8 Maggio 2017
Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….
LA VALUTAZIONE INERENTE LA GRAVITA’ DEL FATTO POSTO A FONDAMENTO DEL RECESSO PER GIUSTA CAUSA COMPETE AL GIUDICE DI MERITO.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9598 DEL 13 APRILE 2017.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 9598 del 13 aprile 2017, ha (ri)statuito che nel recesso per giusta causa, la valutazione inerente la gravità del comportamento posto in essere dal prestatore è rimessa al Giudice di merito che, ponderando tutti gli elementi a sua disposizione, valuta la sussistenza e l’entità della (paventata) lesione del vincolo fiduciario e la conseguente legittimità del licenziamento irrogato dal datore di lavoro.
Nel caso de quo, un dipendente veniva licenziato, per giusta causa, avendo prolungato un periodo di congedo, regolarmente concesso, ricorrendo alla simulazione di uno stato di malattia.
Avverso l'atto di recesso datoriale, il subordinato ricorreva ai Magistrati sostenendo che il Regio Decreto n° 148/1931 prevedesse, nel caso di “simulazione di malattia” da parte del lavoratore dipendente, la “sola” sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Vittorioso in I° grado, il lavoratore soccombeva in Appello, in quanto i Giudici della Corte territoriale ritenevano che la fattispecie in esame fosse di maggiore gravità rispetto alla “semplice” simulazione di malattia in quanto il dipendente aveva posto in essere una molteplicità di azioni per avvantaggiarsi di un periodo di riposo più duraturo.
Inevitabile il ricorso per Cassazione.
Orbene gli Ermellini, nel confermare il deliberato di Appello, hanno evidenziato che la valutazione inerente la gravità del comportamento del dipendente, e la sua incidenza sul vincolo fiduciario, è rimessa al Giudice di merito che, al fine di statuire la legittimità dell'atto di recesso, valuta tutti gli elementi di cui viene a conoscenza.
Pertanto, atteso che nel caso in disamina, il comportamento posto in essere dal prestatore era molto più grave di quello enunciato nel decreto del periodo fascista, in quanto lo stesso aveva volontariamente agito, con evidente volontà fraudolenta, al fine di prolungare la sua assenza dal lavoro, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità dell'atto di recesso datoriale irrogato per il venir meno dell'imprescindibile vincolo fiduciario fra le parti.
IL CRITERIO DI IMMEDIATEZZA DELLA CONTESTAZIONE DEVE TENER CONTO DELLA SPECIFICA NATURA DELL'ILLECITO DISCIPLINARE E DEL TEMPO OCCORRENTE PER L'ESPLETAMENTO DELLE RELATIVE INDAGINI.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9285 DELL’ 11 APRILE 2017.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 9285 dell'11 aprile 2017, ha (ri)confermato, in tema di immediatezza della contestazione disciplinare, che il relativo criterio va inteso in senso relativo, avendo riguardo alla complessità del caso ed alla organizzazione aziendale del datore di lavoro.
Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la decisione del Giudice di primo grado che aveva respinto la domanda di un lavoratore, tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato per la tardività della relativa contestazione.
Nella fattispecie, i fatti costituenti illecito disciplinare avevano riguardato la condotta del subordinato, responsabile di aver accettato pagamenti da un fornitore del datore di lavoro al fine di "chiudere un occhio su eventuali difetti di lavorazione" evitando così la cosiddetta "bolla rossa", cioè il mancato superamento del controllo di qualità dei pezzi forniti. All'uopo, la Corte d'Appello aveva rilevato che era stata raggiunta la prova di un continuativo rapporto infedele del lavoratore, potendosi ritenere dimostrata l'effettuazione di pagamenti in contanti nelle mani del lavoratore e, nel contempo, escludeva l'ipotesi di tardività del procedimento disciplinare espulsivo.
Non dello stesso avviso il lavoratore che ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, evidenziando che la società datrice non si era avvalsa della possibilità di rimettere la propria decisione all'esito del contemporaneo giudizio penale, ma aveva solo procrastinato, senza motivo, l'adozione del provvedimento espulsivo.
Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dando rilievo alle argomentazioni dei Giudici di prime cure in forza delle quali doveva escludersi la tardività della contestazione. Ed infatti, hanno continuato gli Ermellini, nel rispetto del principio di immediatezza della contestazione, che non consente all'imprenditore – datore di lavoro di procrastinare la contestazione in modo da perpetuare l'incertezza sul rapporto, si ravvisa la necessità che il medesimo criterio sia inteso in senso relativo, ovvero tenendo conto altresì, della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale.
L’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO BASATO SU STUDI DI SETTORE NON PUO’ BASARSI SOLO SULLO SCOSTAMENTO DAI PARAMETRI STANDARD.
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 8033 DEL 29 MARZO 2017.
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 8033 del 29 marzo 2017, ha statuito che l’avviso di accertamento motivato con il mero scostamento del reddito dichiarato dai parametri standard degli studi di settore è nullo se non prende in considerazione le eccezioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio.
Nel caso in specie a carico di una società di capitali, l’Agenzia delle Entrate determinava, ai sensi dell’art. 62-sexies, D.L. n. 331/1993, un maggior reddito ai fini IRES.
