10 Aprile 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

 

Oggi parliamo di………….

LICENZIAMENTO PER L’AUTISTA CHE TRASMETTE MESSAGGI NO VAX SUL DISPLAY DELL’AUTOBUS

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7293/2023 DEL 13 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7293 depositata il 13 marzo 2023, ha sancito la legittimità del licenziamento per giusta causa comminato per uso improprio degli strumenti aziendali ad un autista che aveva inserito sul display dell’autobus un messaggio no vax.

Nel caso in trattazione un autista impugnava il licenziamento per giusta causa comminatogli per aver inserito sul display dell’autobus una scritta scurrile con cui esprimeva la propria posizione no vax, successivamente fotografata e postata anche su Facebook. La Corte d’Appello confermava la decisione del giudice di prime cure ravvisando nel comportamento del lavoratore la condotta di chi, avvalendosi della propria condizione lavorativa, si procura un indebito vantaggio nell’esprimere in termini volgari un’opinione personale sulle vaccinazioni. Tale azione disonorevole rendeva il lavoratore indegno della stima pubblica tanto che, anche sul social dove aveva postato la foto, un interlocutore gli aveva detto che avrebbe meritato di essere licenziato.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione del R.D. n.148/1931 artt, 42 e 45 nonché dell’art, 1362 c.c. in riferimento alla L. 300/1970 art, 18, per avere la Corte d’appello erroneamente inquadrato giuridicamente come legittimo il motivo di licenziamento per giusta causa e proporzionata la sanzione. In particolare, il ricorrente obiettava che il comportamento oggetto di incolpazione costituiva mancanza da cui era derivata una momentanea irregolarità nel servizio o poteva derivarne danno non rilevante alla sicurezza del servizio ma non l'appropriazione di un bene aziendale a lui affidato e la alterazione di documenti di trasporto come ritenuto dai giudici di Appello. I Giudici della Corte Suprema ritenevano chi i giudici di seconde cure correttamente avessero giudicato la condotta del lavoratore ed evidenziavano come il display luminoso di un autobus, in quanto indicatore luminoso e visibile a terzi della linea, della destinazione, oltre che mezzo di comunicazione di eventuali emergenze per gli utenti, può considerarsi sicuramente compreso nel concetto di "documenti di servizio, registri od atti qualsiasi appartenenti all'azienda o che la possano comunque interessare" secondo quanto deducibile da una lettura del Regio Decreto del 1938 calata nell'attualità. Alcun vizio di sussunzione è, pertanto, ravvisabile nelle argomentazioni della Corte distrettuale che, in modo esatto, aveva fatto rientrare il comportamento addebitato tra le ipotesi sanzionabili con la destituzione (art. 45) e non con la sospensione dal servizio.

 

L’OBBLIGAZIONE CONTRIBUTIVA RESTA IN CAPO AL CEDENTE NEL CASO DI TRASFERIMENTO DI RAMO D'AZIENDA DICHIARATO ILLEGITTIMO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7143 DEL 31 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 9143 del 31 marzo 2023, afferma che, in caso di cessione di azienda dichiarata illegittima, permane l'obbligo contributivo del cedente anche per il periodo nel quale la prestazione lavorativa è stata resa in favore del cessionario, restando irrilevante l'eventuale pagamento dei contributi da parte di quest’ultimo per lo stesso periodo.

Oggetto del contendere è stato il verbale – impugnato dalla società cedente – con cui l’INPS chiedeva il pagamento di contributi inerenti a 10 dipendenti reintegrati alle dipendenze della stessa all'esito della dichiarazione di illegittimità della cessione del ramo di azienda cui gli stessi erano adibiti. La Corte d’Appello accoglieva la predetta domanda, sul presupposto che durante la cessione, invalidata solo successivamente, non vi erano obblighi retributivi né contributivi in capo alla cedente.

La Cassazione, nel ribaltare la pronuncia di merito, ha rilevato che, in caso di accertamento dell’invalidità della cessione d’azienda, i rapporti di lavoro dei dipendenti interessati vengono ricostituiti con effetto ex tunc nei confronti dell’unico reale datore, ossia la società cedente.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, la società cedente è tenuta agli obblighi di legge, retributivi e previdenziali, secondo le regole generali, come se la cessione del ramo non fosse mai intervenuta.

