20 Giugno 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. MAGGIO 2022

Il 16 Giugno scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Maggio 2022 (id: licenziamenti dal 15 maggio al 14 giugno 2022) determinandoli in 3,732345 e 110,6.

 

NULLO IL LICENZIAMENTO INTIMATO AL CAPOTRENO CHE, PER ECCESSO DI ZELO, IRROGAVA TROPPE MULTE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12789/2022 DEL 21 APRILE 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12789 del 21 aprile  2022, ha stabilito l’illegittimità del licenziamento per giusta causa del capotreno troppo scrupoloso che in due anni aveva irrogato ben 127 multe, ritenendo il suo comportamento dovuto ad un comportamento imprudente e frutto di un eccesso di zelo nello svolgimento della propria mansione piuttosto che ad una condotta fraudolenta mirata a frodare l'azienda al fine di percepire provvigioni più elevate.

Nel caso in trattazione la Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato dalla società datrice di lavoro nei confronti di un dipendente reo di aver riscontrato, in qualità di Capotreno, un notevole numero di irregolarità su titoli di viaggio (175 nel biennio 2014/2016), procurandosi un vantaggio corrispondente a provvigioni superiori a quelle contrattualmente previste e pari a circa 400,00 Euro. Nonostante i numerosi errori compiuti nel controllo dei biglietti, infatti, per i Giudici di merito non era ravvisabile una condotta fraudolenta e mirata a frodare l'azienda ma si trattava piuttosto di comportamento dovuto ad una eccessiva severità nello svolgimento della propria mansione.

Secondo i giudici d'Appello, in particolare, pur “essendo emerso uno zelo non comune del capotreno, inflessibile ed estremamente puntiglioso nell'elevare contravvenzioni”, gli elementi probatori raccolti non consentivano di configurare una condotta dolosa o fraudolenta costituente reato con finalità esclusive di lucro (il maggiore guadagno peraltro consisteva in una cifra irrisoria se considerata nell’arco temporale di due anni) né la malafede contro l'azienda bensì, semmai, un comportamento di imprudenza e di negligenza attestata da oggettivi errori nello svolgimento dell'attività di controllo dei biglietti. La sanzione espulsiva, dunque, veniva considerata eccessiva, attesa la mancanza del dolo diretto finalizzato all’appropriazione di somme o a danneggiare l’azienda.

La società datrice presentava ricorso per la cassazione della sentenza con due motivi di doglianza. Con il primo motivo lamentava violazione e la falsa applicazione degli artt. 2119,2104,2105,2106 c.c.,  e degli artt. 56, 60, 61, 53, 64 CCNL Mobilità, avendo la Corte territoriale trascurato di valutare se i comportamenti tenuti dal dipendente integrassero comunque il modello legale di giusta causa di licenziamento, a prescindere dalle clausole del CCNL che tipizzano il licenziamento senza preavviso solamente per comportamenti dolosi, pur dovendosi ritenere che anche le clausole negoziali richiamano, nel loro incipit, la nozione legale di giusta causa. Con il secondo motivo, lamentava violazione e falsa applicazione della L.300/1970, art. 18, commi 4 e 5, per aver trascurato che i fatti erano risultati sussistenti.

La Suprema Corte, condividendo la valutazione compiuta dai Giudici di primo e secondo grado, evidenziava che l’ipotesi dell’intenzionalità di danneggiare l’azienda per trarne guadagno veniva smentita dal comportamento intransigente tenuto dal lavoratore nello svolgimento del proprio lavoro. Riguardo, invece, alla proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione addebitata al lavoratore, gli Ermellini chiarivano che la condotta tenuta dal Capotreno doveva essere inquadrata nell'ottica delle sanzioni conservative previste dal contratto applicato in azienda, sanzioni che “puniscono la negligenza e l'inosservanza di leggi, regolamenti e obblighi di servizio con pregiudizio agli interessi dell'azienda o vantaggio per sé o per terze persone”. Acclarata, inoltre, la mancanza di un dolo diretto finalizzato all'appropriazione di somme o a danneggiare l'azienda, diveniva eccessiva la misura del licenziamento, prevista per punire “la inosservanza di fonti normative che abbia arrecato pregiudizio alla sicurezza dell'esercizio con danni gravi al materiale o alla persona ovvero gravissime violazioni dolose che incrinino irreversibilmente il vincolo fiduciario” tra dipendente e datore di lavoro.

