19 Giugno 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

STATO DI CRISI E MINIMALE CONTRIBUTIVO NELLE COOPERATIVE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16260 DELL’8 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16260 dell’8 giugno 2023, in forza del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, ha statuito che, anche nei casi di sospensione del rapporto di lavoro per causa di “forza maggiore” non imputabile al datore di lavoro, questi è sempre tenuto al versamento sul minimale contributivo, atteso che una eventuale deroga possa essere prevista solo dalla Legge o dal CCNL di categoria e non da mero accordo tra le parti.

La sentenza trae origine dal ricorso proposto da una Cooperativa che lamentava l’indebita pretesa di contributi e premi assicurativi per i giorni in cui i soci erano in permesso non retribuito, permesso concordato tre le parti da deliberata crisi aziendale.

I Giudici di Piazza Cavour, operando una ricognizione sulla disciplina riguardante il c.d. minimale contributivo, vale a dire “l’importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale”, ha ribadito l’operatività del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in virtù del quale l’obbligo contributivo deve essere quantomeno parametrato nel rispetto della soglia minima individuata come idonea a soddisfare le esigenze assistenziali e previdenziali per la quale è stata istituita, quand’anche si registrasse una riduzione oraria o, addirittura, una sospensione del rapporto di lavoro.

Una eventuale deroga è necessario sia ravvisabile esclusivamente in una fonte legale o in ipotesi espressamente contenute nei CCNL di categoria quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione e così di seguito. Pertanto, qualsiasi accordo tra le parti che derivi da libera scelta del datore di lavoro e del lavoratore, non rappresenta una fonte legittima di individuazione della retribuzione minima assoggettabile a contribuzione previdenziale e assistenziale. Parimenti, la delibera che attesti lo stato di crisi di una cooperativa e che comporti la riduzione della retribuzione dei soci al di sotto dei minimi contrattuali fissati dal CCNL di categoria, non acquista rilevanza ai fini della determinazione dell’obbligazione contributiva se non in presenza di una clausola del contratto collettivo di settore che attribuisca alla crisi aziendale la qualità di causa di sospensione del rapporto di lavoro.

 

L’ELEMENTO DELLA PARTECIPAZIONE ALLE PERDITE NON È DETERMINANTE AI FINI DELLA QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO COME ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 13842/2023 DEL 19 MAGGIO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13842/2023 del 19 maggio 2023, ha stabilito che il solo elemento della partecipazione alle perdite non è determinante ai fini della qualificazione del rapporto come associazione in partecipazione.

Nel caso in trattazione una società proponeva opposizione avverso un avviso di addebito dell'INPS per il recupero della contribuzione previdenziale relativa alla posizione di alcuni lavoratori formalmente impiegati con contratto di associazione in partecipazione. La Corte d’Appello confermava la decisione presa in primo grado rigettando la richiesta poiché, dal contesto regolamentare pattizio, risultava che le perdite erano sempre e solo a carico dell'associante e tale clausola si poneva in contraddizione con la natura aleatoria del contratto di associazione in compartecipazione, in cui l'associato è tenuto a partecipare al rischio d'impresa. Sia i giudici di premo che di secondo grado, quindi ritenevano corretto l’operato dell’INPS che aveva qualificato i rapporti di lavoro come lavoro subordinato.

Avverso tale decisione la società ricorreva in Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2549, 2552, 2253 e 2554 c.c. e contestando la valutazione di illegittimità dei contratti di associazione in partecipazione operata dalla Corte territoriale sul presupposto dell'espressa esclusione della diretta partecipazione dell'associato alle perdite dell'impresa cui questi conferisce il proprio apporto lavorativo.

I Giudici Supremi ricordavano che la Cassazione si era già espressa in passato sulle differenze tra rapporto di lavoro subordinato con partecipazione agli utili e il contratto di associazione in partecipazione affermando che “il contratto ha quale sinallagma la partecipazione agli utili e al rischio d'impresa (esteso anche alla partecipazione alle perdite) a fronte di un determinato apporto dell'associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo; in tal caso l'associato che offre la propria prestazione lavorativa si inserisce nell'assetto organizzativo aziendale, la cui gestione dell'impresa spetta all'associante”. Sottolineavano, inoltre, come la divisione delle perdite non sia considerata dalla legge quale elemento imprescindibile per la configurazione della fattispecie, dal momento che l'art. 2553 c.c., pur ascrivendo, in via generale, a tale peculiare fattispecie contrattuale, l'elemento della condivisione tra associato e associante tanto degli utili quanto delle perdite, ne ammette la possibilità di deroga ad opera dei contraenti; infatti, anche in tale ultima ipotesi, il carattere aleatorio del contratto non ne verrebbe snaturato, atteso che, anche qualora non dovessero esservi utili, l'apporto lavorativo dell'associato sarebbe, comunque, destinato a rimanere senza compenso. In altre parole, “l'associato in partecipazione che presta la propria attività in un'impresa che consegue risultati negativi è comunque soggetto in senso lato ad un rischio economico, pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l'assenza di utili comporta l'assenza di compensi, essendo gli ultimi inevitabilmente correlati all'andamento economico dell'impresa”. Secondo gli Ermellini, dunque, il ricorso andava accolto in quanto il rapporto di lavoro non poteva essere qualificato come subordinato solo sulla base del criterio della divisione delle perdite. Il giudice di merito avrebbe invece dovuto accertare la effettiva natura del rapporto di lavoro come parasubordinato, la cui genuinità renderebbe del tutto compatibile la pattuizione di esclusione dell'associato dalle perdite con la natura aleatoria del contratto di associazione in partecipazione, così come ben chiarito dalla giurisprudenza di legittimità.