In particolare, per la sentenza, la permanenza dell’obbligazione retributiva della c.d. cedente implica contestualmente la configurabilità della relativa obbligazione contributiva previdenziale, che alla prima si correla geneticamente.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’INPS e dichiara la legittimità della richiesta contributiva avanzata con il verbale ispettivo.

 

LA CORRESPONSABILITA’ DI AMMINISTRATORI E SINDACI PUO’ ESSERE VALUTATA NEL SUO COMPLESSO E NON PER SINGOLI ACCADIMENTI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 7380 del 14/03/2023

Nel decidere circa la responsabilità di amministratori e sindaci infedeli di una società non è necessario, per il Giudice, fondare il proprio convincimento su determinate e singole azioni, ma è sufficiente la complessiva valutazione delle risultanze.

Il tema trattato è oggetto dell’Ordinanza emessa dalla I sez. Civile della Corte di Cassazione, chiamata a decidere circa lo svolgimento di un’azione di responsabilità nei confronti degli organi direttivi di una società cooperativa alla quale gli organi direttivi avrebbero sottratto un’ingente somma di denaro liquido nel corso di più occasioni prolungate nel tempo.

Le doglianze degli incolpati riguardavano la carenza di motivazioni in cui sarebbero incorsi i giudici di primo grado e di appello, per non aver ricollegato le condotte omissive o commissive di ciascuno dei componenti i due organi.

Preliminarmente la Corte fa notare che risulta applicabile alla società cooperativa la normativa sulle società per azioni (art.2519 c.1 c.c.), e per l’effetto risulta applicabile l’art. 2392 c.c., che prevede, al comma 2, “la responsabilità solidale degli amministratori che non hanno vigilato sul generale andamento della gestione (in tema, per tutte: Cass. 11 novembre 2010, n. 22911), mentre l'art. 2407, comma 2, c.c. dispone che i sindaci siano responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi, ove il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

Nel caso di specie tale responsabilità per condotte commissive e omissive trovava conferma nell’ "oggettivo e rilevante svuotamento della cassa contanti della società": evenienza che "fonda(va) la responsabilità solidale degli amministratori e dei sindaci nell'atteggiamento neutrale assunto da entrambi gli organi difronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente non solo segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate, ma anche omettendo (scilicet: formalizzando) le denunce previste ex art. 2409, ultimo comma, c.c. "

In altre parole, i Giudici avevano considerato, ai fini dell’accertamento della responsabilità, non tanto singoli episodi di condotte appropriative o distrattive dei fondi societari, “ma nell'omesso controllo, cui gli amministratori e i sindaci tutti erano tenuti, quanto ad atti che avevano comportato la perdita delle risorse patrimoniali della società. E tale passaggio argomentativo non evidenzia vizi motivazionali suscettibili di essere ricondotti a una delle richiamate figure.

 

IN TEMA DI DEMANSIONAMENTO DAL PUNTO DI VISTA FISCALE OCCORRE DISTINGUERE TRA DANNO DERIVANTE DA PERDITA DI REDDITO E DANNO DERIVANTE DALL’IMPOVERIMENTO DELLA CAPACITA’ PROFESSIONALE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.8615 DEL 27 MARZO 2023.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°8615 del 27 marzo 2023 – ha confermato che la mera e generica affermazione relativa al risarcimento del danno morale, professionale e biologico senza operare alcuna distinzione, contenuta nel verbale di conciliazione stragiudiziale, è insufficiente a configurare i presupposti di un risarcimento esente da tassazione.

Nel caso in specie, una contribuente chiedeva il rimborso delle trattenute IRPEF e addizionali relative, operate sul risarcimento del danno ottenuto dal datore di lavoro nell'ambito di un contenzioso instaurato per asserito demansionamento, e risolto con conciliazione stragiudiziale. La CTP adita avverso il silenzio-rifiuto respingeva il ricorso, mentre la CTR della Campania riformava la decisione accogliendo l'istanza della contribuente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate rilevando che la transazione interveniva nell'ambito di un giudizio di demansionamento e che la stessa prevedeva la corresponsione di una somma a titolo di "risarcimento del danno morale, professionale e biologico" senza operare alcuna distinzione e pertanto non poteva qualificarsi esente da imposizione.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso in quanto non risulta che la transazione abbia distinto le voci risarcitorie, né risulta in alcun modo che sia stato verificato un danno "morale" o "biologico", comunque non patrimoniale a seguito del demansionamento, oggetto della controversia cui la transizione ha posto fine. Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato che le somme che vengano riconosciute al fine di risarcire il danno inerente al mancato percepimento di un reddito da lavoro – presente o futuro – ivi compresa dunque l'inabilità temporanea, (id: lucrum cessans) sono soggette alla tassazione del reddito giacché il risarcimento è preposto a sostituire od integrare, in base al principio espresso dall'art. 6, comma 2, TUIR;  rimane esente, ex adverso, (oltre al danno conseguente a morte od invalidità permanente) solo quel risarcimento che è corrisposto per danni non patrimoniali, oppure per quei danni che non possono essere comunque assimilati ad un reddito, bensì al patrimonio (id: danno emergente).

