30 Maggio 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LA MANCATA COMUNICAZIONE DELLE VARIAZIONI DEL REDDITO COMPORTA LA REVOCA DAL BENEFICIO DEL GRATUITO PATROCINIO A SPESE DELLO STATO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9727 DEL 25 MARZO 2022.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°9727 del 25 marzo 2022 – ha statuito – in tema di requisiti per l'ammissione al  patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario – che la mancata comunicazione delle variazioni di reddito, da parte del cittadino non abbiente, intervenute annualmente, comporta la revoca del beneficio di ammissione.

Nel caso de quo, il presidente della corte d'appello di Firenze, accogliendo il reclamo del ricorrente avverso la revoca del patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di un procedimento penale, aveva ammesso il cittadino non abbiente  al beneficio e aveva liquidato i compensi spettanti al suo difensore; in particolare, aveva ritenuto che l'onere della parte di comunicare le variazioni di reddito anno dopo anno, ex art. 79, comma 1, lett. d) del DPR 30 maggio 2022, n°115, non fosse sanzionabile con la perdita del beneficio nel caso in cui, come nella specie, si trattava di variazioni non determinative del superamento del limite (id: euro 11.746,68 per l'anno 2022) che giustifica l'ammissione al beneficio stesso.

Il Ministero della giustizia ha proposto ricorso per cassazione contro la detta pronuncia evidenziando violazione del DPR 30 maggio 2022, n°115, art. 112, comma 1, lett. a) che impone la revoca del beneficio di ammissione, in tutti i casi in cui nei termini previsti dall'art 79 citato      l'interessato  non abbia provveduto a comunicare le eventuali variazioni  dei limiti di reddito.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando che in tema di patrocinio a spese dello Stato, la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79 del DPR n°112/2002, comporta la revoca dell'ammissione ex artt. 95 e 112.

In particolare, l'art. 79, comma 1, lett. d), in tema di impegni del contribuente in sede di istanza di ammissione, richiede:  "l'impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell'anno precedente, entro trenta giorni dalla  scadenza  del  termine  di  un anno, dalla data di  presentazione  dell'istanza  o  della  eventuale precedente comunicazione di variazione".

All'uopo, hanno continuato gli Ermellini si è dell'avviso che la comunicazione è dovuta anche se le variazioni non implichino il superamento delle condizioni per il mantenimento del beneficio, come nel caso in specie, dovendosi rendere noti i dati suscettibili di valutazione discrezionale da parte dell'autorità, nell'adempimento di un obbligo di lealtà del singolo verso le istituzioni, la cui violazione comporta la revoca del beneficio.

La ratio sottesa a tale affermazione, hanno concluso gli Ermellini, è chiaramente orientata a garantire, dopo l'ammissione dell'interessato al beneficio, l'assolvimento di minimali oneri di cooperazione nei confronti dello Stato, segnatamente declinati nel senso della comunicazione di ogni mutamento di quanto già a suo tempo dichiarato e considerato; la mancata comunicazione delle variazioni di reddito comporta quindi in sé e per sé,  la revoca dal beneficio, a prescindere cioè dalla circostanza che la variazione risulti poi non determinativa del superamento del limite reddituale comportante l'ammissione.

 

E’ TERRITORIALMENTE COMPETENTE IL GIUDICE DEL CIRCONDARIO DELLA RESIDENZA DEL LAVORATORE NEL CASO IN CUI QUESTI SVOLGA LA PRESTAZIONE DA CASA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 12907 DEL 22 APRILE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 12907 del 22 aprile 2022, ha statuito che, per le controversie di lavoro, la competenza territoriale è quella del Tribunale del circondario della residenza del lavoratore ogniqualvolta il dipendente svolga la prestazione da casa e quest’ultima rientri pienamente nella nozione di “dipendenza dell’azienda”.

L’ordinanza scaturisce dal ricorso proposto dal corrispondente di una testata giornalistica per il riconoscimento a qualifica superiore e per l’accertamento dell'illegittimità del licenziamento collettivo adottato nei suoi confronti. La società datrice, nel costituirsi, aveva tuttavia sollevato eccezione di incompetenza per territorio del giudice adito, a favore di quello della città ove la stessa aveva la sede legale e nel cui circondario era stato concluso il contratto.

Sulla scorta delle informazioni acquisite, il Tribunale aveva affermato che l’abitazione del ricorrente ben poteva configurarsi quale ufficio di corrispondenza e, pertanto, una dipendenza dell’azienda, poiché era quello il luogo destinato alla raccolta e al coordinamento del materiale trasmesso da fornire alla redazione centrale.

I Giudici di piazza Cavour, nel confermare la statuizione di merito, hanno rilevato preliminarmente che, ai sensi del comma 2, art. 413 c.p.c., competente per le controversie di lavoro è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il dipendente o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. La nozione di dipendenza aziendale rappresenta un concetto elastico che può definirsi come quella articolazione dell’organizzazione aziendale destinata al conseguimento degli scopi propri dell'imprenditore.

