24 Aprile 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI MARZO 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Marzo 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Marzo 2017 è pari a 0,89843 e l’indice Istat è 101,00.

 

IL DATORE DI LAVORO E' RESPONSABILE DELL'INFORTUNIO OCCORSO AL DIPENDENTE A CAUSA DELLA VETUSTA' DEI MACCHINARI UTILIZZATI SE GLI STESSI RISULTANO PRIVI DI ADEGUATI SISTEMI DI SICUREZZA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 17163 DEL 5 APRILE 2017.

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 17163 del 5 aprile 2017, ha (ri)statuito che il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al proprio dipendente anche nel caso in cui l’evento traumatico sia ascrivibile all'uso di macchinari sprovvisti dei più moderni sistemi atti a garantire l'incolumità del prestatore.

Nel caso de quo, un dipendente, dopo aver effettuato un intervento di manutenzione di un macchinario dotato di rulli trascinatori, entrava nuovamente al suo interno, dopo averlo inopinatamente riattivato, restando infortunato a seguito di tale comportamento imprudente.

La Magistratura, adita dal prestatore infortunato, si pronunciava in maniera contrastante.

Inevitabile il ricorso per Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel confermare il deliberato della Corte territoriale, hanno evidenziato che il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore se lo stesso poteva essere evitato utilizzando macchinari dotati degli opportuni sistemi di sicurezza che l'innovazione tecnologica consente.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina, l'infortunio sarebbe potuto essere evitato se il macchinario fosse stato dotato di un sistema automatico di bloccaggio in caso di apertura del vano di accesso ai rulli trascinatori, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso, confermando la condanna del datore di lavoro atteso che il comportamento del lavoratore non poteva essere considerato quale abnorme e avulso dalla normalità della prestazione lavorativa e, conseguentemente, tale da far escludere la responsabilità datoriale.

 

L'ONERE DELLA PROVA DELLA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO SPETTA INDEROGABILMENTE AL DATORE DI LAVORO AI SENSI DELL’ART. 5 DELLA LEGGE N° 604 DEL 1996.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8820 DEL 5 APRILE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 8820 del 5 aprile 2017, ha stabilito, in tema di licenziamento disciplinare, che l’onere della prova della giusta causa di licenziamento spetta inderogabilmente al datore di lavoro e che in nessun caso il lavoratore licenziato può essere gravato di un onere in sua discolpa.

Nel caso de quo, la Corte d’Appello di Bari confermava la pronuncia del Tribunale della stessa città con cui era stata accolta la domanda di un lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro tesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato con gli effetti reintegratori e risarcitori sanciti dall’art. 18, Legge n° 300/70. A fondamento del decisum, la Corte territoriale argomentava che il quadro probatorio delineato in prime cure non consentiva di ritenere comprovati gli addebiti posti a fondamento del provvedimento espulsivo irrogato, e consistiti nella reiterata richiesta di rimborsi spese di ristorazione, contrastanti con contestuali domande di rimborso presentate da altri dipendenti che il ricorrente aveva indicato come partecipanti ai pranzi ai quali si riferivano le istanze di pagamento presentate in azienda.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società soccombente duolendosi che, diversamente da quanto argomentato dai Giudici di prime cure, sarebbe spettato al ricorrente dimostrare la effettiva partecipazione ai pasti dei colleghi per i quali aveva avanzato domanda di rimborso spese.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso sostenendo l’inammissibilità della richiesta di  rivalutazione dei dati istruttori  acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale. Invero, gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale hanno rimarcato la carenza di prova della falsità della partecipazione di terzi al pranzo rimborsato al dipendente e, di conseguenza, è stata confermata la declaratoria di illegittimità del licenziamento per mancanza di prova degli addebiti formulati.

Tutto ciò, hanno concluso gli Ermellini, in perfetta coerenza con il consolidato principio secondo cui l’onere della prova della giusta causa di licenziamento spetta inderogabilmente al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5 della legge n° 604/66 e deve riguardare la sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare di quello fiduciario, con riferimento agli aspetti concreti di esso, afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nella organizzazione dell’impresa, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità del fatto volitivo.

