6 Giugno 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ LUDICA O LAVORATIVA IN FAVORE DI TERZI DURANTE L’ASSENZA PER MALATTIA NON LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13063/2022 DEL 26 APRILE 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13063 del 26 aprile 2022, ha statuito che nel nostro ordinamento non sussiste un divieto generale di svolgimento di altra attività – anche a favore di terzi – da parte del lavoratore assente per malattia. Pertanto, il datore di lavoro che per tale ragione irroghi il licenziamento è onerato di provare non solo l’effettivo svolgimento di altra attività da parte del dipendente, ma anche che lo stato di malattia fosse simulato oppure che la diversa attività espletata fosse potenzialmente idonea a pregiudicare, anche in termini di mero ritardo, il rientro in servizio.

Nel caso in trattazione, infatti, la Corte di Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, annullava il licenziamento per giusta causa comminato ad un lavoratore giacchè, durante una prolungata assenza per malattia, aveva svolto attività lavorativa in favore di soggetti terzi e, per ben otto volte, non era stato rinvenuto presso il domicilio in occasione delle visite di controllo, condannando il datore di lavoro alla reintegra del dipendente ed alla corresponsione di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, oltre alla regolarizzazione contributiva. La Corte aveva ritenuto che l’asserita simulazione della malattia fosse smentita dalla certificazione medica in atti e che il datore di lavoro non avesse provato sufficientemente che le condotte contestate avessero pregiudicato la guarigione del dipendente. Riguardo all'ulteriore addebito mosso dal datore, in base al quale il lavoratore non sarebbe stato reperibile in plurime occasioni all'eventuale visita di controllo, la Corte riteneva che la contestazione era da intendere non quale "assenza alle visite di controllo" bensì come "mancata comunicazione del diverso domicilio”.

Avverso tale decisione la Fondazione datrice di lavoro ricorreva in Cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. per avere la Corte di Appello ritenuto che sul datore di lavoro gravasse la prova che la condotta del lavoratore compromettesse o ritardasse la ripresa dell'attività lavorativa. La Corte di Legittimità affermava, innanzitutto, che il nostro ordinamento non sancisce un generale divieto per il dipendente assente per malattia di svolgimento di altre attività lavorative a favore di terzi o ludiche sicché ciò non costituisce, di per sé, inadempimento degli obblighi contrattuali. Tuttavia, la Corte evidenziava anche come una tale condotta possa essere disciplinarmente rilevante, potendo giustificare il licenziamento per violazione dei generali principi di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi di diligenza e fedeltà, sia nell'ipotesi in cui la diversa attività svolta faccia presumere l'inesistenza dell'infermità, sia quando l'attività espletata, in relazione alla natura della malattia dedotta e al ruolo lavorativo concreto, sia tale da pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio.

In ordine al riparto dell'onere probatorio, i Giudici, aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui è onere del datore di lavoro fornire la prova dell'incidenza della diversa attività svolta durante la malattia nel ritardarne la guarigione, richiamavano l'art. 5 l. n. 604/1966 che onera il datore della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo del licenziamento.

Quanto alle plurime irreperibilità in occasione delle visite di controllo, la Corte di Cassazione evidenziava come, in stretto diritto, la contestazione disciplinare fosse stata intesa dalla Corte di Appello non già come “assenza alle visite di controllo”, bensì come “mancata comunicazione di diverso domicilio”, tanto che l'istruttoria orale si era incentrata sul fatto che il lavoratore avesse o meno notiziato il datore di lavoro in proposito. Partendo da questo assunto il ragionamento effettuato dal Giudice di seconde cure si dimostrava corretto in quanto, partendo dal dettato dell'art. 40 del CCNL di riferimento, riteneva di poter sussumere la condotta concreta all'interno della previsione disciplinare contenuta in una clausola della contrattazione collettiva e punita con una mera sanzione conservativa.

In proposito, i Giudici Supremi ricordavano che pur essendo vero che le previsioni del CCNL in merito alla giusta causa o al giustificato motivo non vincolino il giudice, è, però, altrettanto vero che se la contrattazione collettiva ricollega a un comportamento una mera sanzione conservativa,  il giudice è tenuto a osservare tale previsione di maggior favore, non potendo estendere il catalogo della giusta causa o del giustificato motivo oltre quanto pattuito dall'autonomia delle parti, in quanto la valutazione di gravità effettuata dalla contrattazione collettiva nel graduare le sanzioni è destinata a prevalere. Orbene, nel caso di specie, l'art. 40 del CCNL elencava, a titolo esemplificativo, una serie di condotte punite con sanzioni conservative, quale, in particolare, “l'assenza alla visita domiciliare in caso di malattia”, cui la Corte di merito aveva equiparato l'ipotesi della “mancata comunicazione del domicilio”, che, quindi, avrebbe dovuto essere anch'essa punita con una sanzione conservativa.

