21 Giugno 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI MAGGIO 2021

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Maggio 2021. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Maggio 2021 è pari a 1,578079 e l’indice Istat è 103,60

 

APPRENDISTATO TRASFORMATO SE LA MANCANZA/CARENZA DELLA FORMAZIONE SIA DI OBIETTIVA ED IRREMEDIABILE RILEVANZA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15949 DELL’8 GIUGNO 2021.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15949 dell’8 giugno 2021, ha statuito che la mancata e/o carente formazione dell’apprendista può produrre la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto di lavoro di apprendistato in un ordinario rapporto a tempo indeterminato, a condizione che detto inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza, la cui valutazione compete al Giudice di merito.

Gli Ermellini, confermando le sentenze dei gradi di merito, hanno rigettato il ricorso di una lavoratrice che aveva esperito azione giudiziaria tendente ad ottenere la declaratoria di illegittimità del contratto di apprendistato per difetto di attività formativa.

Più in dettaglio, i Giudici nomofilattici, richiamando la più recente giurisprudenza della Corte (in particolare, sentenza n° 16595/2020), hanno confermato che, in tema di contratto di apprendistato, l'inadempimento degli obblighi di formazione ne determina la trasformazione, fin dall'inizio, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ove l'inadempimento abbia un'obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto, ferma la necessità per il Giudice, in tale ultima ipotesi, di valutare, in base ai principi generali, la gravità dell'inadempimento ai fini della declaratoria di trasformazione del rapporto in tutti i casi di inosservanza degli obblighi di formazione di non scarsa importanza.

Sul punto, si rammenta che anche lo stesso Ministero del Lavoro, con la circolare n° 5/2013, ha fornito al proprio personale ispettivo delle indicazioni in ordine al quantum deficitario per la trasformazione del contratto in un ordinario contratto a tempo indeterminato, prevedendo – laddove la carenza di formazione potesse essere recuperata – l’obbligo di impartire una “disposizione”, ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. 124/2004.


ALL’ATTO DELLA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IL DIRIGENTE HA DIRITTO ALLA MONETIZZAZIONE DELLE SOLE FERIE RELATIVE ALL’ANNO IN CORSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15952 DELL’8 GIUGNO 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15952 dell’8 giugno 2021, ha statuito che al dirigente, proprio perché autonomo nella scelta del periodo feriale, non compete – all’atto della cessazione del rapporto – l’indennità sostitutiva delle “ferie pregresse”.

I Giudici di Piazza Cavour hanno premesso che la direttiva 93/104/CE, poi confluita nella direttiva 2003/88/CE, all'art. 7, comma 2 prevede che "Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro". Da tale previsione è nato il “divieto di monetizzazione”, ripreso dal D.lgs. n. 66 del 2003, art. 10, comma 2 che alla direttiva ha dato attuazione. Detto divieto è evidentemente finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie, che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con un'indennità, la cui erogazione non può essere ritenuta equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute, in quanto non permette al lavoratore di reintegrare le energie psico-fisiche.

La possibilità di monetizzazione, tuttavia, opera nei soli limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto, e non consente la monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti, perchè rispetto a queste il datore di lavoro doveva assicurare l'effettiva fruizione; una diversa interpretazione finirebbe per rendere di fatto inoperante la regola generale, risolvendosi nella previsione di una indiscriminata convertibilità pecuniaria del diritto, anche se differita al momento della cessazione del rapporto.

Ciò posto, con riferimento alla posizione dei dirigenti, la Suprema Corte, richiamando il consolidato orientamento nomofilattico, ha confermato la decisione dei Giudici distrettuali, precisando che il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive (Cass. n. 11786 del 2005; Cass. n. 13953 del 2009; Cass. n. 4920 del 2016; Cass. n. 23697 del 2017).
Sarà, tuttavia, possibile, per effetto della risoluzione del rapporto, monetizzare le ferie maturate e non godute dell’anno.


IL RITARDO NELLA FATTURAZIONE INTEGRA UNA VIOLAZIONE FORMALE E NON ANCHE SOSTANZIALE OVE LA CONDOTTA NON COMPORTI ALCUN PREGIUDIZIO SULLA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE E DELLA RELATIVA IMPOSTA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16450 DEL 10 GIUGNO 2021.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16450 del 10 giugno 2021, ha stabilito che la fatturazione tardiva in assenza di danno erariale costituisce violazione formale con conseguente applicazione dell'istituto del cumulo giuridico delle sanzioni.

