8 Maggio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

IL DATORE DI LAVORO HA IL DOVERE DI VALUTARE I RISCHI INFORTUNISTICI ANCHE PER GESTIRE EVENTUALI PERICOLI OCCULTI O NON IMMEDIATAMENTE PERCEPIBILI

CORTE DI CASSAZIONE – IV SEZ. PENALE – SENTENZA N. 9450 DEL 7 MARZO 2023

La Corte di Cassazione – sentenza n°9450 del 7 marzo 2023 – ha (ri)confermato, in tema di valutazione dei rischi specifici nel DVR, che il datore di lavoro è tenuto a valutare anche il cd. fattore occulto che possa inserirsi nella seriazione causale dell'evento infortunistico.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Trieste, ribaltando la sentenza assolutoria di primo grado, aveva condannato l’amministratore unico di una s.r.l., per lesioni personali gravi in offesa di un lavoratore subordinato commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare, il lavoratore, intento a espletare le proprie mansioni di stoccaggio di materiale, aveva provveduto a spacchettare un pacco di travi eliminando le relative fascette mediante un profilo in ferro, in luogo delle apposite forbici, assumendo, rispetto al pacco in oggetto, una posizione non di sicurezza. Con la caduta di una trave, dopo l'eliminazione di una delle fascette, il lavoratore aveva riportato la frattura del piede con conseguente accertamento della responsabilità in capo all'imprenditore in ragione della mancata specifica previsione del relativo rischio nel DVR, cui aveva provveduto solo all'esito delle successive prescrizioni impartitegli.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’amministratore obiettando l’operato dei Giudici del merito in relazione alla inidoneità del DVR che non aveva specificamente previsto il rischio “occulto” di stoccaggio di travi previo spacchettamento.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso confermando la valenza sostanziale del DVR, quale documento preordinato all'individuazione dei rischi volta alla concreta adozione di misure di prevenzione e protezione. Sul punto, hanno continuato gli Ermellini, il datore di lavoro, difatti, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Sul punto, il profilo di colpa dell’imprenditore aveva riguardato l'omessa predisposizione di un idoneo DVR con riferimento agli specifici rischi dell'attività di stoccaggio delle travi. Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, correttamente la Corte d’appello aveva escluso che il fattore occulto, consistente nell'errata legatura del pacco di travi da parte del fornitore, e la condotta colposa del lavoratore, pur inseritisi nella seriazione causale dell'evento, avevano interrotto il nesso causale tra la condotta omissiva dell'imputato e l'evento. Tanto il fattore occulto quanto la condotta del lavoratore, a giudizio della Corte territoriale, non avevano difatti attivato un rischio eccentrico rispetto a quello che era nella specie chiamato a governare il datore di lavoro; evento che, peraltro, era stato ritenuto concretizzazione del rischio non considerato nel DVR.

UTILIZZO IMPROPRIO DEL BADGE: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 10239 DEL 18 APRILE 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 10239 del 18 aprile 2023, ha affermato che l’uso improprio del badge al fine di attestare falsamente la propria presenza sul luogo di lavoro, costituisce giusta causa di licenziamento indipendentemente dall’esiguità del tempo effettivamente non lavorato.

Nel caso di specie, il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per giusta causa, sostenendo l'illegittimità dello stesso e chiedendo di essere reintegrato nel posto di lavoro. Tuttavia, il Tribunale di Taranto prima e la Corte di Appello poi, avevano confermato la legittimità del licenziamento.

I Giudici di merito avevano osservato che, sebbene non fosse possibile determinare in che misura l'utilizzo improprio del badge avesse permesso al lavoratore di attestare falsamente la sua presenza in azienda, la contestazione riguardava principalmente l'uso distorto del rilevatore delle presenze e del badge personale. L'azienda aveva emesso un ordine di servizio che imponeva ai lavoratori di eseguire personalmente la timbratura all'interno dell'azienda e non da parte di terzi. Pertanto, la durata dell'assenza dal posto di lavoro risultava irrilevante. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la violazione dell'ordine di servizio non fosse sufficiente a integrare la giusta causa di licenziamento.

La Suprema Corte, nel ribadire il decisum, ha aggiunto che la condotta del lavoratore che consegna il tesserino ad altri per farlo timbrare è oggettivamente grave. La Corte di merito ha valutato correttamente l'irrilevanza della durata dell'assenza e la ripetizione della condotta, che ne connota la gravità e che giustifica la sanzione irrogata.

Su tali presupposti il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

IL LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO DEVE ESSERE PROVATO DIMOSTRANDO LA COLPEVOLE NEGLIGENZA DEL LAVORATORE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9453 DEL 6 APRILE 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 9453 del 6 aprile 2023, ha affermato che nei casi di licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro è tenuto a provare la colpevole negligenza del lavoratore, non essendo sufficiente a legittimarlo la mera dimostrazione dello scostamento tra risultati attesi e raggiunti dal dipendente.

Nel caso de quo, il lavoratore impugnava il licenziamento intimato per giusta causa, in ragione della riduzione dell’attività lavorativa, intesa come riduzione del numero di visite ai clienti e del numero di nuovi clienti acquisiti, rispetto ad altri colleghi dello stesso settore.

Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello, riqualificavano il licenziamento in recesso per giustificato motivo soggettivo, poiché il CCNL applicato contemplava come licenziamento per giustificato motivo quello fondato su un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro.

