10 Luglio 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE VIOLA I PRINCIPI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE NELL'ESECUZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA E' DA RITENERSI LEGITTIMO ANCHE IN ASSENZA DELLA PREVENTIVA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 14192 DEL 7 GIUGNO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 14192 del 7 giugno 2017, ha (ri)statuito che il licenziamento disciplinare, comminato per violazione dei doveri fondamentali di correttezza e buona fede nel normale espletamento dell'attività lavorativa, è pienamente valido ed efficace anche in assenza della necessaria pubblicità, richiesta dallo Statuto dei lavoratori, per il codice disciplinare aziendale.

Nel caso de quo, un dipendente della società autostradale, addetto al controllo della viabilità per garantire la sicurezza e l'incolumità degli automobilisti, veniva “pizzicato” a dormire nel furgone di servizio durante il normale orario di lavoro. Autostrade per l'Italia Spa irrogava, all'esito del procedimento disciplinare – ex art. 7 della L. n° 300/70 -, il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore adiva la Magistratura sostenendo, fra l'altro, l'invalidità dell'atto di recesso datoriale per la mancata preventiva affissione del codice disciplinare.

Soccombente in Appello, dopo il pieno soddisfo in I° grado, il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

Orbene gli Ermellini, nel ribaltare nuovamente il deliberato, hanno evidenziato che laddove il comportamento del dipendente si palesi in una grave ed inconfutabile violazione dei doveri “generali” di correttezza e buona fede nell'esecuzione della prestazione lavorativa alla quale il subordinato è normalmente adibito, il licenziamento per giusta causa (ovvero per giustificato motivo soggettivo) è pienamente legittimo anche in mancanza della prevista affissione del codice disciplinare.

Pertanto, atteso che nel caso di specie il comportamento del lavoratore era di particolare gravità, avendo messo in pericolo la sicurezza degli automobilisti per la sua mancata vigilanza sulle condizioni della superfice stradale nelle ore trascorse dormendo, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno accolto il ricorso sancendo la piena legittimità dell'atto di recesso datoriale.

                                                                                             

LE MOTIVAZIONI DEL LICENZIAMENTO DEVONO ESSERE INDICATE IN MODO PUNTUALE E DETTAGLIATO CONSENTENDO AL LAVORATORE DI AVERE CONTEZZA DELLE RAGIONI CHE HANNO PORTATO ALLA SUA ESTROMISSIONE DALL'ATTIVITA' PRODUTTIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15877 DEL 26 GIUGNO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15877 del 26 giugno 2017, ha (ri)statuito che il datore di lavoro è tenuto a comunicare in modo puntuale e dettagliato le motivazioni poste a fondamento dell'atto di recesso non essendo sufficiente il rinvio a generiche ragioni produttive ovvero alla carenza di lavoro.

Nel caso de quo, un dipendente veniva licenziato a causa della perdurante carenza di lavoro che costringeva l'azienda datrice di lavoro a ridurre il personale. Il prestatore adiva la Magistratura ritenendo che le ragioni indicate dall'azienda (ex) datrice di lavoro fossero troppo generiche non consentendogli il pieno esercizio del proprio diritto di difesa.

Soccombente in Appello, dopo il pieno soddisfo in I° grado, l'azienda ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato della Corte territoriale, hanno evidenziato che la motivazione del recesso deve essere sufficientemente specifica e completa ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento e cioè delle specifiche ragioni organizzative e produttive che hanno comportato la soppressione del suo personale posto di lavoro e non di altri lavoratori.

Pertanto, atteso che nel caso de quo il datore di lavoro si era limitato ad indicare genericamente una perdurante carenza di lavoro che lo costringeva a ridurre il personale, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso sancendo l'illegittimità del licenziamento per g.m.o. comminato dall'azienda.

 

LA NOTIFICA DI SVARIATE LETTERE DI CONTESTAZIONE DISCIPLINARE NON E' DA SOLA IDONEA A CONFIGURARE UN COMPORTAMENTO “MOBBIZZANTE” NEI CONFRONTI DEL DIPENDENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15962 DEL 27 GIUGNO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15962 del 27 giugno 2017, ha statuito che non può essere qualificato come “mobbing” il comportamento del datore di lavoro che emette varie contestazioni disciplinari nei confronti di un proprio subordinato essendo necessario, per tale qualificazione, la presenza di altri elementi quali la sussistenza di un disegno unitario mirato all'emarginazione ed all'isolamento del prestatore nell'ambiente di lavoro.

Nel caso de quo, un dipendente veniva licenziato per giusta causa, all'esito del procedimento disciplinare sancito dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, e per giustificato motivo oggettivo.

Il prestatore impugnava, nei termini di legge, l'atto di recesso datoriale sia per la “doppia” motivazione (giusta causa e giustificato motivo oggettivo) sia sostenendo che l'azienda aveva posto in essere, nei suoi confronti, un comportamento “mobbizzante” esternatosi in svariate contestazioni disciplinari emesse anche per lievi mancanze lavorative.

