5 Luglio 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….

 

LEGITTIMA LA RIDUZIONE DELL’INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO NELL’AMBITO DI UN ACCORDO STIPULATO A CONCLUSIONE DI UNA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16917 DEL 15 GIUGNO 2021
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16917 del 15 giugno 2021, ha statuito che deve ritenersi legittimo l’accordo aziendale, raggiunto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, con il quale le parti hanno concordato la riduzione dell’indennità di mancato preavviso per i dipendenti destinatari del licenziamento, individuati fra quelli più prossimi al pensionamento.
Con la sentenza in commento, gli Ermellini hanno ribaltato l’esito dei due conformi giudizi di merito con il quale era stato statuito che la contrattazione decentrata, recte l’accordo raggiunto a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo – art. 24 L. 223/91-, non era idonea a modificare i trattamenti economico-normativi del CCNL, né che a tale contrattazione potesse essere riconosciuta la natura di “accordi di prossimità”.
In particolare, la Corte distrettuale, nel richiamare la sentenza della Corte costituzionale n° 268/1994 che ha statuito la differenza fra accordi “gestionali” (c.d. “procedimentalizzati” dei poteri datoriali, fra i quali -certamente- l’accordo raggiunto a conclusione della procedura di licenziamento collettivo) e quelli “normativi” (destinati a regolamentare il rapporto fra le parti), aveva escluso all’accordo – ex art. 5 della L. 223/91- natura “normativa”, con l’effetto che non si potesse procedere ad una riduzione dell’indennità sostitutiva del preavviso (da 6, come da CCNL, a 3, concordata nell’ambito della procedura).
La Suprema Corte, invece, nel richiamare i precedenti nomofilattici (19660/2019, 13988/2017, 22322/2010 e 11740/2007), ha affermato la natura “obbligatoria” del preavviso, donde l'esercizio della facoltà di recedere con effetto immediato determina l'insorgere dell'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso, obbligazione pecuniaria che ben può costituire oggetto di accordo e di rinuncia  (cfr. Cass. 18/06/2015 n. 12636 e 28/09/2010 n. 20358) ed è pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali, chiamate, nel contesto di una crisi aziendale, a mediare per assicurare la prosecuzione dell'attività di impresa e la conservazione dei livelli di occupazione.
Ha, inoltre, attribuito alla contrattazione de qua la natura di “accordo di prossimità”, di cui all’art. 8 del DL 138/2011, proprio perché perfezionato a fronte di una severa e ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale e finalizzato a mantenere, in detta prospettiva, una maggior tutela dei lavoratori al fine di assicurare un minor costo sociale dell'operazione e di salvaguardare la prosecuzione dell'attività d'impresa e la relativa occupazione secondo le finalità cui è diretta la stessa L. n. 223 del 1991.
Ciò posto, come da previsione di cui al comma 2-bis dell’art. 8 DL 138/2011, le parti ben hanno potuto concordare in ordine alle “conseguenze del recesso dal rapporto”, fra le quali – senza dubbio – l’indennità sostitutiva del preavviso.
Peraltro, la riduzione da 6 a 3 mensilità è stata giudicata altresì in linea con la previsione di cui all’art. 4 della Carta Sociale Europea con la quale di riconosce il diritto dei lavoratori ad un “ragionevole periodo di preavviso in caso di cessazione dal lavoro”.

LA CESSIONE DI (RAMO DI) AZIENDA ILLEGITTIMA COMPORTA IL DIRITTO DEL LAVORATORE A PERCEPIRE LA RETRIBUZIONE DA PARTE DEL CEDENTE E QUESTI NON POTRA’ DETRARRE QUANTO EROGATO DAL CESSIONARIO (C.D. ALIUNDE PERCEPTUM).

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16719 DEL 14 GIUGNO 2021
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16719 del 14 giugno 2021, ha statuito che, in caso di cessione di (ramo di) azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto alla “retribuzione” da parte del cedente relativamente al periodo di lavoro effettuato presso il cessionario, donde – attesa la natura retributiva e non risarcitoria – non è possibile detrarre l’aliunde perceptum (erogato dal cessionario).

Gli Ermellini, confermando la decisione dei Giudici distrettuali di Bologna, hanno dato continuità al più recente orientamento giurisprudenziale nomofilattico (Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019) formatosi all’esito della sentenza della Corte costituzionale n° 29/2019 in materia di illecita interposizione di manodopera ed alla natura delle somme spettanti al lavoratore (id: retributiva).
Pertanto, sulla base di tali statuizioni è stato (ri)affermato il seguente principio di diritto: “qualora il datore di lavoro abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, non sono detraibili dalle somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l'attività' prestata alle dipendenze dell'imprenditore già cessionario,  ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente – come nella fattispecie – la non opponibilità  della cessione al dipendente ceduto; e ciò, perché, in tale ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento (ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018.). Per la qual cosa, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui si fonda la detraibilità dell'aliunde perceptum dal risarcimento, poiché, appunto, è stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio.