La Suprema Corte, confermando la sentenza dei Giudici di merito, afferma che, secondo la precedente giurisprudenza in materia, nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro non può limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso, infatti, è tenuto a dimostrare che la causa dello stesso derivi unicamente dalla colpevole negligenza del lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni, Laddove siano individuabili i parametri per accertare se la prestazione sia stata eseguita con diligenza e professionalità medie, lo scostamento da essi rappresenta segno di un’inesatta esecuzione della prestazione. Pertanto, il licenziamento per scarso rendimento è da ritenersi legittimo qualora sia provata, attraverso l’analisi dell’attività media svolta dai dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione, una violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, che abbia causato una enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati e quelli effettivamente raggiunti.

COSTITUISCE LAVORO SUBORDINATO QUELLO DELLA COLLABORATRICE COINVOLTA IN ATTIVITA’ ESTERNE CHE RISPETTA L’ORARIO DI APERTURA DEL NEGOZIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 10050/2023 DEL 14 APRILE 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10050, depositata il 14 aprile 2023, ha riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di una collaboratrice di un fioraio sebbene non sia emerso il potere gerarchico e disciplinare del titolare del negozio. Fondamentali ai fine del giudicato sono risultati il riferimento al coinvolgimento in attività esterne, l’utilizzo di tutti gli strumenti forniti dal datore di lavoro e il rispetto di un orario determinato, coincidente con l’apertura del negozio al pubblico.

La Corte d’Appello dichiarava legittima l’istanza ritenendo che tra la titolare della rivendita e la collaboratrice fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal dicembre 2006 al febbraio 2008 e condannava, pertanto, la fioraia a pagare alla lavoratrice differenze retributive e T.F.R. per una somma pari a circa 15mila e 500 euro. Secondo i giudici, infatti, le prove raccolte, cioè dichiarazioni rilasciate a margine degli interrogatori formali e deposizioni di numerosi testimoni, avevano dimostrato il carattere subordinato del rapporto di lavoro tra fioraia e collaboratrice e soprattutto avevano certificato la continuità dell’attività di fiorista della collaboratrice del negozio, come testimoniato anche dall’orario coincidente con l’apertura dell’esercizio commerciale.

La datrice proponeva ricorso in Cassazione, tuttavia, anche i Giudici di terzo grado riconoscevano le ragioni della ex collaboratrice del negozio.

Gli Ermellini ribadendo che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto al rapporto di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, precisavano che tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, sicché ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento ad altri elementi, come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale. Aggiungevano, inoltre, che “tali elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale”. La Corte Suprema riteneva inoltre corretta la valutazione compiuta in appello, poiché erano stati individuati ed analizzati i parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, e, pur rilevando delle carenze con riferimento agli aspetti concernenti l’esercizio di un potere gerarchico e disciplinare della fioraia rispetto alla collaboratrice ed erano stati comunque ritenuti sussistenti tutti gli indici sintomatici della subordinazione.

In conclusione, la collaboratrice era sistematicamente inserita nell’organizzazione aziendale e metteva a disposizione le proprie energie lavorative, sia all’interno del locale commerciale sia nelle attività esterne di consegna a domicilio e degli allestimenti presso le chiese per i matrimoni ed utilizzava tutti gli strumenti forniti dal datore di lavoro e doveva osservare un orario determinato, coincidente con l’apertura del negozio al pubblico».

L’ESENZIONE DEL CONTRIBUENTE DALLA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA TRIBUTARIA DERIVA DALLA CONDIZIONE DI INEVITABILE INCERTEZZA SUL CONTENUTO, SULL’OGGETTO E SUI DESTINATARI DELLA NORMA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9055 DEL 30 MARZO 2023

La Corte di Cassazione – ordinanza n°9055 del 30 marzo 2023 – ha (ri)confermato, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, che l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente da responsabilità, non può ravvisarsi nella mera pendenza di un giudizio sulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale, dovendo emergere altrimenti condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della stessa norma.

Nel caso de quo, l'Avvocatura generale dello Stato ha proposto ricorso avverso la decisione della CTR di Milano che aveva rigettato l'appello promosso dall'Ufficio avverso la decisione della CTP di Pavia. In particolare, la società contribuente, fruendo del credito d'imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, aveva impugnato l'atto di irrogazione della sanzione per incertezza oggettiva della disciplina di riferimento. I due gradi di merito erano entrambi favorevoli alla società contribuente. In particolare, la CTR riteneva sussistere incertezza normativa in ordine alle procedure da seguire per accedere al credito d'imposta.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Avvocatura generale dello Stato lamentando la violazione del DLgs. n° 546 del 1992, art. 8, comma 1, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, criticando la sentenza nella parte in cui la CTR ha confermato l'annullamento dell'atto di irrogazione delle sanzioni senza indicare gli specifici elementi da cui far discendere l'incertezza normativa di cui al citato articolo 8.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso confermando che l'essenza del fenomeno dell'incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al Giudice accertare nel loro valore indicativo.

Non di meno, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente da responsabilità, ex Decreto Legislativo n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, non può ravvisarsi nella mera pendenza di un giudizio sulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale, dovendo emergere altrimenti condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della stessa norma.

Sul punto, gli Ermellini hanno altresì ricordato che  la condizione d'inevitabile "incertezza normativa tributaria" sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria, che costituisce causa di esenzione, consiste in un'oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d'individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l'incertezza soggettiva, derivante dall'ignoranza incolpevole del diritto o dall'erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa.

Il collegio d'appello, hanno concluso gli Ermellini, non ha ben governato questi principi, decidendo senza indicare gli specifici elementi da cui far discendere l'incertezza normativa di cui al citato articolo 8, donde il ricorso dell’Avvocatura generale dello Stato è fondato e, pertanto, il giudizio è stato definito nel merito con il rigetto del ricorso originario della parte contribuente.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino

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Modificato: 8 Maggio 2023