Nel caso de quo, una società soggetto passivo di imposta, impugnava l'atto di contestazione ed irrogazione di sanzioni emesso dall'Agenzia delle Entrate in materia di Iva, per aver fatturato le operazioni di vendita di autovetture non al momento della cessione ma a quello, successivo, della immatricolazione e, dunque, tardivamente, deducendo di aver proceduto alla regolare emissione delle fatture e chiedendo, in ogni caso, l'applicazione del cumulo giuridico di cui al D.lgs. n°472 del 1997, art. 12.

L'impugnazione era stata accolta dalla CTP limitatamente all'applicazione del concorso materiale di violazioni ed era altresì confermata dalla Commissione Tributaria Regionale che riteneva sussistenti tutti i presupposti di legge previsti, visto che la presunta ripetizione della violazione era da considerarsi meramente formale, attesa l'inesistenza di danno erariale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate per violazione e falsa applicazione del D.lgs. n°472 del 1997, artt. 6 e 12, per aver la CTR ritenuto la violazione per la tardiva emissione delle fatture di carattere formale, così riconoscendo il regime del cumulo materiale.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso rilevando che le fattispecie trasgressive si dividono in tre tipologie fondamentali. In particolare, si distingue tra: a) violazioni sostanziali che si traducono nella omessa ed infedele dichiarazione degli elementi rilevanti per la quantificazione dell'imponibile o dell'imposta e, quindi, incidono sulla determinazione della base imponibile e/o sul pagamento del tributo; b) violazioni formali, non incidono sulla determinazione dell'imponibile o dell'imposta e sono collegate ad un omesso, irregolare od incompleto adempimento del contribuente; c) violazioni meramente formali che non arrecano alcun pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo.

Un utile parametro-criterio per distinguere, sul piano normativo, tra le violazioni sostanziali e le violazioni formali, hanno continuato gli Ermellini, può essere individuato nella stessa sanzione delineata dal legislatore: quando la sanzione è prevista in misura proporzionale all'imposta, la violazione è sostanziale. In ogni caso, la Suprema Corte ha precisato che la valutazione non risponde a un criterio normativo rigido e indeclinabile ma postula un riscontro in concreto sulla offensività della condotta (id: danno erariale) rispetto alla quantificazione dell’imponibile o dell’imposta.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, in ordine al caso specifico, il ritardo nella fatturazione, sanzionato dal D.lgs. n°471 del 1997, art. 6, comma 1, integra una violazione formale e non anche sostanziale del DPR n°633 del 1972, art. 21, comma 4, ove la condotta, pur oggettivamente lesiva per l'esercizio delle azioni di controllo, non abbia arrecato alcun pregiudizio, con accertamento di fatto di competenza del Giudice di merito, sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o sul versamento del tributo, sicché, in caso di pluralità di violazioni della medesima disposizione, resta applicabile l'istituto del cumulo giuridico, ex art. 12, comma 1 del D.lgs. n°472 del 1997.


E’ UN DIRITTO DEL DESTINATARIO DELL’ACCERTAMENTO CORREGGERE L’ERRORE DEL FISCO, ANCHE SE ANDREBBE A SUO VANTAGGIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16114 DEL 9 GIUGNO 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16114 del 9 giugno 2021, ha statuito che spetta sempre al destinatario dell'accertamento correggere l'errore del fisco, ancorché tale errore sia a suo vantaggio. Questo perché i principi di collaborazione e buona fede sanciti dallo Statuto del Contribuente, Legge 212/2000, operano anche in favore dell'Amministrazione Finanziaria.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour hanno accolto le doglianze dell'Agenzia delle Entrate, dopo una doppia sconfitta in sede di merito, in quanto la CTP e la CTR avevano ritenuto nullo l'avviso di accertamento notificato ad una SRL sul maggior reddito d'impresa ai fini Ires, Irap e Iva. Il tutto sul rilievo che l’Amministrazione Finanziaria non aveva prima invitato la società a contraddire, cosa che invece risulta fondamentale negli studi di settore, tant’è che gli standard utilizzati sono soltanto strumenti statistici per ricostruire i normali redditi di un'attività e costituiscono un sistema di presunzioni semplici, che diventano gravi, precise e concordanti soltanto dopo il dovuto confronto con il privato, pena la nullità dell'accertamento.

