26 Giugno 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

NEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE EX ART. 7 LEGGE 300/70 NON SI PUO’ OMETTERE L’AUDIZIONE DEL LAVORATORE OVE NE ABBIA FATTO RICHIESTA CONTESTUALMENTE ALLA COMUNICAZIONE DELLE PROPRIE GIUSTIFICAZIONI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 11895 DEL 12 MAGGIO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 11895 del 12 maggio 2017,  ha statuito, in tema di licenziamento per giusta causa, che la mancata audizione del lavoratore che ne faccia richiesta, integra un vulnus al diritto di difesa tutelato ex art. 7, comma 5, L. n° 300 del 1970.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Messina confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede con cui era stata accolta la domanda proposta da un lavoratore volta a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli. La Corte distrettuale osservava che il lavoratore in sede di giustificazioni scritte, all’esito di un procedimento disciplinare ex art. 7, L. n° 300/70, aveva espresso altresì la inequivoca e chiara volontà di essere sentito al fine di esporre ulteriormente le proprie ragioni; la mancata audizione del lavoratore integrava, pertanto, un vulnus al diritto di difesa tutelato.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice argomentando che, invero, la richiesta del lavoratore all’audizione personale doveva considerarsi come un mero tentativo per ritardare la definizione del procedimento, posto che le giustificazioni addotte potevano considerarsi esaustive e complete.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha (ri)confermato che il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l'audizione del lavoratore incolpato il quale, ancorché abbia inviato una compiuta difesa scritta, ne abbia fatto espressa richiesta, allorquando tale volontà sia comunicata in termini univoci. Questa specifica garanzia, hanno continuato gli Ermellini,  una volta che sia stata richiesta, costituisce in ogni caso indefettibile presupposto procedurale che legittima l'adozione della sanzione disciplinare anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte, le quali, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione – sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in sede di audizione.

 

PER CONTESTARE LE FATTURE FALSE ALL'AGENZIA DELLE ENTRATE NON SERVE UNA PROVA CERTA, POICHÉ LA DETRAZIONE D’IMPOSTA PUÒ ESSERE NEGATA ANCHE SULLA BASE DI PRESUNZIONI GRAVI, PRECISE E CONCORDANTI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 12649 DEL 19 MAGGIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 12649 del 19 maggio 2017, ha statuito che, qualora vengano riscontrate fatture false relative ad operazioni inesistenti, l’onere di fornire prove certe non grava sull’Amministrazione Finanziaria, poiché la detrazione d’imposta può essere contestata anche sulla base del principio di presunzione.

IL FATTO

Con avviso di accertamento nei confronti di una società, l’ufficio finanziario provvedeva a recuperare a tassazione i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, negandone la detrazione ai fini IVA. In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato che si trattava di costi relativi a un contratto con una società austriaca che non svolgeva alcuna attività ed era interamente posseduta da altra società residente nelle Isole Vergini Britanniche, paese incluso nella lista dei “paradisi fiscali”.

In entrambi i gradi di merito, i Giudici accoglievano le doglianze della società contribuente.
In particolare, la C.T.R. aveva affermato che la pretesa erariale si sarebbe dovuta fondare su “elementi e prove certe che, nel caso in esame, non sussistevano.

L’Agenzia delle Entrate proponeva allora ricorso per Cassazione.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio, nell'accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, hanno censurato in toto la motivazione della sentenza impugnata in quanto:

  1. non legittimamente motivata per relationem. Il Giudice d’Appello, infatti, aveva fatto propria la pronuncia di primo grado, limitandosi ad aderire alla decisione impugnata, senza esprimere, nemmeno in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti;
  2. la C.T.R. si era limitata ad esprimere un giudizio negativo sul compendio probatorio offerto dall’Amministrazione ed a sostenere l’esistenza della società, senza individuare alcun elemento di fatto e di diritto su cui ha inteso fondare la sua decisione e senza esporre le ragioni delle conclusioni raggiunte in merito ai rilievi.

