dal quarto comma dell'art. 648 ter.1 Cp., in quanto, l'impiego di somme rilevanti per effettuare acquisti o estinguere finanziamenti incide in maniera decisiva sull'economia legale, compromettendola, ed è dunque punibile lo spostamento o l'utilizzo di importi cospicui per comprare immobili, auto, moto o intere società, anche se la condotta risulta finalizzata a meglio godere del denaro stesso, ex adverso la non punibilità per godimento personale deve ritenersi limitata all'utilizzo del profitto illecito per ragioni strettamente contingenti.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno confermato una condanna inflitta anche per autoriciclaggio bocciando le doglianze degli imputati che lamentavano il fatto che i versamenti erano stati eseguiti su conti correnti intestati agli interessati e gli acquisti di beni mobili e immobili erano sempre a loro stessi riferibili, appellandosi al quarto comma dell'art. 648 ter.1 C.p. che esclude dalla condanna chi destina il denaro, i beni o le altre utilità che derivano dal reato presupposto “alla mera utilizzazione” ovvero al “godimento personale”.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, hanno evidenziato che per stabilire quando opera l'esimente del godimento di natura personale bisogna guardare al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, vale a dire l'ordine economico, con particolare riferimento al reinvestimento di profitti illeciti costituiti da somme di denaro.

In nuce, per la S.C., anche se il versamento del denaro illecito su un conto intestato all'autore del reato presupposto risulta una condotta priva di capacità decettiva, i vari acquisti effettuati manifestano invece l'attività di trasformare il cash in altri impieghi e beni, con un chiaro intento speculativo, e pertanto, le spese, pur apparendo di natura personale, non possono che comportare l'inquinamento dell'economia legale.

 

LA NOTIFICA DELL’ATTO ESEGUITA DAL MESSO COMUNALE A PERSONA DIVERSA DAL DESTINATARIO NECESSITA DELL’AVVENUTA NOTIFICA A MEZZO RACCOMANDATA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.6121 DEL 1^ MARZO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°6121 del 1^ marzo 2023 – ha confermato che l'avvenuta notifica dell’atto o dell’avviso, a persona diversa dal destinatario, da parte del messo notificatore, si perfeziona mediante raccomandata.

Nel caso in specie, l'Agenzia delle Entrate Riscossione, per la notifica ad una società contribuente di n° 9 cartelle di pagamento, non aveva provveduto direttamente a mezzo posta, ai sensi del D.P.R n°602/1973, art 26, comma 1, seconda parte, ma si era avvalsa dell'attività del messo notificatore; in particolare gli atti erano stati consegnati a persona diversa dal destinatario, dichiaratosi addetto alla ricezione degli atti, ma la procedura non era stata perfezionata mediante avviso, da recapitare con raccomandata, dell’avvenuta notifica.

All’uopo, la società proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Roma per l'annullamento di un avviso di intimazione, stante il mancato pagamento delle cartelle esattoriali, lamentando l'inesistenza della notifica eseguita tramite messo notificatore.

Soccombente nel primo grado del giudizio, la contribuente adiva la CTR del Lazio che, ex adverso, accoglieva le doglianze in quanto l'Agente della riscossione non aveva dato prova di avere inviato la raccomandata informativa prevista nei casi di consegna dell'atto a persona diversa dal destinatario; accertava conseguentemente la prescrizione dei relativi crediti.

Per la cassazione della sentenza, ADER ha proposto ricorso.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso richiamando l’art. 60, DPR 29 settembre 1973, n°600 (id: Notificazioni) che, pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile (id: artt. 137 e ss.), regolamenta in maniera difforme rispetto al codice il caso in cui, come nella fattispecie in esame, la notifica venga eseguita dai messi comunali.

In particolare, l’art. 60 citato prevede che:  

  • il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l'atto o l'avviso ovvero indicare i motivi per i quali il consegnatario non ha sottoscritto;
  • se il consegnatario non è il destinatario dell'atto o dell'avviso, il messo consegna o deposita la copia dell'atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all'originale e alla copia dell'atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell'atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo dà notizia dell'avvenuta notificazione dell'atto o dell'avviso, a mezzo di lettera raccomandata.

La disciplina in tema di notificazioni come sopra esplicitata, hanno concluso gli Ermellini con rigetto del ricorso, risulta perciò applicabile al caso di specie nel quale la consegna è avvenuta da parte del messo notificatore all'addetto alla casa, senza la successiva notizia dell’avvenuta notificazione a mezzo raccomandata.

 

EFFICACIA PROBATORIA DELLE COPIE ANALOGICHE DI DOCUMENTI INFORMATICI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 6569/2023 DEL 6 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6569, depositata il 6 marzo 2023, ha sancito che le copie analogiche di un documento informatico hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale, salvo che la loro conformità venga espressamente disconosciuta.

Nel caso in trattazione veniva disattesa, sia in primo che secondo grado, la proposta opposizione avverso un avviso di addebito per contributi IVS. In particolare, la Corte d’Appello rilevava la tardività dell'impugnazione sul presupposto dell'infondatezza della censura del ricorrente in ordine all'invalidità della notifica dell'avviso. I Giudici di seconde cure ritenevano, infatti, che non fosse causa di invalidità il fatto che la notificazione via PEC contenesse in allegato un file "pdf", privo dell'estensione "p7m". Il ricorso in Cassazione denunciava come i giudici di merito avessero del tutto erroneamente ritenuto raggiunta la prova della notifica dell'avviso di addebito, a fronte della produzione in giudizio della stampa di una copia informale del certificato di avvenuta consegna della PEC.