In particolare, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato tre requisiti necessari affinché l’attività di un giornalista corrispondente integri lo svolgimento delle mansioni proprie di un “ufficio di corrispondenza”: l’elaborazione di notizie, la continuità della loro trasmissione, nonché il carattere elaborato e generale delle notizie stesse, indipendentemente dalla previsione di una struttura multipersonale dotata di specifici mezzi datoriali. Nel caso esaminato emergeva non solo la sussistenza di un collegamento strutturale tra il luogo di svolgimento della prestazione ed il datore di lavoro, ma anche che detto luogo rappresentava un punto di riferimento per i terzi nonchè una adesione implicita della società alla funzione dell’abitazione come terminale dell'azienda.

 

NULLO IL LICENZIAMENTO INTIMATO ALLA LAVORATRICE CHE, UFFICIALMENTE ASSENTE PER ACCUDIRE IL GENITORE, ERA IN VACANZA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13065/2022 DEL 26 APRILE 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13065 del 26 APRILE  2022, disabile ritenendo che non sia addebitabile alla lavoratrice un comportamento fraudolento bensì semplicemente una giornata di assenza non giustificata, ha sancito l’illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro intimato a una dipendente sorpresa in villeggiatura mentre ufficialmente era assente per permesso ex L. 104/92 per assistere il genitore.

Nel caso in trattazione la Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, riteneva illegittimo il licenziamento adottato da una società datrice di lavoro nei confronti di una dipendente sorpresa in villeggiatura in un giorno di permesso ex lege 104/92, concessole per assistere la madre disabile che, invece, si trovava in tutt’altro luogo. Secondo l'azienda la dipendente con il suo comportamento non solo aveva violato i principi di correttezza e buonafede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, ma  aveva cagionato altresì, con la propria assenza, disagi e disservizi nell'organizzazione del lavoro.

Per i giudici, invece, non si ravvisava la giusta causa di licenziamento atteso che il fatto rientrava tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva: la lavoratrice, infatti, scusandosi dell'errore commesso e del quale aveva riconosciuto la gravità, aveva giustificato la sua mancanza con l'improvvisa indisponibilità della madre a raggiungerla presso la località di villeggiatura. Tale impossibilità le era stata comunicata soltanto nella tarda serata del giorno prima (quando aveva già fatto richiesta del permesso) e non aveva pensato di avvertire l'azienda della circostanza che quel giorno non avrebbe potuto materialmente assistere la madre anche perché sarebbe ripartita nel pomeriggio dello stesso giorno, disdettando la prenotazione dell'albergo.

La società datrice presentava ricorso per la cassazione della sentenza con due motivi di doglianza. Con il primo motivo lamentava violazione e la falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, artt. 33, comma 3, in relazione agli artt. 2104,2105,2106 e 2119 c.c. affermando che, laddove la Corte di merito avesse correttamente applicato i canoni ermeneutici nell’interpretazione della lettera di contestazione disciplinare, avrebbe dovuto rilevare che la società aveva addebitato alla lavoratrice non già l'assenza ingiustificata o arbitraria dal servizio, bensì la fruizione abusiva del permesso retribuito ex lege n. 104 del 1992, con conseguente applicazione della giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto, in tale ipotesi, la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, anche in conformità con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono il licenziamento in caso di violazioni dolose.

Con il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione della L.300/1970, art. 18, comma 4, in relazione agli artt.1362, 2104, 2105 e 2106 c.c. e all'art. 54 del CCNL applicato, e contestando l'applicazione al caso della tutela reintegratoria, si sosteneva che nella disciplina collettiva applicabile le sanzioni, sia conservative che espulsive, sono previste per le assenze "arbitrarie", mentre quella della lavoratrice non poteva ritenersi tale in quanto aveva richiesto di astenersi dal servizio per usufruire del permesso L. n. 104 del 1992 ex art. 33, comma 3.

La Suprema Corte condivideva la valutazione compiuta dai Giudici di primo e secondo grado, secondo cui la contestazione della società era da intendersi come contestazione di assenza ingiustificata per un giorno e non come comportamento fraudolento e preordinato all'abuso della fruizione del permesso ex lege n. 104/1992. Sulla scorta del principio di diritto già precedentemente affermato "In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, come novellata dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo” (Cass. n. 11665 del 2022) riteneva impossibile mettere in discussione la tutela reintegratoria applicata in Appello, poiché attraverso una valutazione del grado di gravità della condotta tenuta dalla lavoratrice e delle circostanze del caso concreto, l'episodio rilevato dall'azienda era stato ricondotto ad un’ipotesi omologabile all'assenza arbitraria per un giorno lavorativo e non alla fruizione abusiva del permesso retribuito concedibile per l'assistenza a un familiare.