 

L'APLICAZIONE DEL PRINCIPIO SOLIDARISTICO CHE DISCIPLINA IL CONCORSO DEL REATO E COMPORTA L'IMPUTAZIONE IN CAPO A CIASCUN CONCORRENTE NON TROVA CORRISPONDENZA NELL'IPOTESI DI FALSA FATTURAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. PENALE – SENTENZA N.17447  DEL 4 MAGGIO 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°17447 del 4 maggio 2022 – ha statuito, in tema di concorso nel reato per falsa fatturazione, che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell'emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture.

Nel caso de quo, ad un imprenditore era stato contestato il delitto ex art. 8, D.Lgs. n°74/2000  perché, nella qualità di legale rappresentante della omonima ditta individuale, aveva emesso numerose fatture per operazioni oggettivamente inesistenti  al fine di consentire ad una s.r.l. l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Il reato era stato oggetto di patteggiamento, ex art. 444 c.p.c., ratificato dal G.i.p. di Milano.

Con la stessa pronuncia, il Giudice aveva disposto a carico dell'imprenditore la confisca dei beni fino alla concorrenza, per equivalente, di una somma di danaro, il cui ammontare coincideva con il profitto (id: risparmio di imposta) conseguito dall'utilizzatore (Srl) delle fatture medesime.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'imprenditore eccependo l’illegittimità della misura ablatoria perché avrebbe presupposto un profitto non conseguito dalla mera emissione dei documenti.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto  il ricorso ricordando che in via generale, di fronte ad un illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Più in particolare, la confisca di valore può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, non essendo esso ricollegato all'arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell'illecito.

Tale principio, hanno continuato gli Ermellini, non trova applicazione nel caso, come quello in esame, relativo alla condotta posta in essere dal soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti  in relazione alla condotta posta in essere di chi si avvale delle stesse fatture. Infatti, l'art. 9 del D.Lgs. n°74/2000 stabilisce che, in deroga all'art. 110 c.p. l'emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato. Il principio, in particolare, considera che la determinazione del profitto, nel reato ex articolo 8, deve tener conto che l'emissione di fatture per operazioni inesistenti è funzionale all'evasione da parte di terzi e non genera un diretto vantaggio economico a favore dell'emittente in relazione al risparmio di imposta.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini,  in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell'emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall'utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dall'art. 9 citato, impedisce l'applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido negli altri casi di illecito plurisoggettivo.

 

NON È TASSABILE IL RISARCIMENTO PERCEPITO DAL LAVORATORE IN SEGUITO A UNA TRANSAZIONE PER PERDITA DI CHANCE, IN QUANTO SI TRATTA DI UN DANNO EMERGENTE E NON UN LUCRO CESSANTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.14842 DEL 10 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.14842 del 10 maggio 2022, ha statuito che deve considerarsi esentasse il risarcimento percepito dal lavoratore conseguente ad una transazione per perdita di chance, essendo configurabile un danno emergente e non un lucro cessante.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, confermando la decisione della CTR di Reggio Calabria, hanno respinto le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, intesa al recupero a tassazione di somme percepite in seguito ad una transazione per la perdita di chance professionale di cui era stato vittima un dirigente medico, che aveva citato in giudizio la ASP (id: Azienda pubblica di servizi alla persona) locale incassando le somme in parola.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno respinto in toto il gravame presentato dalla difesa dell'Amministrazione Finanziaria sancendo che “in tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, T.U.I.R., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore, anche in via transattiva, per la perdita di chance.

I Giudici di legittimità, hanno rimarcato che il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente alle irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario e il giudice adito ha riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente, consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera, non riconducibile all'art. 6 T.U.I.R., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito.

In nuce, per la S.C., al di là della transazione, sono assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, se siano volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (id: lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa (id: danno emergente).

 

IN CASO DI INADEMPIMENTO DELL'ORDINE DATORIALE DI TRASFERIMENTO, È COMUNQUE NECESSARIA UNA VALUTAZIONE SULLA BUONA FEDE DEL LAVORATORE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16206 DEL 19 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16206 del 19 maggio 2022, afferma che, al fine di addivenire ad un giudizio di proporzionalità o meno della decisione del lavoratore di disattendere l’ordine datoriale di trasferimento, è necessario valutare tutte le circostanze del caso concreto, nell’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi.