Gli Ermellini evidenziavano che la previsione di cui all'art. 23, comma 2, d. lgs. n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale) riguardante le copie analogiche di documenti informatici, sancisce che le copie su supporto analogico di un documento informatico hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale “se la loro conformità non è espressamente disconosciuta”. Per la Corte, inoltre, al di là della necessità di dimostrare anche la tempestività del disconoscimento entro la prima udienza o nella prima risposta successiva all'acquisizione processuale del documento,  non è sufficiente ad integrare i necessari estremi del disconoscimento la denuncia dell'avvenuto deposito di una mera copia o l'affermazione generica di un'inidoneità probatoria di essa, perché il disconoscimento deve riguardare espressamente la conformità della copia all'originale e non altro e non può consistere in altre generiche affermazioni.

Il ricorrente lamentava anche che la notifica fosse stata effettuata da un indirizzo PEC non iscritto in alcun elenco pubblico, la Suprema Corte rilevava che tale questione non era menzionata nella sentenza impugnata e ricordava in proposito il principio secondo cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito

La Corte, pertanto, rigettava il ricorso pronunciando la seguente massima: le copie analogiche di un documento informatico hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale salvo che la loro conformità venga espressamente disconosciuta. La denuncia dell’avvenuto deposito di una mera copia e/o della sua generica inidoneità probatoria non integrano gli estremi per tale disconoscimento, che deve espressamente riguardare la conformità della copia all’originale.

 

LICENZIAMENTO PER CHI IRRIDE IL COLLEGA SULL’ORIENTAMENTO SESSUALE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7029 DEL 9 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 7029 del 9 marzo 2023, ha affermato che l’utilizzo di espressioni sconvenienti, con modalità di scherno, sull’orientamento sessuale di un collega, giustifica il licenziamento del lavoratore.

Occasione della controversia un licenziamento per giusta causa irrogato dall’azienda al dipendente per aver rivolto frasi sconvenienti ed offensive inerenti all’orientamento sessuale di una collega alla presenza di altre persone. Mentre la Corte d’Appello accoglieva la domanda del ricorrente, ritenendo sproporzionata la sanzione espulsiva rispetto all’addebito, la Corte di Cassazione ha espresso una posizione diversa.

Secondo gli Ermellini, la valutazione operata dal giudice di merito, che ha evidenziando un comportamento contrario soltanto alle regole della buona educazione e degli aspetti formali del vivere civile, non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell'ordinamento.

La condotta addebitata al dipendente si pone, infatti, in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai radicati nella coscienza generale ed espressione di principi generali dell'ordinamento.

Per la sentenza, l’evoluzione sociale cui assistiamo oggi, ha condotto all’acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona. Secondo i Giudici di legittimità, l’importanza di tale aspetto è dimostrata anche dalla circostanza che il Legislatore, negli ultimi anni, ha previsto discipline antidiscriminatorie tese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso.

 

LEGITTIMO LO SVOLGIMENTO DI ALTRE ATTIVITÀ DURANTE LA FRUIZIONE DEI PERMESSI EX LEGGE N. 104/1992, PURCHÈ NON SIA COMPROMESSA L’ATTIVITÀ DI ASSISTENZA DEL DISABILE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7306 DEL 13 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 7306 del 13 marzo 2023, afferma che lo svolgimento di altre attività durante la fruizione dei permessi ex Legge n. 104/1992 non rappresenta abuso di diritto, se non compromette l’attività di cura del parente disabile.

Nel caso esaminato, il lavoratore impugnava il licenziamento per giusta causa fondato sull’accertamento da parte del datore di lavoro di un utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 comma 3 della Legge n. 104/1992. La Corte d’Appello, confermando la sentenza dei Giudici di primo grado, affermava che lo svolgimento di attività estranee alle finalità di assistenza proprie di questo tipo di permessi, era stato accertato soltanto in due occasioni distinte nel segmento temporale considerato e che comunque non fosse venuta a mancare l’attività di cura dei familiari per cui erano stati richiesti i permessi. Dichiarava, pertanto, illegittimo il licenziamento, escludendo che la condotta del dipendente potesse rappresentare un’ipotesi di inadempimento degli obblighi gravanti sul medesimo. Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, confermando il decisum dei Giudici di merito, afferma che l’art. 33 comma 3 della Legge n. 104/1992 rappresenta espressione dello Stato sociale, il quale eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti, che si fanno carico dell'assistenza di un parente con disabilità grave.

Ciò premesso, risulta evidente che il nesso essenziale contenuto nel testo normativo non è di tipo strettamente temporale, quanto piuttosto funzionale, non ci deve essere, afferma la Corte, una precisa coincidenza con l'orario di lavoro, ma solo con gli oneri tipici dell’attività di assistenza di persone con disabilità. Inoltre, prosegue la Corte, il nesso causale tra il permesso e la necessità di assistenza non va inteso in senso rigido, tale da imporre al lavoratore il sacrificio delle proprie esigenze personali. Solo laddove manchi del tutto il nesso causale tra l'assenza dal lavoro e l'assistenza, potrà affermarsi un uso distorto dello strumento fornito dal legislatore, viceversa, non potrà riscontrarsi un abuso del diritto nei casi in cui l’attività di assistenza venga svolta in tempi e modi tali da soddisfare in via preminente le esigenze dei congiunti, pur senza rinuncia da parte del dipendente alle proprie esigenze personali.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino

Condividi:

Modificato: 3 Aprile 2023