24 Aprile 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….


DIMISSIONI DELLA LAVORATRICE MADRE SENZA CONVALIDA SONO SEMPRE INEFFICACI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 5598 DEL 23 FEBBRAIO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 5598 del 23 febbraio 2023, afferma che “la specifica finalità antiabusiva perseguita dalla norma in tema di convalida delle dimissioni della lavoratrice madre risulterebbe in larga parte vanificata ove si accedesse all'opzione per la quale, una volta trascorso il periodo protetto, non sarebbe necessaria la convalida da parte dei servizi ispettivi per il prodursi della efficacia del negozio di recesso”.

Il caso in argomento riguarda il ricorso della lavoratrice teso ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società e le differenze retributive per il periodo compreso tra l'8 gennaio 2008 (data nella quale la dipendente, assente per maternità, aveva rassegnato le dimissioni) ed il 22 maggio 2008 (in coincidenza con il venir meno del periodo "protetto").
Mentre il Tribunale accoglieva il ricorso, la Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione del Giudice a quo, dichiarava l’inefficacia delle dimissioni rassegnate per non essere mai intervenuto il prescritto provvedimento di convalida da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, condannando la società al pagamento degli importi corrispondenti alle retribuzioni mensili non percepite non sino al termine del periodo protetto, ma fino alla data di deposito del ricorso giudiziale.

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, rileva che non può essere sostenuta l’interpretazione dell’art. 55 del D.lgs. 151/2001 secondo cui l’inefficacia delle dimissioni non convalidate dal servizio ispettivo ministeriale sarebbe limitata al solo periodo "protetto", per cui una volta trascorso detto periodo le stesse sarebbero produttive della estinzione del rapporto di lavoro; la cessazione del periodo protetto, difatti, costituisce un fattore neutro inidoneo ad incidere, ora per allora, sulla volontà dismissiva del dipendente.

Secondo i Giudici di piazza Cavour siffatta interpretazione, innanzitutto, non è sorretta dal dato testuale, in secondo luogo confliggerebbe con la specifica ratio della disposizione, votata a salvaguardare la genuinità e la spontaneità dell’intenzione dismissiva espressa dalla lavoratrice in un periodo particolarmente delicato, corrispondente alla gravidanza ed al primo anno di vita del bambino, contro eventuali abusi datoriali volti a viziare o condizionare in vario modo la formazione della volontà.

E’ LEGITTIMO L’ACCESSO DELLA GDF PRESSO LO STUDIO DEL PROFESSIONISTA PER LA VERIFICA DI UN ASSISTITO ANCHE IN ASSENZA DEL TITOLARE DI STUDIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.9515 DEL 6 APRILE 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°9515 del 6 aprile 2023 – ha confermato la legittimità degli accessi della Guardia di Finanza presso lo studio professionale, in assenza del titolare, quando la verifica abbia ad oggetto un cliente del professionista.

Nel caso in specie, la CTP di Bari e la CTR della Puglia avevano accolto il ricorso di un contribuente avverso un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate e scaturente dai rilievi effettuati dalla GdF in seno ad un controllo documentale, presso lo studio del professionista tenutario delle scritture contabili del contribuente. In particolare, era stato considerato illegittimo l’accesso della GdF e l’acquisizione della documentazione, giacché messa a disposizione da una collaboratrice del professionista che si trovava fuori sede.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate sul presupposto della legittimità della verifica fiscale.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ritenendo fondato il motivo di doglianza dell’AdE. Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato il contenuto dell’art. 52, comma 1 del DPR 633/72, vigente ratione temporis e applicabile specularmente ai fini delle imposte dirette che recita: “In ogni caso, l'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti e professioni dovrà' essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato”. In particolare, l’inciso normativo trova la sua ratio nella circostanza che il professionista è in genere custode di tutta una serie di documenti, notizie ed informazioni confidenziali che riguardano la sfera personale dei suoi assistiti e rispetto alle quali si impongono esigenze di riservatezza che, ricorrendone i presupposti normativi, possono assumere anche la rilevanza del segreto professionale.

Nella sostanza, hanno argomentato gli Ermellini, la norma in questione si preoccupa di tutelare la sfera di riservatezza dei clienti del professionista quando quest'ultimo sia direttamente oggetto delle indagini tributarie, rispetto alle quali i suoi assistiti siano meramente terzi.

