17 Aprile 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L’ERRORE COMMESSO DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE IN SEDE DI VERIFICA PUO’ COMPORTARE IL RISARCIMENTO DEL DANNO A FAVORE DEL CONTRIBUENTE
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.5984 DEL 28 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°5984 del 28 febbraio 2023 – ha confermato la responsabilità colposa dell’Agenzia delle Entrate con condanna al risarcimento del danno non patrimoniale per fatti erroneamente attribuiti ad un contribuente all'esito di una ispezione fiscale.

Nel caso in specie, un contribuente convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Tivoli, l'Agenzia delle Entrate nelle persone dei verificatori del medesimo Ufficio, al fine di sentirli condannare al risarcimento del danno subito a causa di una ispezione fiscale. In particolare, al termine della verifica, i funzionari dell’AdE qualificarono alcuni acquisti di autovetture usate in parte come operazioni inesistenti e in parte come operazioni intracomunitarie, in regime del margine, all'esito delle quali emerse l'omissione nelle fatture emesse della relativa I.V.A. per un ingente importo.

A seguito di ciò vennero aperti due procedimenti penali. Nel corso di questi ultimi vennero rilevati alcuni errori grossolani, commessi dai verificatori, relativi alla erronea qualificazione come intracomunitaria dell'acquisto di due autovetture, effettivamente risultanti di provenienza italiana.

I due procedimenti penali vennero definiti, rispettivamente, con un provvedimento di archiviazione del P.M. e con una sentenza di "non doversi procedere perché il fatto non sussiste" del GUP. Tali vicende ebbero devastanti ripercussioni sulla salute, sulla vita lavorativa e di relazione del contribuente.
Il Tribunale rigettò la domanda risarcitoria del contribuente, rilevando il mancato assolvimento dell'onere probatorio; ex adverso la Corte di Appello di Roma accolse il gravame e, per l'effetto, condannò i verificatori al risarcimento dei danni subiti dall'appellante, oltre alla refusione delle spese di giudizio.

Per la cassazione della sentenza proposero ricorso i verificatori e l’Agenzia delle Entrate dolendosi dell’operato della Corte di merito, in ordine alla comunicazione della notizia di reato alla competente Procura della Repubblica che è un atto dovuto per i pubblici ufficiali.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso – dichiarandolo inammissibile – e ribadito che l’attività della Pubblica Amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario di non offendere nessuno ex art. 2043 c.c.. Per cui è consentito al Giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

In particolare, hanno concluso gli Ermellini, i verificatori dell’AdE non sono stati ritenuti responsabili ex articolo 2043 c.c., per la denuncia in sé, bensì per le risultanze dei loro accertamenti, che, se fossero stati effettuati correttamente, non avrebbero indotto il P.M. ad esercitare l'azione penale.

NON E’CENSURABILE LA CONDOTTA DEL LAVORATORE RAPPRESENTANTE SINDACALE CHE RILASCIA UNA INTERVISTA SUI MOTIVI DELL’AGITAZIONE AZIENDALE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.7676 DEL 16 MARZO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°7676 del 16 marzo 2023 – ha confermato che la veridicità dei fatti emersi durante il rilascio di una intervista da parte del rappresentante sindacale non può costituire oggetto di sanzione disciplinare.

Nel caso in specie, un lavoratore, componente della RSU, nel corso di un'intervista rilasciata ad un quotidiano aveva dichiarato che i motivi dell’agitazione erano da ricercarsi nello svolgimento dell’orario di lavoro, diventato sempre più pesante, in genere con turni di 12 ore che con il sistema del cosiddetto scivolamento (id: straordinario) diventavano anche turni che superavano le 14 ore massime consentite. Il disaccordo nasceva altresì dalla prassi aziendale secondo la quale, le pause tra un servizio e l’altro non erano considerate lavoro effettivo. “Non è così” – indicava il lavoratore – aggiungendo: “quando sei di turno sei comunque a disposizione, non è che puoi gestire il tempo a tuo piacere o rilassarti. Chiediamo perciò orari meno pesanti”.