Ritenendo corretto il ragionamento svolto dalla Corte di Appello e, quindi, infondato il ricorso in Cassazione, il gravame veniva respinto.

 

NELLE VIOLAZIONI TRIBUTARIE IN CUI INCORRA LA PERSONA GIURIDICA CONTRIBUENTE, DEVE RITENERSI ESCLUSO IL CONCORSO DI TERZI.

CORTE DI CASSAZIONE – V SEZIONE CIVILE – ORDINANZA N.13232 DEL 28 APRILE 2022

La corte di Cassazione, con l’ordinanza n.13232 del 28/04/2022, ha statuito che deve ritenersi escluso il concorso di terzi, ivi incluso il consulente, nelle violazioni tributarie in cui incorra la persona giuridica contribuente, nel senso che è quest'ultima a rispondere in via esclusiva delle relative sanzioni amministrative.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, hanno respinto le doglianze dell'Agenzia delle Entrate che aveva contestato ad un professionista una sanzione amministrativa pecuniaria a titolo di concorso nelle violazioni tributarie commesse da alcune società di capitali delle quali era consulente.

Per l’Amministrazione Finanziaria, l'esclusione della punibilità prevista dall'art. 7 del DL n.269/2003, che pone le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale delle persone giuridiche ad esclusivo carico delle stesse, riguarderebbe soltanto le persone fisiche legate da rapporto organico all'ente cui è imputata la violazione sanzionata e non anche l'eventuale terzo concorrente nell'illecito, avendo il consulente de quo, promosso l'adesione di alcune società ad un'operazione di prestito di titoli allo scopo di far conseguire loro un indebito risparmio di imposta mediante la fittizia riduzione della base imponibile, illustrando i termini dell'operazione, coordinato i rapporti con la proponente, preso parte alla firma dei contratti e tenuto la corrispondenza con i soggetti esteri coinvolti.

In nuce, la S.C., nel confermare la sentenza dei Giudici territoriali, ha invece dato ragione al consulente e, richiamando una recente pronuncia di legittimità, ribadito che deve ritenersi escluso il concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della persona giuridica contribuente, in quanto, la norma, esprime in termini inequivocabili tanto nel titolo “Riferibilità esclusiva alla persona giuridica…”, quanto nel disposto “…sono esclusivamente a carico della persona giuridica…”, la ratio legis di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente.

 

NON SONO APPLICABILI SANZIONI SE NON C’E’ DANNO PER L’ERARIO

CORTE DI CASSAZIONE –ORDINANZA 13908 del 03/05/2022

In tema di diritto tributario va sempre valutato, nell’applicazione e nella successiva conferma in ambito giudiziario delle sanzioni, il danno cagionato all’Erario dal contribuente che sia contravvenuto ai dettami della normativa fiscale, quando tali mancanze si rivelino essere violazioni di puro carattere formale.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con ordinanza 13908 del 03.05.2022, nell’analizzare il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso una decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva riformato la decisione di primo grado in merito ad un provvedimento sanzionatorio, per il quale un’azienda aveva visto disconosciuti i costi sostenuti per una fornitura da parte di un’impresa residente in un Paese “Black List”.

Aveva resistito il contribuente, lamentando che la CTR non si era espressa sull’annullamento delle sanzioni irrogate in relazione alla rettifica reddituale, per assenza di danno erariale ai sensi degli artt. 10, comma 3, legge 212/2000, e dell’art.6, comma 5-bis, d.lgs. 472/1997.

L’articolo dello Statuto dei Contribuenti, richiamando preliminarmente i principi di correttezza e buona fede nei rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione Finanziaria, rafforza il concetto di non applicabilità delle sanzioni, tra l’altro, se dalla condotta del contribuente si ravvede una violazione esclusivamente formale, che non provoca cioè danni all’Erario.

Altrettanto è il tenore dell’art.6 D.Lgs. 472/1997, che esclude la punibilità delle violazioni che non incidono sulla determinazione della base imponibile, delle imposte dovute e dei versamenti.

Analizzando quindi l’operato della CTR, decide la Corte di Cassazione per il rinvio in diversa composizione per l’effettiva valutazione del contegno del contribuente e dell’esistenza o meno di danno erariale.

Tale principio, richiama la Corte, era già stato formulato, e costituisce un principio di diritto a cui la Giustizia Tributaria deve uniformarsi: "In tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o del versamento del tributo; in assenza di tale pregiudizio la violazione resta formale perché lesiva per l'esercizio delle azioni e dei poteri di controllo da parte dell'amministrazione finanziaria" (Cass. 10 giugno 2021 n. 16450)

 

LA SUBORDINAZIONE NON PUO’ ESSERE IMPOSTA COME UNICA FORMA DI RAPPORTO DI LAVORO

CORTE COSTITUZIONALE – SENTENZA N. 113 DEL 9 MAGGIO 2022

La Corte costituzionale, sentenza n° 113 del 9 maggio 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della c.d. Legge di stabilità regionale 2019 (Lazio), nella parte in cui prevede come ulteriore requisito ai fini dell’accreditamento delle strutture private con il servizio sanitario regionale, l’assunzione del personale esclusivamente mediante il modello della subordinazione.