La controversia oggetto di pronuncia deriva dall'opposizione sollevata dal lavoratore licenziato per non essersi presentato nella sede aziendale ove era stato assegnato a seguito della reintegra disposta giudizialmente come conseguenza di un precedente recesso dichiarato infondato.

A base della predetta domanda, il medesimo deduceva che il trasferimento disposto, senza alcuna motivazione dall’azienda datrice, doveva ritenersi illecito, posto che la sentenza di reintegra prevedeva che la stessa avvenisse nel luogo e nelle mansioni originarie.

La Cassazione rileva che, qualora il lavoratore non dia esecuzione al provvedimento datoriale di trasferimento, è necessario operare una valutazione che verifichi la sussistenza o meno della buona fede nel comportamento del dipendente. Pertanto, l'indagine dovrà essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie. In particolare, dovrà tenersi conto della entità dell'inadempimento in relazione al complessivo assetto degli opposti interessi in gioco, tra cui la concreta incidenza del trasferimento sulle fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore da una parte e ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento dall'altra.

Su tali presupposti, i Giudici di legittimità hanno dichiarato la reazione del lavoratore proporzionata rispetto alla grave condotta societaria, sostanziatasi nella protratta inottemperanza alla decisione giudiziale di reintegra e nella successiva elusione della stessa, attraverso la ricollocazione del lavoratore in un luogo diverso da quello originario e comunque, in ipotesi di trasferimento, per assenza di ragioni giustificative a supporto dello stesso.

 

LE SOMME EROGATE A TITOLO RISARCITORIO SONO SOGGETTE A TASSAZIONE SOLO SE RELATIVE AL DANNO PATRIMONALE CONCRETIZZATOSI IN LUCRO CESSANTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16512 DEL 23 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 16512 del 23 maggio 2022, ha statuito che le somme erogate a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per lucro cessante sono soggette a tassazione, mentre restano escluse le somme erogate per il risarcimento del danno patrimoniale concretizzatosi in un danno emergente.

Nel caso in oggetto, la dipendente di una P.A. ottiene dal Consiglio di Stato l’annullamento dell’atto con il quale si vedeva esclusa dal corso concorso per l’accesso alla dirigenza. In sede di ottemperanza, il Consiglio di Sato imponeva alla P.A. l’organizzazione di un nuovo corso concorso, per consentire la partecipazione della lavoratrice.

Quest’ultima, all’esito positivo del corso concorso, adiva il T.A.R. ottenendo la condanna dell’amministrazione al pagamento del risarcimento del danno subito, nelle forme del danno patrimoniale, pari alla differenza tra retribuzione percepita e quella che avrebbe percepito come dirigente e del danno non patrimoniale. Pur provvedendo, l’amministrazione aveva applicato alle somme ritenute fiscali a titolo di IRPEF, la dipendente adiva quindi la Commissione Tributaria provinciale per ottenere il rimborso delle somme trattenute. Se la Commissione tributaria provinciale accoglieva integralmente le sue ragioni, la Commissione tributaria regionale riformava la pronuncia, con riferimento alle ritenute operate sulle somme corrisposte a titolo di danno patrimoniale, evidenziando che queste ultime rappresentavano erogazioni sostitutive del reddito, soggette pertanto ad imposizione.

La lavoratrice ricorreva dunque in Cassazione. La Suprema Corte evidenzia in primis che il D.P.R. n. 917/1986 comma 2 dispone che le somme a titolo di risarcimento del danno erogate per la perdita di redditi, rappresentano in ogni caso redditi rientranti nella stessa categoria di quelli persi. Inoltre, con orientamento consolidato, i Giudici di legittimità hanno affermato che le somme percepite a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione solo se tese a ristorare un danno di tipo patrimoniale, concretizzatosi in un lucro cessante, viceversa non sono soggette a tassazione le somme erogate a titolo di danno emergente, quali il danno morale, il danno d’immagine o il danno da perdita di chance.

Poiché la Commissione tributaria regionale aveva correttamente applicato detti principi, la Suprema Corte respinge il ricorso della lavoratrice.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
    Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 20 Giugno 2022