 

LE PRESTAZIONI OGGETTIVAMENTE CONFIGURABILI COME LAVORO SUBORDINATO SI PRESUMONO EFFETTUATE A TITOLO ONEROSO SALVA LA PROVA CHE GIUSTIFICHI LA CAUSA DI GRATUITA'.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 7925 DEL 28 MARZO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 7925 del 28 marzo 2017, ha (ri)confermato che la prova relativa alla gratuità di prestazioni configurabili come lavoro subordinato non può essere desunta soltanto dalle formali pattuizioni intercorse tra le parti, ma deve consistere nell'accertamento, specie attraverso le modalità di svolgimento del rapporto, di particolari circostanze oggettive o soggettive.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Catanzaro aveva rigettato l'appello proposto da una scuola materna privata a carattere religioso, avverso la pronuncia del Tribunale di Cosenza che aveva avallato l'operato dell'Inps, in relazione alle pretese avanzate per contributi omessi a seguito di accertamento ispettivo, teso a valorizzare l'esistenza di rapporti di lavoro subordinato tra alcune insegnanti e la scuola materna.

In particolare, l'Istituto aveva negato la gratuità delle prestazioni rese dalle insegnanti, con conseguente recupero a contribuzione dei periodi di attività espletati. Invero, le parti avevano convenuto la gratuità del rapporto e la certificazione dell'attività di insegnamento, al solo fine di consentire l'acquisizione di punteggio utile per le graduatorie di assunzione in strutture pubbliche. Ex adverso, l'Inps, aveva accertato la natura subordinata dei rapporti sulla base di taluni presupposti documentali e precisi riscontri quali i certificati di servizio del competente circolo didattico e le dichiarazioni raccolte dalle lavoratrici.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la scuola privata, ribadendo il carattere del particolare rapporto, istituito affectionis vel benevolentiae causa.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso riaffermando il principio consolidato secondo cui nel caso siano accertati l'esercizio professionale, cioè sistematico, di un'attività economica, di produzione o scambio di beni o servizi, mediante organizzazione di mezzi, al fine di conseguire uno scopo di lucro, e, al tempo stesso, l'effettuazione, nell'ambito di tale organizzazione imprenditoriale, di prestazioni oggettivamente configurabili come di lavoro subordinato, le medesime debbono presumersi effettuate a titolo oneroso, salva la prova – da fornirsi da colui che contesta l'onerosità – che le prestazioni stesse sono caratterizzate da gratuità.

Una tale prova, hanno continuato gli Ermellini,  non può essere desunta soltanto dalle formali pattuizioni intercorse tra le parti, ma deve consistere nell'accertamento, attraverso le modalità di svolgimento del rapporto, di particolari circostanze oggettive o soggettive (id: modalità, quantità del lavoro, condizioni economico-sociali delle parti, relazioni intercorrenti tra le stesse, predisposizione di turni e soggezione al controllo), che giustifichino la causa gratuita e consentano di negare, con certezza, la sussistenza di un accordo elusivo dell'irrinunciabilità della retribuzione. Non è sufficiente, pertanto, la semplice dimostrazione che il lavoratore si ripromette di ricavare dalla prestazione gratuita un vantaggio futuro e non pecuniario (come, nella specie, l'acquisizione del punteggio derivante dallo svolgimento di attività d'insegnamento in un istituto parificato).
 

LEGITTIMA L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO UNA CONDOTTA ANTIECONOMICA RAPPRESENTATA DA UNA RIDUZIONE DELLE PERCETUALI DI RICARICO NEGLI ANNI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 3984 DEL 15 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 3984 del 15 febbraio 2017, ha statuito che risulta legittimo l’accertamento induttivo, ai sensi art. 39, comma 1, del D.P.R. 600/73, in presenza di una condotta commerciale antieconomica ravvisata nella drastica riduzione della percentuale di ricarico normalmente applicata nell’anno precedente e in quello successivo.

IL FATTO

A carico di una società veniva emesso accertamento induttivo con il quale l’Agenzia dell’Entrate, ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) DPR 600/1973, accertava un maggiore reddito di impresa.

Il contribuente impugnava l’accertamento dinanzi alla C.T.P. che accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo una deduzione di costi su base forfettaria in misura pari al 50%, cosi abbattendo in pari misura i maggiori redditi accertati dall’Ufficio fiscale. 