Più nello specifico la norma censurata corrisponde all’art 9, comma 1, della legge della Regione Lazio del 20 dicembre 2018, n. 13, secondo cui “a tutela della qualità delle prestazioni erogate e del corretto rapporto tra costo del lavoro e quantificazione delle tariffe, il personale sanitario dedicato ai servizi alla persona, necessario a soddisfare gli standard organizzativi, dovrà avere con la struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) sottoscritto dalle associazioni maggiormente rappresentative nel settore sanitario.”

Secondo la Consulta, partendo dal principio della libertà di iniziativa privata (art. 41 Cost.), l’unica condizione legittima che ne consente una limitazione si configura qualora emerga un contrasto con il perseguimento dell’utilità sociale; per di più il bilanciamento tra lo svolgimento dell’iniziativa economica privata e la salvaguardia dell’utilità sociale deve rispondere, in ogni caso, ai principi di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3. Comma 1, Cost.). Pertanto, se da un lato, l’individuazione dell’utilità sociale non deve essere arbitraria, dall’altro gli interventi del legislatore non possono perseguirla con misure palesemente incongrue attraverso prescrizioni eccessive ai danni dell’autonomia imprenditoriale.

Nel caso esaminato, il fine di utilità sociale che viene in rilievo è di tipo sanitario; tuttavia, il suo perseguimento non è coerente con la previsione di un requisito ulteriore -quale quello della subordinazione- se si tiene in considerazione che, soprattutto per alcune figure professionali di alta qualificazione nel settore sanitario, sono altresì idonei rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione. Dunque, la disposizione censurata assume caratteri rigidi e generalizzati, senza alcuna graduazione risultante dal bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco, finendo addirittura per escludere la possibilità degli stessi operatori sanitari di prestare la propria attività con contratto di collaborazione o di lavoro autonomo presso strutture accreditate.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DELLA CASSIERA CHE UTILIZZA LA TESSERA PERSONALE FEDELTA' PER ACCUMULARE I PUNTI DEI CLIENTI SPROVVISTI DELLA PROPRIA TESSERA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.14760 DEL 10 MAGGIO 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°14760 del 10 maggio 2022 – ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di una cassiera – ravvisando lesione del rapporto fiduciario – in ragione dell'utilizzo improprio della propria tessera fedeltà.

Nel caso de quo, una società datrice aveva intimato ad una dipendente, addetta ad un supermercato con mansioni di cassiera, licenziamento per giusta causa perché, a seguito di accertamenti effettuati dall'Ufficio sicurezza della società, era emerso che la lavoratrice aveva utilizzato la propria tessera fedeltà nel corso di transazioni effettuate con clienti privi di tessera, allo scopo di accumulare punti successivamente utilizzati per pagare i propri acquisti a prezzo scontato.

Il Tribunale di Napoli, adito dalla lavoratrice, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, considerando sproporzionata la sanzione irrogata, e aveva applicato la tutela di cui all'art. 18, comma 5, Legge n°300/70.

La Corte d'appello di Napoli, ex adverso, aveva reputato che i fatti accertati erano molto gravi, anche in ragione delle mansioni di cassiera svolte, e tali da ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice duolendosi, tra l'altro, del mancato accertamento delle proprie giustificazioni addotte in sede di procedimento disciplinare, laddove, si era evidenziato che anche altri addetti avevano operato presso il medesimo punto cassa, senza cambiare il "codice operatore" e pertanto sarebbe mancata la prova circa la riconducibilità ad essa dei fatti oggetto di contestazione.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando, in primis, l'inammissibilità della rivalutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità. A fronte di un accertamento, adeguatamente motivato dalla Corte di merito, hanno continuato gli Ermellini, è stato ritenuto provato che la lavoratrice, nei giorni e negli orari oggetto della contestazione disciplinare, era addetta alla cassa e, pertanto, non bastava affermare genericamente che si era temporaneamente "alzata" dalla postazione cassa, per essere indenne da ogni responsabilità, ma occorreva dimostrare chi l'avesse sostituita.

Invero, hanno concluso gli Ermellini rigettando il ricorso, anche il giudizio di proporzionalità della sanzione, a differenza di quanto denunciato dalla lavoratrice, era stato perfettamente operato dalla Corte territoriale che aveva ravvisato la gravità dei fatti commessi tale da ledere, in modo irreversibile, il rapporto fiduciario, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, indipendentemente dal valore dei beni acquistati personalmente dalla dipendente: proporzionalità della sanzione espulsiva valutata anche ai fini della prognosi futura di comportamenti improntati al rispetto e alla correttezza degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
    Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 6 Giugno 2022