In riscontro alla dichiarazione del lavoratore, l’azienda datrice aveva aperto un procedimento disciplinare, conclusosi con l’applicazione della sanzione pari a un giorno di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Il Tribunale di Ravenna e la Corte d’Appello di Bologna, successivamente adita dall’azienda, avevano giudicato frutto di condotta antisindacale la sanzione disciplinare comminata.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società datrice specificando che nel comminare la sanzione disciplinare al lavoratore, non aveva affatto limitato né leso interessi collettivi dell'organizzazione sindacale ma aveva solo contestato l’asserita imposizione di turni di lavoro che in realtà non erano mai stati accertati e provati, il tutto con conseguente lesione dell’immagine aziendale.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso richiamando il corretto operato dei Giudici di prime cure. Invero, hanno continuato gli Ermellini, dalla semplice lettura dell'intervista, emerge il tono assolutamente compassato dell'intervistato e la veridicità intrinseca dei fatti riferiti, da individuarsi nella comprovata esistenza e risalenza di una controversia fra le parti sociali in merito all'interpretazione del Contratto collettivo aziendale, con riguardo alla computabilità o meno nel monte orario consentito delle "pause" di servizio che, di fatto, se computate avrebbero comportato lo sforamento dell’orario giornaliero consentito per legge. Non di meno, hanno concluso gli Ermellini, sanzionare il rilascio di una intervista equivale ad espungere dal novero delle libertà sindacali quelle di reinterpretazione e di rinegoziazione degli accordi sottoscritti.

LICENZIAMENTO PER L’AUTISTA CHE TRASMETTE MESSAGGI NO VAX SUL DISPLAY DELL’AUTOBUS

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7293/2023 DEL 13 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 7293 depositata il 13 marzo 2023, ha sancito la legittimità del licenziamento per giusta causa comminato per uso improprio degli strumenti aziendali ad un autista che aveva inserito sul display dell’autobus un messaggio no vax.

Nel caso in trattazione un autista impugnava il licenziamento per giusta causa comminatogli per aver inserito sul display dell’autobus una scritta scurrile con cui esprimeva la propria posizione no-vax, successivamente fotografata e postata anche su Facebook. La Corte d’Appello confermava la decisione del Giudice di prime cure ravvisando nel comportamento del lavoratore la condotta di chi, avvalendosi della propria condizione lavorativa, si procura un indebito vantaggio nell’esprimere in termini volgari un’opinione personale sulle vaccinazioni. Tale azione disonorevole rendeva il lavoratore indegno della stima pubblica tanto che, anche sul social dove aveva postato la foto, un interlocutore gli aveva detto che avrebbe meritato di essere licenziato.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione del R.D. n.148/1931 artt, 42 e 45 nonché dell’art, 1362 c.c. in riferimento alla L. 300/1970 art, 18, per avere la Corte d’Appello erroneamente inquadrato giuridicamente come legittimo il motivo di licenziamento per giusta causa e proporzionata la sanzione. In particolare, il ricorrente obiettava che il comportamento oggetto di incolpazione costituiva mancanza da cui era derivata una momentanea irregolarità nel servizio o poteva derivarne danno non rilevante alla sicurezza del servizio ma non l'appropriazione di un bene aziendale a lui affidato e la alterazione di documenti di trasporto come ritenuto dai giudici di Appello. I Giudici della Corte Suprema ritenevano chi i Giudici di seconde cure correttamente avessero giudicato la condotta del lavoratore ed evidenziavano come il display luminoso di un autobus, in quanto indicatore luminoso e visibile a terzi della linea, della destinazione, oltre che mezzo di comunicazione di eventuali emergenze per gli utenti, può considerarsi sicuramente compreso nel concetto di "documenti di servizio, registri od atti qualsiasi appartenenti all'azienda o che la possano comunque interessare" secondo quanto deducibile da una lettura del Regio Decreto del 1938 calata nell'attualità. Alcun vizio di sussunzione è, pertanto, ravvisabile nelle argomentazioni della Corte distrettuale che, in modo esatto, aveva fatto rientrare il comportamento addebitato tra le ipotesi sanzionabili con la destituzione (art. 45) e non con la sospensione dal servizio.