La situazione sub iudice risultava oggettivamente diversa, nella fattispecie, infatti, il professionista non era attinto personalmente dalla verifica fiscale e l'accesso della GdF presso il suo studio era finalizzato solo ad acquisire la documentazione contabile del suo cliente, sottoposto a controllo fiscale, della quale egli era depositario, ex art. 52, comma 10, DPR 633/72.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, può formularsi il seguente principio di diritto: " In tema di accessi, ispezioni e verifiche, ai fini degli accertamenti sia in materia di Iva che di imposte dirette, il DPR 633/72, art. 52, comma 1 e il DPR 600/73, art. 33, comma 1, secondo cui in ogni caso, l'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato, disciplinano la fattispecie in cui il professionista sia lo stesso contribuente oggetto delle indagini tributarie, ma non anche quelle in cui egli sia il depositario delle scritture contabili di un diverso soggetto contribuente sottoposto a controllo fiscale.".

INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO SOGGETTA A CONTRIBUZIONE ANCHE SE TRANSATTIVAMENTE NON CORRISPOSTA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 8913 DEL 29 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 8913 del 29 marzo 2023, ha affermato che, nonostante le somme erogate in adempimento di una transazione non siano soggette alla regola del minimale contributivo (Cass. 41021/2021; 17495/2009), l’INPS ha sempre facoltà di dimostrare quali importi -sebbene non erogati per accordo conciliativo tra le parti- sarebbero dovuti in base al rapporto di lavoro e di assoggettare gli stessi a contribuzione.

Il caso in esame riguarda l’opposizione giudiziale proposta da una società avverso un verbale di accertamento emesso dall’INPS e avente ad oggetto il pagamento di contributi omessi in relazione ad indennità sostitutive del preavviso non erogate a vari lavoratori con cui era stato raggiunto un accordo in sede sindacale, in virtù del quale gli stessi rinunciavano alla predetta indennità e ricevevano somme a titolo di incentivo all’esodo.
La Corte d’Appello accoglieva la domanda, sul presupposto che i dipendenti avevano legittimamente rinunciato all’indennità sostitutiva del preavviso e, conseguentemente, a fronte della mancata erogazione di alcuna somma a tale titolo non poteva sorgere il correlativo obbligo contributivo.

La Cassazione, nel ribaltare la pronuncia di merito, rileva, preliminarmente, che la regola del minimale contributivo fa riferimento alla retribuzione dovuta per legge e non a quella effettivamente corrisposta dal datore. Dunque, secondo i Giudici di legittimità sono irrilevanti sia gli inadempimenti contrattuali del datore verso il lavoratore che implichino l’omesso pagamento della retribuzione, sia gli accordi tra dipendente e parte datoriale in base ai quali si stabilisca la non debenza della retribuzione.

Invero, con riferimento a quest’ultima fattispecie, la sentenza rileva che gli accordi transattivi tra datore e lavoratore sono inopponibili all’INPS, inerendo al rapporto di lavoro e non al distinto rapporto previdenziale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Istituto previdenziale e dichiara la debenza della contribuzione omessa in relazione all’indennità sostitutiva del preavviso.

LA VALUTAZIONE DEL PERSONALE COINVOLTO IN PROCEDURE DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO DEVE TENERE CONTO DELLA PROFESSIONALITÀ COMPLESSIVAMENTE ACQUISITA DAL DIPENDENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9128 DEL 31 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 9128 del 31 marzo 2023, ha (ri)statuito che, nell’ambito dei procedimenti di licenziamento collettivo, la scelta dei lavoratori interessati dal provvedimento deve essere effettuata tra tutto il personale dipendente, comparando la professionalità complessiva acquisita, mediante esperienza in altri reparti della stessa azienda.

Nel caso esaminato, una lavoratrice ricorreva in giudizio contro il licenziamento intimato nell’ambito di una procedura collettiva. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza dei Giudici di prime cure, accoglieva il ricorso disponendo la reintegra della lavoratrice, nonché la corresponsione dell’indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione. La Corte distrettuale aveva, infatti, rilevato la violazione dei criteri di scelta ex art. 5 della Legge n. 223/1991, poiché il datore di lavoro non aveva tenuto conto delle esperienze professionali maturate dalla dipendente anche in altri reparti dell’azienda. Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, deducendo falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della Legge n. 223/1991.

La Suprema Corte, confermando il decisum dei Giudici di Appello, afferma che nelle procedure di licenziamento collettivo per riduzione di personale, laddove la ristrutturazione aziendale riguardi una specifica unità produttiva o un settore o un reparto della stessa, la scelta dei lavoratori da avviare a mobilità può essere limitata nell’ambito degli stessi, fatta salva la possibilità che vi siano lavoratori che per la pregressa esperienza maturata in altri reparti della stessa azienda possano occupare le posizioni lavorative dei colleghi addetti a questi ultimi, restando in capo al dipendente l’onere di provare la fungibilità nelle diverse mansioni. La comparazione tra lavoratori di professionalità equivalente deve tenere conto non solo delle mansioni concretamente svolte nel momento di avviamento delle procedure, ma anche delle capacità professionali degli addetti ai reparti o settori da sopprimere, mettendo a confronto tutti i lavoratori presenti in azienda e che siano in grado di svolgere le mansioni nei reparti o settori non soppressi.