 

LA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO DEVE RESTARE DISTINTA DA QUELLA DEL RAPPRESENTANTE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16562 DEL 29 APRILE 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n. 16562 del 29 aprile 2022, statuisce la necessaria scissione delle figure del rappresentante del servizio di prevenzione e protezione e del datore di lavoro, poiché la sovrapposizione di queste due figure comporterebbe la configurazione di una struttura carente dal punto di vista dell’organizzazione delle misure atte a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Nel caso in oggetto, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi condannavano il datore di lavoro, in qualità di legale rappresentante, di direttore di stabilimento, nonché di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per colpa generica e specifica dovuta alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, in riferimento alla morte di un operaio a seguito di infortunio sul lavoro.

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, afferma che il ruolo consultivo ed interlocutorio del RSPP deve essere funzionalmente distinto dal ruolo decisionale attribuito al datore di lavoro, giacché in caso contrario di creerebbero incroci  di posizioni e funzioni con compiti diversi, che devono cooperare tra loro. Si concentrerebbero, infatti, su un unico soggetto tutti gli oneri sia esecutivi, che decisionali in materia di valutazione e gestione del rischio. Invece, è proprio la cooperazione tra le due figure del datore di lavoro e del RSPP che determina le decisioni sul piano organizzativo, amministrativo, tecnico e produttivo in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. La confusione dei ruoli, come nel caso in esame, per il quale era stato accertato che il datore di lavoro possedeva funzioni organizzative e decisionali, nonché di spesa, anche con riferimento alle misure di sicurezza sul lavoro, rappresenta indice di un difetto colposo di organizzazione, che non rappresenta un’esimente per il datore di lavoro, al contrario ricade sullo stesso in termini di responsabilità.

Per i motivi esposti, la Suprema Corte respinge le doglianze del datore di lavoro, rigettando il ricorso.

 

LA GIUSTIFICAZIONE DEI MOVIMENTI DEVE SEMPRE ESSERE VALUTATA DAL GIUDICE NELLA VALUTAZIONE DELL’ATTENDIBILITA’ DELLA CONTABILITA’

CORTE DI CASSAZIONE –ORDINANZA 14353 del 05/05/2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza 14353 del 05.05.2022 ha espresso il seguente principio di diritto:

«L'art. 32 d.P.R. n. 600/1973, al pari dell'art. 51 d.P.R. n. 633/1972, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari; nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria contesti complessivamente l’inattendibilità della contabilità, il giudice del merito deve, in ogni caso, verificare l'efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente rispetto ad ogni singola movimentazione al fine di verificare che le movimentazioni bancarie siano o meno riferibili ad operazioni imponibili ai fini reddituali»

Nel corso di un accertamento da PVC nei confronti di una società si erano rilevati numerosi movimenti bancari di versamento e prelevamento, che la società aveva giustificato come versamento in conto futuro aumento di capitale e futuro acquisto di partecipazioni, indicando che per ogni movimento il versante era comunque un componente della compagine sociale. Tali rilevazioni erano state annotate in mastrini, la cui indicazione non era stata, secondo i verbalizzanti, adeguatamente chiarita.

Ricevuto l’atto di accertamento, la società aveva proposto ricorso, e la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto le doglianze della società, ma i Giudici di seconde cure avevano riformato tale pronuncia, giudicando la contabilità inattendibile per non aver chiaramente indicato in contabilità il versante e la causale del versamento, utilizzando spesso sigle e acronimi, e senza indicare l’identità del versante nell’annotazione del versamento di assegni bancari, e da ciò traendo la convinzione che la contabilità fosse nel complesso inattendibile. Non procedeva quindi all’analisi dei movimenti, ma basandosi sull’assunto dell’inattendibilità della contabilità accoglieva il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria.

Resiste quindi la società, proponendo ricorso in Cassazione.

Ora, rilevato che per costante giurisprudenza “le movimentazioni bancarie possono essere oggetto di accertamento presuntivo di maggiori ricavi, ove non vi sia indicazione del beneficiario, sul presupposto che tali operazioni non risultino dalle scritture contabili”, ma che nel caso di specie i movimenti erano stati rinvenuti nelle annotazioni di due mastrini, e che la società aveva, nelle sue memorie, fornito giustificazioni dei versamenti e prelevamenti, conclude la Corte di Cassazione che la CTR aveva errato nel considerare preliminarmente la contabilità inattendibile solo per aver utilizzato acronimi e sigle nella rilevazione contabile, e che quindi non aveva proceduto all’esame dei movimenti fermando l’analisi alla declaratoria di inattendibilità.

Decide quindi per il rinvio della decisione alla CTR in diversa composizione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
    Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 30 Maggio 2022