Con l’ordinanza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che, se l'ufficio convoca il contribuente per il contraddittorio, ma la data fissata è già passata al momento della spedizione, sta a lui segnalare l’evidente errore, in quanto è totalmente esclusa la nullità dell'avviso predicabile perché l’Agenzia delle Entrate non avrebbero stabilito il confronto con l'interessato.

In nuce, la S.C. si è soffermata sul dovere di collaborazione che lo Statuto del Contribuente sancisce a carico del cittadino verso il fisco, mentre l'Amministrazione Finanziaria dal canto suo è tenuta a “efficienza e imparzialità”, donde al privato si impone di non comportarsi in contrasto con il principio di capacità contributiva ex art. 53, comma 1, della carta fondamentale. L'invito al confronto, nel caso in esame, risultava spedito il 24 novembre ma la convocazione era fissata per due mesi prima, ed in questo caso era il contribuente che avrebbe dovuto farsi diligente nel coltivare il contraddittorio col fisco, in virtù di un onere di collaborazione tanto più esigibile laddove passa oltre un mese fra il recapito dell'invito e la notifica dell'atto impositivo, avvenuta il successivo 30 dicembre.


ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE COMUNALE CHE ABBANDONA L’UFFICIO PER MANIFESTARE CONTRO IL COMUNE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.14199 DEL 24 MAGGIO 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 14199 del 24 maggio 2021, ha statuito l’illegittimità del licenziamento disciplinare comminato a un dipendente comunale che aveva momentaneamente lasciato l’ufficio per manifestare, mediante cartelli con scritte di protesta, contro le condizioni di lavoro “ingiuste e lesive”.

Nel caso in commento, l’amministrazione comunale aveva adottato il provvedimento espulsivo nei confronti di un dipendente che, in modo reiterato, aveva falsamente attestato la propria presenza in ufficio nei giorni e nell’orario in cui era, invece, acclaratamene al di fuori dei locali di servizio pur risultando al lavoro. I Giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, aditi dal dipendente avevano ritenuto illegittimo il licenziamento condannando l’Ente alla reintegra nel posto di lavoro ed alla corresponsione di una indennità risarcitoria. Sebbene fosse chiaro il comportamento colpevole tenuto dal dipendente che, durante l’orario di lavoro, era stato sorpreso a manifestare con indosso dei cartelli recanti scritte di protesta per le condizioni di lavoro, a suo dire “ingiuste e lesive”, i Giudici avevano ritenuto che la rilevanza dell’illecito disciplinare contestato al lavoratore – allontanarsi dal luogo di lavoro pur risultando in servizio – non rilevava una condotta fraudolenta, atteso che il ricorrente aveva reso volutamente visibile la propria condotta di protesta, attirando l’attenzione del datore che ne era il destinatario.

I Giudici d’Appello, inoltre, avevano chiarito che il lavoratore non aveva inteso ingannare il datore circa la sua presenza al lavoro, né era emerso che si si fosse sottratto a specifici ordini o avesse omesso di dedicarsi ai compiti assegnatigli, né tantomeno si era trattato di un comportamento abituale e reiterato, pertanto non era giustificabile il licenziamento.

Avverso tale pronuncia il Comune aveva proposto ricorso in Cassazione sostenendo la legittimità del licenziamento atteso che, secondo quanto previsto dal codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ogni ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio, a prescindere dalla durata temporale dell’assenza, integra giusta causa di licenziamento. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato le decisioni dei Giudici di merito in quanto era stato acclarato che la condotta del lavoratore, inidonea ad indurre in errore il datore di lavoro, non poteva essere ricondotta all’illecito tipizzato dal legislatore e non era da considerarsi tale da giustificare il licenziamento, atteso che non si era realizzato un vero e proprio allontanamento avendo avuto la protesta una durata di pochi minuti.

In conclusione, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del provvedimento ed ha condannato il Comune a reintegrare il dipendente oltre al risarcimento.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giusi Acampora, Luigi Carbonelli, Pietro Di Nono, Fabio Triunfo e Michela Sequino.

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Modificato: 21 Giugno 2021