Infine, gli Ermellini, uniformandosi a giurisprudenza di legittimità esistente in materia, conforme con quella comunitaria, hanno ribadito che “qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed imposte dirette, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/ committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n.12802/2011).

 

IL TERMINE DI PERMANENZA DEGLI OPERATORI CIVILI O MILITARI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PRESSO LA SEDE DEL CONTRIBUENTE È MERAMENTE ORDINATORIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 10481 DEL 27 APRILE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 10481 del 27 aprile 2017, ha statuito che risulta pienamente legittimo l’accertamento se il termine di permanenza dei verificatori nei locali dell’impresa è superato, in quanto termine ordinatorio.

Nel caso in specie, a carico di una società l’Agenzia delle Entrate provvedeva ad emettere avviso di accertamento al termine di un accesso ispettivo presso la sede sociale.

La società ricorreva prontamente alla giustizia tributaria ottenendo in entrambi i gradi di merito l’annullamento dell’accertamento. In particolare i Giudici di merito accoglievano il ricorso della contribuente, dichiarando la nullità dell'atto impositivo per violazione dell'articolo 12, comma 5, legge 212/2000, visto che la permanenza dei verificatori si era protratta nei locali dell'impresa per oltre 30 giorni.

All’uopo, si ricorda che il suddetto articolo al comma 5, nella parte iniziale, recita “…  La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio…”

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, allineandosi all’orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità in materia di diritti e garanzie dei contribuenti sottoposti ad accessi, ispezioni e verifiche, hanno (ri)affermato che, “al superamento del termine di permanenza dei verificatori nei locali dell’impresa non si ricollega la sanzione della nullità dell’avviso di accertamento”.

Infatti, hanno proseguito gli Ermellini, “il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, ne’ la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione” (Cass. n. 17002/2012; Cass. n. 14020/2011; Cass. n. 19338/2011).

Infine, i Giudici delle Leggi hanno evidenziato come la scelta del legislatore di non attribuire carattere perentorio al termine di permanenza degli organi di controllo presso la sede dell’impresa si spiega con gli strumenti di difesa che la stessa legge 212/2000 mette a disposizione del contribuente nei casi d’ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica, il quale oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (art. 12, comma 4), può rivolgersi al Garante (art. 12, comma 6) che, previo esercizio dei poteri istruttori richiesti dal caso, trasmette le segnalazioni di irregolarità ai titolari degli organi dirigenziali, al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare (v. Cass. n. 19338 del 2011).

Per tutte le motivazioni di cui sopra, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato accolto e la sentenza della C.T.R. cassata.


IL LIQUIDATORE È PENALMENTE RESPONSABILE SE, AL FINE DI RILANCIARE L’AZIENDA, PAGA I FORNITORI E NON SALDA L’ERARIO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 23161 DELL’11 MAGGIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 23161 dell’11 maggio 2017, ha statuito che il liquidatore di una società non risponde dell’evasione fiscale solo per mancanza di attivo o quando ha pagato crediti ritenuti per legge di rango superiore e, quindi, non può tentare di salvare l’azienda pagando gli altri debiti e rilanciando l’attività senza prima dare la precedenza all’Erario.

Il caso di specie riguarda un liquidatore che, nel tentativo di rilanciare e salvare l’azienda, non aveva versato nei termini le ritenute previdenziali di un’impresa di proprietà del Comune di Albano, che dopo una forte crisi era stata messa in liquidazione sotto la direzione del professionista che aveva inteso privilegiare i fornitori rispetto all’INPS.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno confermato le responsabilità e la condanna  del liquidatore, osservando i presupposti applicativi dell’art. 36 DPR n.603/1972,  per ciò che concerne le condotte di inadempimento all’obbligo di pagamento del debito d’imposta determinate dalla mancanza di attivo ovvero dal pagamento di crediti considerati superiori nell’ordine dei privilegi sono penalmente irrilevanti, ricordando che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all’art. 10 bis del D.Lgs. n.74/2000, il momento di consumazione dell’illecito non è posticipato alla data di deposito del bilancio finale della liquidazione, come richiesto dalla citata norma tributaria, ma coincide con l’ordinario termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta (ergo: 30 settembre dell’anno di imposta successivo).

