18 Giugno 2018
Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….
COEFFICIENTE ISTAT MESE DI MAGGIO 2018
E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Maggio 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Maggio 2018 è pari a 1,292656 e l’indice Istat è 102.
LA PRONUNCIA DELLA COMMISSIONE DEPUTATA ALLA VERIFICA DELL’ESPOSIZIONE DEL RADIOLOGO A RADIAZIONI IONIZZANTI HA EFFETTO RETROATTIVO AL FINE DELLA QUANTIFICAZIONE DELLE INDENNITA’ SPETTANTI.
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 14106 DEL 1° GIUGNO 2018.
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 14106 del 1° giugno 2018, ha evidenziato che nel caso in cui la Commissione nominata dall’ex ISPESL si pronunci in riferimento alle indennità spettanti ai radiologi esposti a radiazioni ionizzanti, tale decisione ha natura dichiarativa esplicitando i suoi effetti retroattivamente.
Nel caso in commento, un collaboratore tecnico presso il “laboratorio controlli non distruttivi” del Dipartimento tecnologie di sicurezza adiva la Magistratura sostenendo di aver eseguito radiografie a raggi X su serbatoi metallici in pressione e giunti saldati utilizzando un’apparecchiatura portatile, restando esposto a radiazioni ionizzanti nell’espletamento dell’attività lavorativa.
Il Giudice di I° grado accoglieva la domanda intesa ad ottenere la corresponsione dell’apposita indennità facendo (anche) notare che nelle more del giudizio si era pronunciata la Commissione nominata dall’ISPESL riconoscendo l’indennità nella misura massima.
L’INAIL, subentrata all’ISPESL, ricorreva in Appello senza fortuna.
Inevitabile il ricorso in Cassazione.
Orbene, gli Ermellini, nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto la sentenza di merito era sorretta da logiche ed esaustive motivazioni, hanno colto l’occasione per affermare che la pronuncia della suddetta Commissione ha efficacia dichiarativa e non costitutiva esplicando i suoi effetti anche per i periodi pregressi.
Pertanto, atteso che nel caso in disamina l’INAIL non aveva fornito prove della (presunta) efficacia ex nunc della pronuncia della Commissione adita, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso in quanto inammissibile cogliendo, in ogni caso, l’occasione per evidenziare l’efficacia retroattiva della pronuncia e la legittimità del riconoscimento al radiologo dell’indennità economica anche per i periodi precedenti la decisione della Commissione.
SPETTA AL GIUDICE RICORRERE ALLE PRESUNZIONI PER STABILIRE LA CESSAZIONE DI UN CONTRATTO PER MUTUO CONSENSO
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13179 DEL 25 MAGGIO 2018.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 13179 del 25 maggio 2018, ha statuito che il Giudice di merito può ricavare il c.d. “mutuo consenso” anche facendo ricorso alle presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.
Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Messina, a parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava l’illegittimità dei contratti di arruolamento e condannava la società anche al pagamento del risarcimento del danno, ex art. 32 della Legge n. 183/2010, determinando lo stesso in 12 mensilità dell’ultima retribuzione, in ragione del fatto che erano stati omessi il “viaggio o i viaggi “da compiere. In concreto, la vicenda riguardava diversi contratti di arruolamento dal 1995 al 2008 e non più rinnovati.
Gli Ermellini hanno confermato il ragionamento logico giuridico dei Giudici dell’Appello, precisando che il mutuo consenso può essere desunto da comportamenti concludenti. Spetta, dunque, al Giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, dovendo egli stesso accertarsi della volontà delle parti.
Dunque, spetta al Giudice di merito l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuando –all’uopo- fatti certi, apprezzandone la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza.
In conclusione, i supremi Giudici hanno statuito che, sulla base dei diversi contratti ripetutisi nel tempo, l’assenza di altra occupazione stabile ed il rifiuto di una o più chiamate di lavoro, non poteva ricavarsi una volontà, ancorché tacita, di porre fine al rapporto in via definitiva.
LECITO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO PER USO IMPROPRIO DEL PC DURANTE L’ORARIO DI LAVORO
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13266 DEL 28 MAGGIO 2018
La Corte di Cassazione, sentenza n° 13266 del 28 maggio 2018, ha statuito la piena legittimità del licenziamento di un dipendente per giustificato motivo soggettivo, causa uso improprio, extra lavorativo, del pc durante l’orario di lavoro.
IL FATTO
Un lavoratore veniva sorpreso dal proprio direttore tecnico ad utilizzare il computer per finalità ludiche, da qui partivano, con autorizzazione dello stesso dipendente, controlli “a ritroso” sul personal computer in dotazione. A seguito di questi controlli emergeva che il dipendente nelle settimane precedenti aveva utilizzato il proprio pc in dotazione per giocare al solitario, per cui il datore di lavoro provvedeva ad intimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, licenziamento che veniva prontamente impugnato giudizialmente dal dipendente.
Tra i motivi di gravame la difesa del dipendente poneva la violazione del dettame di cui all’art.4 della legge 300/70, in base al quale, laddove si utilizzino apparecchiature da cui possa derivare un controllo a distanza dell’attività dei prestatori, un previo accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua hanno riconosciuto la piena legittimità del licenziamento del dipendente, chiarendo che l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori prevede delle garanzie procedimentali in ordine al delicato tema dei controlli a distanza, al fine di evitare che detti controlli siano lesivi della dignità e della privacy del dipendente e che la vigilanza datoriale, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, non venga esasperata dall'uso di tecnologie tali da eliminare ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro, (Cass. 17 luglio 2007 n. 15982; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722; Cass. 27 maggio 2015, n. 10955).