Sentenza che veniva confermata anche dalla C.T.R. che rigettava l’appello dell’ufficio, confermando che i ricavi accertati, in presenza di irregolarità contabili, andassero abbattuti equitativamente del 50%, tenuto conto degli studi di settore, delle contestazioni mosse alla ricostruzione dei ricavi con la media ponderata utilizzata dall’ufficio a fronte della diversità di prezzo e della destinazione di vendita dei pneumatici piccoli e grandi, dei tempi morti di lavoro e degli sconti praticati.

L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 comma 1 lett. d) DPR 600/1973.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, uniformandosi  a precedente giurisprudenza di legittimità, hanno riaffermato che ”in tema di accertamento delle imposte dirette, la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-induttivo, può essere desunta da una condotta commerciale anomala, nella specie, ravvisata nella drastica riduzione della percentuale di ricarico normalmente applicata nell’anno precedente e in quello successivo, senza che tale anomalia gestionale fosse giustificata da fenomeni di contingenza economica, determinati da calo della domanda, difficoltà negli approvvigionamenti od esigenze di smaltimento di magazzino (cfr. Cass. Sent. n.15038/2014).

Inoltre, gli Ermellini hanno ribadito che spetta al contribuenteprovare in modo preciso i fatti impeditivi del maggiore ricarico“ applicato dall’ufficio, “tali non potendo considerarsi appunto le generiche ed indimostrate affermazioni, fatte proprie dalla CTR nella sentenza impugnata, relative al margine operativo lordo per dipendente o alla “dubbia rappresentatività del campione” ovvero alla diversità di prezzo tra pneumatici piccoli e grandi, ai tempi morti di lavoro ed agli sconti praticati”,  mentre nel caso concreto, i ricavi sono stati determinati in base a soggettive valutazioni della C.T.R, attraverso una sorta di ragionamento “che mira a dare rilievo ad elementi di determinazione del reddito non fondati su specifica prova contraria e che comunque non risulta ammesso dalla legge la quale non conferisce al giudice un potere di determinazione del reddito di tipo equitativo”.

Sulla base di tali argomentazioni i Giudici supremi hanno cassato la sentenza impugnata e rinviato ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.

 

IN CASO DI SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO IL DATORE DI LAVORO NON E' OBBLIGATO AD ACCETTARE LA RICHIESTA DI FERIE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8834 DEL 5 APRILE 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 8834 del 5 aprile 2017, ha chiarito che in caso di superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro il datore di lavoro non è obbligato a concedere un ulteriore periodo di ferie.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Palermo, in conferma del Giudice di prima istanza, respingeva il ricorso di un lavoratore teso ad ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso e la conseguente reintegra nel posto di lavoro.  In dettaglio, dopo un periodo di malattia ed un periodo ulteriore di aspettativa il lavoratore aveva chiesto, e non ottenuto, un ulteriore periodo di ferie, donde la società provvedeva legittimamente al licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto.

Nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con i Giudici di merito, hanno ricordato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile ad un licenziamento disciplinare, definendosi “contestazione delle assenze” una locuzione impropria, non risultando necessaria una precisa indicazione dei fatti e delle circostanze, bastando la mera indicazione del totale delle assenze verificatesi nel periodo, fermo restando l'onere della prova in sede giudiziale. Ciò detto, i Supremi Giudici hanno inteso chiarire che l'art. 2110 del c.c., per l'ipotesi di assenza per malattia, ha lo scopo di equilibrare interessi confliggenti fra le parti, stabilendo appunto un congruo periodo di conservazione del posto di lavoro. Fermo restando il diritto del lavoratore di richiedere un periodo di ferie maturato e non goduto, in luogo della malattia, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, di converso tale diritto non è di per sé qualificabile come un obbligo preordinato a carico del datore di lavoro quando esistono altre alternative.

In conclusione, superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, dopo il periodo di malattia e di aspettativa, l'azienda è legittimata a recedere dal rapporto di lavoro non essendo obbligata ad accogliere alcuna ulteriore richiesta.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

  Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 24 Aprile 2017