Anche per il caso del demansionamento, hanno continuato gli Ermellini, occorre appunto distinguere fra danni derivanti da perdita di reddito, sicuramente tassabile, e quello derivante dall'impoverimento della capacità professionale, con connessa perdita di chances, biologico, medicalmente accertabile, esistenziale, cioè il pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, che ne alteri le abitudini e gli assetti relazionali, morale, da sofferenza interiore, ed infine all'immagine professionale ed alla dignità personale, non tassabili. Sotto il profilo della distribuzione del relativo onere probatorio, spetta al contribuente la dimostrazione della sussistenza dei presupposti fattuali e normativi per il configurarsi, nel caso concreto, di tali ultime tipologie di danni esenti.

Nella specie, ha concluso la sentenza, aldilà della generica dizione dell'atto transattivo, non sono state distinte le tipologie di danno e la sussistenza dei suddetti presupposti è rimasta affidata alla mera dichiarazione delle parti, ben lungi dall'aver esaminato eventuali prove.

 

L’ERRORE COMMESSO DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE IN SEDE DI VERIFICA PUO’ COMPORTARE IL RISARCIMENTO DEL DANNO A FAVORE DEL CONTRIBUENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.5984 DEL 28 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°5984 del 28 febbraio 2023 – ha confermato la responsabilità colposa dell’Agenzia delle Entrate con condanna al risarcimento del danno non patrimoniale per fatti erroneamente attribuiti ad un contribuente all'esito di una ispezione fiscale.

Nel caso in specie, un contribuente convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Tivoli, l'Agenzia delle Entrate nelle persone dei verificatori del medesimo Ufficio, al fine di sentirli condannare al risarcimento del danno subito a causa di una ispezione fiscale. In particolare, al termine della verifica, i funzionari dell’AdE qualificarono alcuni acquisti di autovetture usate in parte come operazioni inesistenti e in parte come operazioni intracomunitarie, in regime del margine, all'esito delle quali emerse l'omissione nelle fatture emesse della relativa I.V.A. per un ingente importo.

A seguito di ciò vennero aperti due procedimenti penali. Nel corso di questi ultimi vennero rilevati alcuni errori grossolani, commessi dai verificatori, relativi alla erronea qualificazione come intracomunitaria dell'acquisto di due autovetture, effettivamente risultanti di provenienza italiana.

I due procedimenti penali vennero definiti, rispettivamente, con un provvedimento di archiviazione del P.M. e con una sentenza di "non doversi procedere perché  il fatto non sussiste" del GUP. Tali vicende ebbero devastanti ripercussioni sulla salute, sulla vita lavorativa e di relazione del contribuente.

Il Tribunale rigettò la domanda risarcitoria del contribuente, rilevando il mancato assolvimento dell'onere probatorio; ex adverso la Corte di Appello di Roma accolse il gravame e, per l'effetto, condannò i verificatori al risarcimento dei danni subiti dall'appellante, oltre alla refusione delle spese di giudizio.

Per la cassazione della sentenza proposero ricorso i verificatori e l’Agenzia delle Entrate duolendosi dell’operato della Corte di merito, in ordine alla comunicazione della notizia di reato alla competente Procura della Repubblica che è un atto dovuto per i pubblici ufficiali.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso – dichiarandolo inammissibile – e ribadito che l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario di non offendere nessuno ex art. 2043 c.c.. Per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

In particolare, hanno concluso gli Ermellini, i verificatori dell’AdE non sono stati ritenuti responsabili ex articolo 2043 c.c., per la denuncia in sé, bensì per le risultanze dei loro accertamenti, che, se fossero stati effettuati correttamente, non avrebbero indotto il P.M. ad esercitare l'azione penale.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 10 Aprile 2023