UTILIZZABILITÀ DELLE VIDEOCAMERE DI SORVEGLIANZA PER LA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 8375 DEL 23 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 8375 del 23 marzo 2023, statuisce che gli impianti di videosorveglianza, installati dal datore di lavoro ai fini della sicurezza della struttura, possono essere utilizzati anche per la contestazione disciplinare al lavoratore.

Nel caso in oggetto, un lavoratore ricorreva giudizialmente per chiedere l’annullamento della sanzione disciplinare comminata dal datore di lavoro in seguito all’accertamento del comportamento violento tenuto dal lavoratore, assunto con mansioni di educatore professionale, nei confronti di uno studente, ripreso dalle telecamere di videosorveglianza installate ai fini di sicurezza, senza violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

La Corte d’Appello rigettava la domanda proposta dal lavoratore, ritenendo che il procedimento disciplinare fosse stato svolto correttamente e che vi fosse proporzionalità tra la sanzione comminata e la gravità della condotta posta in essere dall’educatore. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso, afferma che per la contestazione disciplinare di una condotta tenuta dal dipendente può legittimamente trarre origine dalle riprese effettuate dalle videocamere di sorveglianza, a condizione che la loro valutazione avvenga nell’ambito di tutto il complesso probatorio. Tali sistemi, infatti, anche se installati dal datore di lavoro con finalità di sicurezza e collocate, in base agli accordi sindacali, in spazi accessibili anche al personale non dipendente e non deputati ad accogliere prestazioni di lavoro, sono utilizzabili per fini diversi rispetto a quelli per i quali sono stati installati, in quanto ritenuti strumenti comunque rispettosi delle garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.

LA CONOSCENZA DEL DATORE NON SI PERFEZIONA PER COMPIUTA GIACENZA DELLA RICHIESTA DOCUMENTALE AD OPERA DELL'ISPETTORATO DEL LAVORO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 15237 DEL 12 APRILE 2023

La Corte di Cassazione – Sezione Penale – sentenza n° 15237 del 12 aprile 2023, ha sancito che non è configurabile il reato di cui all'art. 4, ultimo comma, della Legge 628/61, laddove la prova della conoscenza da parte del datore della richiesta di documentazione avanzata dagli ispettori del lavoro sarebbe il verbale di prescrizione, la cui notifica si è perfezionata per compiuta giacenza.

La vicenda in esame riguarda il ricorso sollevato dal Procuratore della Repubblica volto ad accertare la sussistenza del reato di mancata trasmissione della documentazione in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale da parte del datore a seguito di richiesta inoltrata dall'Ispettorato mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, la cui conoscenza si era perfezionata – secondo l'accusa – per compiuta giacenza. Il Procuratore, tra l'altro, lamentava l'inconsistenza sul piano probatorio degli elementi forniti dal datore in merito al mancato ritiro della raccomandata, giustificato genericamente con l'assenza da casa, condizione superabile dall'ordinaria diligenza.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, rileva preliminarmente che l'art. 4 punisce colui che, su richiesta legale da parte dell’Ispettorato del Lavoro, non risponde o risponde in modo consapevolmente scorretto. Ciò posto, l’effettiva conoscenza della richiesta deve essere ritenuta necessaria in quanto fonte diretta dell’obbligo sanzionato penalmente; ne consegue che non può essere ritenuta sufficiente una notificazione per compiuta giacenza, la quale esclude, per definizione, l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario.

La Cassazione, inoltre, sottolinea che non può essere richiamata la giurisprudenza elaborata in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali all’INPS e di prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro perché, sia l'art. 20 del D.Lgs. 758/94 che l'art. 2, comma 1-bis del D.L. 463/83 hanno una finalità diversa, ovvero deflattiva e premiale, consentendo di eliminare la contravvenzione accertata mediante, ad esempio, il versamento delle ritenute, in modo da rendere non punibile il reato già commesso; pertanto, le comunicazioni previste da queste due disposizioni – e successive alla commissione di illeciti- sono validamente effettuate anche per compiuta giacenza, trattandosi di notificazioni dirette a soggetti i quali hanno già commesso reati e, dunque, hanno piena contezza delle finalità di tali atti.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 17 Aprile 2023