LA STAGIONALITÀ DELL’ATTIVITÀ SVOLTA DAL DIPENDENTE DEVE ESSERE TIPIZZATA DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 9243 DEL 4 APRILE 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 9243 del 4 aprile 2023, afferma che la deroga al limite del contratto a termine per attività stagionali può essere considerata legittima solo laddove sia la contrattazione collettiva a tipizzare come stagionale l’attività dal datore di lavoro.

Nel caso de quo, la Corte d’Appello di Venezia, in riforma sella sentenza del Giudice di primo grado, accoglieva la domanda proposta dai lavoratori, accertando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in luogo dei diversi contratti a termine stipulati tra le parti, la cui durata complessiva era risultata superiore a 36 mesi.

La Corte Distrettuale aveva, infatti, ritenuto che la deroga al tetto temporale imposto dal Legislatore è applicabile solo per le attività stagionali così tipizzate dal contratto collettivo, escludendo che tale nozione possa essere sovrapposta a quella di attività continuative per picchi stagionali.

Avverso la sentenza, proponeva ricorso in Cassazione la società datrice. La Suprema Corte, rigettando il ricorso, afferma che nel concetto di attività stagionale possono comprendersi situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, cioè attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo limitato ad una stagione. Si tratta di attività aggiuntive rispetto a quella normalmente svolta, per la quale è stata realizzata la struttura e l’organizzazione aziendale. Le eventuali fluttuazioni di mercato che incrementino la domanda in determinati periodi dell’anno, anche in maniera ricorrente, sono da ritenersi punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi. I Giudici di legittimità evidenziano, inoltre, che l’elenco di attività stagionali contenuto nel D.P.R. n. 1525/1963 è da ritenersi tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica, pertanto, ogni ulteriore attività dovrà necessariamente essere specificamente individuata come tale dalla contrattazione collettiva.

L’AMMINISTRATORE DI FATTO RISPONDE QUALE AUTORE PRINCIPALE NEL REATO DI OMESSA PRESENTAZIONE DI DICHIARAZIONI FISCALI MENTRE L’AMMINISTRATORE DI DIRITTO IN QUALITA’ DI PRESTANOME RISPONDE A TITOLO DI CONCORSO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. 3^ PENALE – SENTENZA N.24929 DEL 9 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione – sentenza n°24929 del 9 giugno 2023 – ha confermato la responsabilità dell’amministratore di diritto (legale rappresentante) per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette o dell’Iva.

Nel caso in specie, il Tribunale di Brescia, all'esito di giudizio abbreviato, aveva ritenuto provata la penale responsabilità dell’amministratore di una società commerciale (in qualità di legale rappresentante) per il reato ex art. 5, D.Lgs. n°74/2020 (omessa dichiarazione). Dello stesso avviso la Corte di appello di Brescia che aveva solo parzialmente riformato la sentenza in ordine alla revoca della pena accessoria relativa all’interdizione dai pubblici uffici.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’amministratore deducendo vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato. La Corte di appello, a parere dell’imputato, aveva inspiegabilmente sostenuto che non vi fosse la prova certa che la società fosse stata condotta interamente da un amministratore di fatto, escludendo la responsabilità del legale rappresentante, mero amministratore di diritto.

Orbene, la Suprema Corte – sullo specifico punto di doglianza  ha rigettato il ricorso evidenziando che la motivazione addotta dalla Corte di appello era  perfettamente logica e coerente,  dimostrando di avere fatto corretto uso del principio di diritto secondo cui l'amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette o dell'Iva, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di potere compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

In tal senso, il giudice di secondo grado non aveva mancato di specificare come non vi fosse la prova certa che la gestione societaria fosse rimessa interamente all’amministratore di fatto, con esclusione dell'imputato. Soprattutto, il ricorrente, amministratore di diritto, era persona con esperienza imprenditoriale alle spalle ed era perfettamente consapevole del fatto che la società da lui amministrata non presentava le dovute dichiarazioni annuali per le imposte.

Da ultimo, hanno concluso gli Ermellini, le scritture contabili risultavano essere state rimesse proprio nelle mani del ricorrente e non di altri e che queste erano funzionali all'adempimento dell'obbligo in contestazione.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 1 Agosto 2023