IL FALLIMENTO DEL PREPONENTE NON COMPORTA LO SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO DI AGENZIA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 10046/2023 DEL 13 GENNAIO 2023

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10046, depositata il 16 aprile 2023, ha sancito che il fallimento del preponente non comporta lo scioglimento del rapporto di agenzia, applicandosi la sospensione dell'esecuzione del contratto fino alla determinazione del curatore di subentro: non è infatti possibile assimilare il rapporto di agenzia a quello di mandato.

Nel caso in esame un agente di commercio proponeva domanda di opposizione allo stato passivo essendo stata esclusa l'ammissione, in sede fallimentare, dell'indennità suppletiva di clientela e di quella di mancato preavviso, sul rilievo dello scioglimento ope legis del contratto di agenzia per l'intervenuto fallimento della preponente. Il Tribunale rigettava la richiesta in quanto riteneva che suddette indennità non spettassero all’agente vista l’inapplicabilità, al rapporto di agenzia, della regola generale di sospensione dell'esecuzione del contratto fino alla determinazione del curatore di subentro, attesa la natura fiduciaria del rapporto di preposizione e la conseguente cessazione automatica in caso di fallimento del preponente, per ravvisata assimilabilità della fattispecie a quella del rapporto di mandato e del disposto dell'art. 78 L. fall., a norma del quale “il contratto di mandato si scioglie per il fallimento del mandatario”.

L’agente ricorreva in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1751 c.c., 72, 78 L. fall., 9, 10 AEC 30 luglio 2014 e 20 marzo 2002; secondo la parte attrice, infatti, il giudice di merito avrebbe dovuto propendere per l'applicazione della regola generale prevista dall'art. 72 L. fall., con la conseguente ammissibilità delle suddette indennità. Gli Ermellini, dopo aver ribadito la sostanziale assenza di una disciplina specifica che regoli il contratto di agenzia nell’ambito dei rapporti pendenti di cui all’art. 72 L. fall., ricordavano che dottrina e giurisprudenza sul punto avevano, prima della riforma, posizioni differenti con una preferenza, per la dottrina, per l'assimilazione della vicenda a quella del contratto di mandato, con conseguente applicazione del dettato dell'art. 78 l. fall., che prevedeva lo scioglimento “per il fallimento di una delle parti”. La giurisprudenza, invece, propendeva per l’applicazione, al rapporto di agenzia, della regola della sospensione dell'esecuzione del contratto fino alla determinazione del curatore di subentro ovvero di scioglimento del contratto ex art. 72 l. fall. I giudici ricordavano che ai fini della qualificazione del rapporto come mandato o agenzia, un ruolo determinate era assunto dal criterio della stabilità e natura dell’incarico: nel rapporto di agenzia rileva il carattere di continuità e stabilità della promozione di affari per conto del preponente e nell'ambito di una determinata sfera territoriale, mentre  nel rapporto di mandato la promozione di determinati affari assume una veste solo episodica ed occasionale, con le caratteristiche tipiche del procacciamento di affari ed in assenza di qualsivoglia vincolo di stabilità. Tale distinzione si riverbera sulla stessa disciplina applicabile alle due fattispecie; pertanto, la Suprema Corte deduceva l'impossibilità di sostanziale assimilazione del rapporto di agenzia a quello di mandato e la conseguenza della corretta applicabilità alla vicenda in esame della regola generale di sospensione stabilita dall'art. 72, primo comma l. fall. La sospensione del rapporto ne esclude lo scioglimento ipso iure per effetto della sentenza di fallimento della preponente, dovendo la fase di quiescenza essere risolta da una decisione definitiva della curatela, la quale, non necessitando di alcuna autorizzazione e non essendo né un negozio formale né un atto di straordinaria amministrazione, ben può anche essere tacita ovvero espressa per fatti concludenti, trattandosi di una prerogativa discrezionale del Curatore.

Nella fattispecie esaminata, lo scioglimento del contratto di agenzia sarebbe avvenuto solo con il provvedimento di esclusione dallo stato passivo dei crediti fondati su detto contratto, ma ciò avrebbe dovuto comportare la doverosa ammissibilità, allo stato passivo del fallimento, dei crediti invocati dall'agente a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e suppletiva di clientela, stante la relativa natura concorsuale assunta a seguito dell'intervenuta sospensione del rapporto di agenzia pendente all'apertura della procedura.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 24 Aprile 2023