26 Giugno 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

LA RICHIESTA DI CHIARIMENTI DA PARTE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA IN ORDINE ALL’UTILIZZO DI FATTURE FALSE NON PRECLUDE LA POSSIBILITA’ DI ADERIRE AL RAVVEDIMENTO OPEROSO AI FINI DELLA NON PUNIBILITA’ DEL REATO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. 3^ PENALE – SENTENZA N.26274 DEL 19 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione – sentenza n°26274 del 19 giugno 2023 – ha ammesso la possibilità del ravvedimento, in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false (art.2, D.Lgs. n°74/2000), anche se successiva all’invio di richiesta di chiarimenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Nel caso in specie, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino impugnava la sentenza con la quale il giudice per l'udienza preliminare aveva assolto un imputato dal reato ex art. 2, D.Lgs. 74/2000 per aver indicato nella dichiarazione dei redditi elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, per essere il fatto non punibile ai sensi dell’art. 13 del medesimo decreto, avendo provveduto al pagamento integrale del debito tributario.

In particolare, il contribuente, in qualità di utilizzatore di fatture false rinvenute nell'ambito di una verifica svolta nei confronti dell'emittente, era stato raggiunto da una richiesta di chiarimenti e, conseguentemente, aveva provveduto al versamento integrale, con ravvedimento, delle imposte scaturenti da apposita dichiarazione integrativa.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente duolendosi della stauizione conseguente alla legittimazione della richiesta di informazioni, quale atto ostativo alla possibilità di aderire al ravvedimento operoso.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando che l’art. 13 citato dispone che i reati di cui agli articoli 2,3, 4 e 5 non siano punibili se i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito di ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, "sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo di procedimenti penali".

In tal senso, hanno continuato gli Ermellini, deve essere interpretato il limite, di natura soggettiva, che l'estinzione del debito tributario avvenga prima che l'interessato abbia avuto formale conoscenza di qualunque accertamento, di natura penale o amministrativa. La norma infatti preclude l'effetto della esclusione della punibilità qualora l'interessato abbia avuto la conoscenza formale dell'inizio di qualunque attività di accertamento, amministrativo o penale, elencando alcuni atti tipici, quali accessi, ispezioni, verifiche, e facendo riferimento all'inizio di "qualunque attività di accertamento amministrativo".

Conseguentemente, hanno concluso gli Ermellini, l'essere stato chiamato a chiarimenti nell'ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato, non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell'attributo "formale" della conoscenza richiesta, il quale postula che l'accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato.

PRESCRIZIONE DEL DIRITTO ALLE FERIE E DELL’INDENNITÀ SOSTITUTIVA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17643 DEL 20 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023, statuisce che l’indennità sostituiva di ferie non godute è intrinsecamente legata al diritto a godere delle ferie annuali. La prescrizione di tale diritto e della relativa indennità sostitutiva decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, ad eccezione dei casi in cui il datore di lavoro riesca a provare di aver adempiuto all’obbligo di concedere le ferie e di aver adeguatamente informato il lavoratore del venir meno del diritto al termine del periodo di riferimento.

Nel caso de quo, la dipendente di una P.A. adiva il Tribunale alla cessazione del suo rapporto di lavoro, per chiedere la corresponsione dell’indennità sostitutiva per ferie non godute, nonché per la mancata tempestiva fruizione delle ferie per compenso incentivante.

Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano parzialmente il ricorso, dichiarando il diritto della ricorrente alla monetizzazione delle ferie non godute.

La Corte di Cassazione, richiamando la direttiva Europea 2003/88, confermava il decisum dei Giudici di merito, affermando che il lavoratore ha il diritto irrinunciabile ad un periodo di ferie annuali, il cui scopo è quello del riposo rispetto all’esecuzione dei compiti attribuiti e di beneficiare di un periodo di relax e svago.

A questo diritto è intrinsecamente collegato quello dell’indennità per ferie non fruite, la cui corresponsione è subordinata, secondo l’art. 7 della medesima Direttiva, alle sole condizioni della cessazione del rapporto di lavoro e del mancato godimento da parte del lavoratore delle ferie annuali, cui avrebbe avuto diritto alla data in cui il rapporto di lavoro si era concluso. Il datore di lavoro è tenuto a provare di aver adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite, e la perdita del diritto alle ferie ed anche all’indennità sostitutiva può avvenire solo se quest’ultimo ha invitato, anche formalmente, il lavoratore a godere delle ferie maturate ed al contempo lo ha avvisato del venir meno di questo diritto al termine del periodo di riferimento.

SPROPORZIONATO IL LICENZIAMENTO DEL MEDICO CHE RIFIUTA L’INTERVENTO ABORTIVO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16551 DEL 12 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16551 del 12 giugno 2023, ha riaffermato un principio oramai consolidato nella giurisprudenza secondo cui, in ordine alla proporzionalità del licenziamento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell’accertamento dell’illecito disciplinare, sussistendo l’obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale e, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta.

Nel caso in esame, infatti, un medico impugnava il licenziamento disciplinare comminatogli da parte dell'Azienda sanitaria datrice per essersi rifiutato, durante il turno di guardia notturno, di soccorrere una paziente giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico, avviato con l’assistenza di altro medico, e di aver fatto chiamare quest’ultimo, anch’egli appartenente al medesimo reparto, ma in quel momento fuori servizio.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava l’impugnativa e dichiarava legittimo il licenziamento disciplinare intimato, ritenendo la condotta tenuta dal medico tale da giustificare la sanzione espulsiva. I Giudici ritenevano, infatti, che il lavoratore avesse violato i propri doveri di sorveglianza ed intervento e giudicavano ininfluenti sia la sua qualità di obiettore di coscienza sia la circostanza che fosse emerso ex post un reale pericolo di vita della paziente.

La Suprema Corte, adita dal medico, stabiliva che i giudici di merito, pur avendo accertato l'inadempimento del dottore, che senz’altro era venuto meno agli obblighi lavorativi, essendo evidente che, nella sua qualità di sanitario di guardia, aveva il dovere di farsi carico dal punto di vista medico della situazione, non avevano tenuto conto adeguatamente del principio di proporzionalità tra la condotta e la gravità della sanzione inflitta, come richiesto dal relativo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.

Nel caso specifico, infatti, non era stato riscontrato alcun danno reale alla salute della paziente, in quanto le conseguenze si erano limitate a semplici disagi per la stessa, né la condotta del sanitario aveva causato un tangibile discredito per l’azienda, atteso che l’incidente non aveva avuto alcuna eco esterna.

Il Giudice di merito, inoltre, non aveva considerato che la scelta di far chiamare il medico di fiducia della paziente non poteva reputarsi del tutto incongrua, dato che aveva prontamente chiamato il medico che aveva seguito la paziente durante l'aborto, che era intervenuto positivamente nel caso.

Per tali motivi la Suprema Corte cassava la sentenza impugnata rinviando alla Corte d'Appello, in diversa composizione, per una valutazione ex novo della congruità del licenziamento, valutando anche se lo stesso abbia avuto il carattere ritorsivo.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino

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Modificato: 1 Agosto 2023