Pertanto, hanno proseguito gli Ermellini, la raccolta dei dati, o meglio la verifica dell’uso del pc, è avvenuta correttamente, in quanto il datore non ha controllato l’adempimento delle prestazioni di lavoro, ma ha inteso tutelare un bene aziendale, del tutto estraneo al contratto di lavoro, (Cass. 1 novembre 2017, n. 26682).
A tal fine, hanno concluso i Giudici delle Leggi, è imprescindibile, come affermato anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che l’uso degli strumenti di controllo intervenga sulla base di principi di ragionevolezza e proporzionalità e che il lavoratore sia stato previamente informato dal datore del possibile controllo delle sue comunicazioni.
In nuce, se i dati personali dei dipendenti relativi alla navigazione in internet, così come alla posta elettronica o alle utenze telefoniche da essi chiamate, sono estratti con lo scopo di tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, tra cui rientrano il patrimonio e l’immagine aziendali, non si ricade nelle limitazioni di cui allo Statuto dei Lavoratori e i dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in funzione disciplinare contro il lavoratore.
L'ALIENAZIONE SIMULATA È SEMPRE REATO ANCHE SE I BENI SOTTRATTI SONO DI VALORE INFERIORE ALLA SOGLIA DI PUNIBILITÀ
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 15133 DEL 5 APRILE 2018
La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 15133 del 5 aprile 2018, ha statuito che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte si configura anche se il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte è inferiore alla soglia di 50.000 euro normativamente prevista, nel caso di un’alienazione simulata.
Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, confermando in toto il decisum dei Giudici Territoriali, hanno rigettato le doglianze di una società, la quale cedeva un immobile al fratello del proprio legale rappresentante, stabilendo un prezzo concordato di euro 10.000 pari a circa un quarto rispetto al valore stimato del bene di euro 40.000 euro, ritenendo la sussistenza indiziaria del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, in quanto la cessione de qua era stata realizzata per eludere il pagamento di imposte per circa 200.000 euro.
Gli Ermellini, hanno evidenziato come il comma 1 del citato art. 11 si pone a tutela della riscossione del credito erariale da attività volte a depauperare in modo fraudolento la garanzia costituita dal patrimonio del debitore, ed ha chiarito che “il fatto che il legislatore ha inteso selezionare, ai fini penalistici, solo le condotte che pongono in pericolo la riscossione di imposte (ovvero sanzioni e interessi ad essi relativi) complessivamente superiori all’ammontare di euro 50.000, non autorizza l’interpretazione secondo la quale anche il valore del bene simulatamente alienato deve essere superiore a detto ammontare”.
In nuce, per la S.C., si configura il reato anche quando il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte sono inferiori alla soglia di 50.000 euro previsti dall’art. 11, D.lgs. n. 74/2000, atteso che l’offensività della condotta va parametrata solo in base alla sua attitudine a ridurre la garanzia patrimoniale, con potenziale pregiudizio, trattandosi di reato di pericolo, per l’azione esecutiva dell’Erario.
ANTISINDACALE LA CONDOTTA DEL DATORE DI LAVORO CHE SOSTITUISCE I LAVORATORI IN SCIOPERO CON DIPENDENTI GIA’ IN FORZA DEMANSIONANDOLI.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12551 DEL 22 MAGGIO 2018.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 12551 del 22 maggio 2018, in materia di ricorso ex art. 28 della Legge 300/1970 ha precisato che la legittimazione attiva spetta all’associazione sindacale operante sul territorio nazionale e che la condotta datoriale deve avere il requisito dell’attualità.
Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Firenze, a parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, accoglieva il ricorso del sindacato, in particolare le sostituzioni del personale in sciopero con altri lavoratori venivano valutate come condotta antisindacali. La società proponeva ricorso affidandosi a 5 motivi.
Orbene, gli Ermellini, con la sentenza in commento, pur rigettando il ricorso della società e, quindi, confermando il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno ribadito che i principi fondamentali sottesi ad un art. 28 sono: il livello nazionale dell’associazione sindacale, l’attualità della condotta e la lesione dei diritti dei lavoratori.
In particolare, le associazioni sindacali legittimate a proporre ricorso ex art. 28 sono solo quelle dotate di una organizzazione con diffusione ed azione su tutto il territorio nazionale o gran parte di esso, non essendo richiesta la sottoscrizione di alcun CCNL.
L’attualità della condotta antisindacale va intesa in senso ampio, cioè un ricorso pur se tardivo non è di per se stesso inammissibile quando gli effetti lesivi del comportamento perdurano o gli stessi effetti possono ritenersi durevoli nel tempo.
La sostituzione dei lavoratori in sciopero con altri lavoratori di qualifica superiore è legittima solo quando il mutamento peggiorativo delle mansioni sia del tutto marginale e le stesse siano funzionalmente accessorie e complementari a quelle proprie della posizione dei lavoratori così assegnati.
Ad maiora
IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO
(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!
Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro
Modificato: 18 Giugno 2018