In nuce, per la S.C., la responsabilità del liquidatore non scatta in ogni caso ma, esclusivamente se e nella misura in cui questi, nel procedere ai pagamenti entro la data fissata per la dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, abbiano soddisfatto crediti considerati di ordine inferiore dalla legge.

 

LE RITENUTE D’ACCONTO POSSONO SEMPRE ESSERE SCOMPUTATE ANCHE IN MANCANZA DELLA CERTIFICAZIONE DEL SOSTITUTO D’IMPOSTA

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 14138 DEL 7 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 14138 del 7 giugno 2017, ha statuito che l’Amministrazione Finanziaria non può chiedere di pagare la ritenuta al professionista che dimostra di avere già subìto la tassazione Irpef, anche se non ha la certificazione del sostituto d’imposta.

Nel caso in specie ad un professionista veniva notificata cartella di pagamento a seguito di controllo formale della propria dichiarazione dei redditi. In particolare, durante l’istruttoria del controllo formale, veniva accertato lo scomputo di ritenute d’acconto per le quali il professionista non era in grado di esibire le certificazioni del sostituto d’imposta.

Il professionista ricorreva prontamente alla giustizia tributaria, risultando però soccombente in entrambi i gradi di giudizio di merito.

Il Giudice d’Appello condivideva la ratio decidendi espressa dal primo Giudice circa l’impossibilità per il sostituito di utilizzare a fini di scomputo meri equipollenti probatori del certificato del sostituto.

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte del professionista.

All’uopo si ricorda che, l’art. 22 del D.P.R. N. 917/86 così recita “Dall'imposta determinata a norma dei precedenti articoli si scomputano nell'ordine:

a) l'ammontare dei crediti per le imposte pagate all'estero secondo le modalità di cui all'articolo 165;

b) i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell'imposta;

c) le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente. Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo di imposta nel quale sono state operate…”

Da un’attenta lettura della lettera c) del suddetto articolo è evidente e chiaro che l’art. 22 del TUIR subordina lo scomputo delle ritenute non al possesso della certificazione, ma al fatto che le stesse siano state “operate “.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, nell’accogliere il ricorso del professionista, hanno evidenziato come numerose pronunce di legittimità abbiano statuito che “l’attestato del sostituto (id: certificazione) è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive o duplicazione di prelievo”, per cui “Il percettore sostituito può contestare in giudizio il recupero della ritenuta, producendo al Giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subìte (id:  copie bonifici, assegni bancari, ecc.), attesa la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (Cassazione 3304/2004).

In sostanza, secondo i Giudici delle Leggi, il contribuente che percepisce le somme al netto della ritenuta operata, anche se la stessa non è versata dal sostituto, è legittimato a detrarla non potendo pagare due volte l’imposta dovuta.

Per di più, è la stessa Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 68/E del 19 marzo 2009, ad ammettere che “il contribuente è comunque legittimato allo scomputo delle ritenute subìte, a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o altri intermediari finanziari, idonea a provare l’importo del compenso effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.

Pertanto, hanno concluso i Giudici di legittimità, si può prescindere dalla rilevanza formale della certificazione, poiché l’adempimento, relativo all’obbligo di allegazione alla dichiarazione dei redditi del certificato del sostituto d’imposta (attestante le ritenute operate), è stato soppresso dalla disposizione normativa introdotta dall’art. 1 del D.L. 330/1994, convertito nella legge 473/1994, che ha a sua volta modificato l’art. 3 del DPR 600/1973.

Ad maiora
IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 26 Giugno 2017