Soccombente in Appello, dopo il pieno soddisfo ottenuto in I° grado, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel rigettare il ricorso in quanto inammissibile, hanno evidenziato che il fenomeno definito “mobbing” è rappresentato da una serie di atti posti in essere all'interno di un disegno unitario volto all'emarginazione ed all'isolamento del prestatore sul luogo di lavoro. Conseguentemente, affinché possa ritenersi sussistente un comportamento “mobbizzante”, è necessario che il datore di lavoro ponga in essere svariati atti, di diverse tipologie, tutti mirati esclusivamente ad arrecare un danno psicologico e relazionale al subordinato.

Pertanto, atteso che nel caso de quo le contestazioni disciplinari erano tutte legittimamente fondate, e basate su accadimenti realmente verificatisi, e che il prestatore non aveva fornito prova sufficiente della presenza di un disegno univoco del datore diretto esclusivamente alla sua emarginazione lavorativa, i Giudici di Piazza Cavour, nel rigettare il ricorso per la sua inammissibilità, hanno comunque evidenziato la legittimità del recesso per giusta causa irrogato.

 

AL DIRIGENTE LICENZIATO PER MOTIVI SOGGETTIVI DEVE ESSERE GARANTITO IL DIRITTO DI DIFESA 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15204 DEL 20 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15204 del 20 giugno 2017, ha statuito che il licenziamento di un dirigente per un comportamento colpevole o, comunque, tale da ledere la fiducia in lui riposta, impone sempre l’attivazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300/1970.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello dell’Aquila, a conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Chieti, confermava l’illegittimità del licenziamento comminato al dirigente per aver omesso la contestazione preventiva al licenziamento. In conseguenza a ciò, senza tuttavia procedere con la reintegrazione del posto di lavoro, la società veniva condannata al pagamento dell’indennità supplementare e di preavviso.

Nel caso de quo, gli Ermellini, dopo una lunga disamina di carattere sistematico hanno ritenuto corretto il ragionamento dei Giudici di merito. Difatti, i dirigenti d’azienda rientrano fra le categorie legali indicate dall’art. 2095 del c.c. con la conseguenza che ad essi è applicabile quanto previsto del Libro V del codice civile e delle leggi speciali, ossia norme rivolte indistintamente a tutti i lavoratori dipendenti. Le deroghe alla disciplina generale sono previste da apposite leggi e non esistono distinzioni fra dirigenti apicali ed altri dirigenti, con la conseguenza che al dirigente apicale non può essere negato il diritto di difesa quando allo stesso vengono addebitate delle condotte o dei comportamenti tali da ledere il vincolo fiduciario. 

In conclusione, la mancanza delle garanzie previste dalla procedura di cui all’art. 7 della Legge 300, impone conseguenze risarcitorie in capo alla società ex datrice di lavoro. 

 

IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE PUO’ FONDARSI SU RAGIONI APPREZZABILI, IDONEE AD ESCLUDERE L’ARBITRARIETA’ DEL RECESSO.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 15380 DEL 21 GIUGNO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15380 del 21 giugno 2017, ha statuito che per il licenziamento dei dirigenti è sufficiente che la motivazione sia fondata su ragioni apprezzabili, tali cioè da escludere l’arbitrarietà del recesso.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello, a differenza della pronuncia di primo grado, confermava il licenziamento e riformava la parte in cui la società datrice era stata condannata al pagamento di differenze sull’indennità di mancato preavviso, nel caso di specie a seguito di inclusione del “bonus per risultati”.

I Giudici dell’Appello ritenevano corretto il licenziamento sotto il profilo formale, valutando come giustificata la ragione posta a base del licenziamento. Mentre, riguardo al mancato riconoscimento della differenza richiesta, sull’indennità di mancato preavviso, non ritenevano fosse inclusiva dei bonus per risultati.  

Nel caso de quo, gli Ermellini hanno ricordato che il licenziamento di un dirigente può fondarsi su ragioni soggettive riferibili allo stesso e ragioni oggettive riguardanti l’organizzazione aziendale. Le ragioni non necessariamente devono coincidere con un’impossibilità a proseguire il rapporto di lavoro o una crisi aziendale, purché sia rispettato il principio di buona fede e correttezza. Il diritto all’indennità supplementare spetta al dirigente solo quando il licenziamento non sia giustificato, ovvero sia del tutto arbitrario.  Riguardo poi all’inclusione del “bonus per risultati” nell’indennità sostitutiva di preavviso, i Supremi Giudici ricordano come l’art. 2118 del c.c.  includa ogni forma di reddito escludendo i soli rimborsi.

In conclusione, i Giudici di legittimità hanno confermato il licenziamento e cassato la parte relativa all’indennità con conferma del pagamento a favore del dirigente licenziato. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

    Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 10 Luglio 2017