La società ricorreva prontamente alla giustizia tributaria, ma la CT.R. in riforma della sentenza di primo grado, considerava valido e legittimo l’avviso di accertamento notificato, ritenendo che la parte non avesse fornito la prova delle presunzioni relative all’attività dalla stessa svolte.
Da qui, il ricorso per Cassazione da parte della società contribuente.
Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso con cui la società contribuente ha denunciato l’omesso esame, da parte della C.T.R., di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione.
Ciò rilevato, gli Ermellini, nel richiamare un consolidato indirizzo giurisprudenziale in materia di parametri o studi di settore (Cass. n. 27822/2013), hanno sottolineato come, in subiecta materia, la motivazione dell’avviso di accertamento non può prescindere dalla valutazione delle contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, limitandosi al mero rilievo dello scostamento dai parametri.
“In tali casi, infatti, il contraddittorio con il contribuente costituisce un elemento essenziale ed imprescindibile del giusto procedimento, al fine di realizzare il necessario adeguamento alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la presunzione alla concreta realtà economica dell’impresa” (Cass. n. 13741/2013; Cass. n. 12428/2012).
Per le considerazioni di cui sopra, i Giudici delle Leggi, hanno concluso che “la motivazione dell’avviso di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dei parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio), a pena di nullità, con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente” (Cass. n.27822/2013).
Conseguentemente, la sentenza di secondo grado è stata cassata con rinvio per un nuovo esame circa la valutazione di adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo, alla luce delle specifiche deduzioni fornite dal contribuente e della concreta situazione dallo stesso prospettata.
PER LA CASSAZIONE È ILLEGITTIMO L’ACCERTAMENTO BASATO SULL’ACQUISTO DELL’IMMOBILE EFFETTUATO DOPO IL BONIFICO DEL FIDANZATO
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 7258 DEL 22 MARZO 2017
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 7258 del 22 marzo 2017, ha statuito che è sufficiente a far annullare un accertamento basato sul redditometro in caso di sproporzione fra il dichiarato e l’immobile acquistato, il bonifico effettuato dal fidanzato recante la causale “sussidi e regalie”.
Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, hanno ricordato che, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle Imposte a servirsi di ogni e qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’art. 38, c.3, del DPR n. 600/73, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, di tal che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa.
Nel caso di specie, confermando la sentenza dei Giudici Territoriali, gli Ermellini hanno respinto in toto le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo più che sufficiente la tesi fornita dalla contribuente costituita dal bonifico bancario con tanto di causale circa la donazione avuta. Infatti, la contribuente, attraverso la produzione della documentazione bancaria, ha pienamente dimostrato di aver proceduto agli acquisti immobiliari di causa grazie al denaro derivante da una rimessa derivante dal futuro marito, e ciò sulla base di documentazione bancaria dalla quale si evinceva l’accredito a titolo di regalia in quanto specificava che il motivo dell’introito era un acquisto immobile e la causale era costituita da sussidi e regalie.
In nuce, per la S.C., deve essere presa in considerazione la natura di estratto di scrittura contabile prodotto dalla contribuente, in quanto detta documentazione forniva anche l’indicazione sulle date dei movimenti, dai quali si poteva apprezzare la sequenza temporale dell’operazione di accredito e, successivamente, di quella di addebito degli assegni circolari utilizzati per l’acquisto dell’immobile. Ex adverso, non può essere presa in considerazione l’eventuale nullità sotto il profilo civilistico, eccepita dall’Ufficio, della donazione fatta con forme diverse da quelle previste dalla legge, che elide la prova del fatto storico perché le somme avrebbero una provenienza non reddituale. La liberalità de qua va considerata come donazione indiretta, prevista e regolata dall’art. 809 c.c.
AI FINI DELLA VALIDITA' DEL PATTO DI PROVA LE MANSIONI SU CUI ESSO E’ ARTICOLATO VANNO BEN SPECIFICATE
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9597 DEL 13 APRILE 2017
La Corte di Cassazione, sentenza n° 9597 del 13 aprile 2017, ha chiarito che, ai fini della validità del patto di prova, le mansioni devono essere analiticamente indicate ed in particolar modo per il personale invalido. La prova deve essere valutata in conformità allo stato di infermità o minorazione del soggetto.
Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Roma, in riforma del Giudice di prima istanza, accoglieva il ricorso di una lavoratrice invalida inquadrata come operatore ecologico e licenziata per mancato superamento del periodo di prova. In particolare, la lavoratrice veniva assunta con la qualifica di operatrice ecologica di primo livello, senza alcuna ulteriore specificazione rinviando alla classificazione prevista del CCNL. Però stante la presenza di ben otto livelli professionali, il rinvio al CCNL, pur se astrattamente ammissibile, non consentiva di verificare le effettive mansioni che la lavoratrice doveva svolgere.
Nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con i Giudici di merito, hanno ricordato che è possibile stipulare il patto di prova con un lavoratore invalido, ma le mansioni devono essere compatibili con il suo stato di salute o minorazione fisica e giammai l'esito della prova può riguardare questioni di rendimento inerenti proprio lo stato di salute. Di conseguenza, fin dall'inizio è necessario dettagliare le mansioni da svolgere perché il recesso deve essere motivato.
Inoltre, seppur possibile un rinvio alle declaratorie contrattuali è pur sempre necessario che lo stesso CCNL non abbia una connotazione generica come nel caso in esame.
Ad maiora
IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO
(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!
Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro
Modificato: 8 Maggio 2017