IL PERIODO DI PREAVVISO NON LAVORATO SI COMPUTA AI FINI DEL RAGGIUNGIMENTO DEL REQUISITO PER LA CORRESPONSIONE DELL'INDENNITA' ORDINARIA DI DISOCCUPAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 17606 DEL 21 GIUGNO 2021.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 17606 del 21 giugno 2021, ha confermato, in tema di riconoscimento dell'indennità di disoccupazione, la legittimità del computo, per il calcolo del requisito nel biennio di iscrizione all'AGO, del periodo di preavviso ancorché non lavorato.
Nel caso de quo, la Corte d'Appello dell'Aquila, in riforma della sentenza del tribunale di Pescara, aveva rigettato la domanda di un lavoratore tesa alla corresponsione della indennità di disoccupazione per difetto della contribuzione necessaria.
In particolare, la Corte territoriale, ritenendo non computabili cinque settimane relative all'indennità sostitutiva del preavviso, in ragione del carattere obbligatorio e non reale del preavviso non lavorato (che comporta l'immediata estinzione del rapporto di lavoro), aveva escluso che il lavoratore avesse raggiunto il requisito minimo per beneficiare della prestazione richiesta, con ciò legittimando il diniego dell'Inps.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore per avere ritenuto il periodo di preavviso corrisposto inutile ai fini del requisito contributivo.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando, nella premessa dei motivi della decisione, l'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo; la necessità di un'autonoma ricostruzione della fattispecie ai fini previdenziali emerge dalla considerazione del R. Decreto Legge n°1827 del 1935, art. 73, comma 2, convertito in Legge n° 1155 del 1936, che nel prevedere che "qualora all'assicurato sia pagata una indennità per mancato preavviso, l'indennità per disoccupazione è corrisposta dall'ottavo giorno successivo a quello della scadenza del periodo corrispondente per mancato preavviso ragguagliata a giornate, evidenzia nello specifico la rilevanza del periodo di preavviso ai fini previdenziali, come se il rapporto fosse continuato.
L'indennità sostitutiva di preavviso è, pertanto, uno degli emolumenti corrisposti dal datore di lavoro in relazione al rapporto di lavoro, ai quali si correla l'obbligazione contributiva previdenziale del datore, il quale paga contributi anche in relazione all'indennità sostitutiva. La contribuzione sull'indennità di preavviso concorre, di conseguenza, a formare la base imponibile e pensionabile, sicché la liquidazione del trattamento pensionistico goduto tiene conto della somma ricevuta a titolo di indennità sostitutiva del preavviso erogata dal datore di lavoro all'atto della cessazione del rapporto di lavoro e dei relativi contributi.  Inoltre, hanno continuato gli Ermellini, l'indennità di disoccupazione è prestazione che ha natura previdenziale e non assistenziale, non essendo a carico della fiscalità generale, ma correlandosi specificamente ad un montante contributivo. Se dunque l'indennità' sostitutiva del preavviso è normativamente sottoposta a contribuzione, la quale concorre a formare la base pensionabile, logica (sinallagmatica) vuole che il tempo coperto dal preavviso sia considerato utile anche ai fini del raggiungimento del periodo minimo di lavoro necessario per beneficiare del trattamento di disoccupazione.

ANCHE LE CONTROVERSIE CHE SCATURISCONO DALL’IMPUGNAZIONE DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO SPICCATA IN BASE AI DATI FORNITI DAL CONTRIBUENTE PUO’ APPLICARSI LA ROTTAMAZIONE-TER.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – SENTENZA N. 18298 DEL 25 GIUGNO 2021
La Corte di Cassazione – Sezioni Unite -, sentenza n° 18298 del 25 giugno 2021, ha statuito che, nel provvedimento denominato rottamazione ter, vi rientrano anche le controversie che scaturiscono dall'impugnazione della cartella di pagamento spiccata in base ai dati forniti dal contribuente, in quanto si tratta di veri e propri atti impositivi e non di riscossione.
Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto in toto le doglianze di un'azienda che chiedeva di poter aderire al provvedimento de quo, in quanto destinatario di una cartella di pagamento emessa per sanzioni e interessi dovuti dalla società contribuente per il ritardo nel pagamento dei tributi e scaturita in base ai dati forniti dalla stessa società contribuente.
Nelle more del giudizio instaurato dalla SRL per l’impugnazione delle cartelle di pagamento emesse, era entrata in vigore la rottamazione ter, la cui applicabilità alla causa in corso, chiesta dalla società, veniva respinta dai Giudici Territoriali, i quali sostenevano che la controversia non poteva essere oggetto di condono in quanto si trattava di un atto della riscossione e non di atto impositivo.
Con la sentenza de qua, gli Ermellini, hanno ribadito che l'impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l'Amministrazione Finanziaria liquida, in sede di controllo automatizzato, ex art. 36 bis del DPR n. 600/1973, le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell'art. 6 del DL n. 119/2018, come convertito con modificazioni, dalla Legge 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo ed unico atto col quale la pretesa del fisco è comunicata al contribuente, essendo, come tale, impugnabile, ai sensi dell'art. 19 del D.lgs n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva.
In nuce, per la S.C., il principio affermato che dà continuità all'orientamento prevalente, è coerente con il principio di emendabilità, da parte del contribuente, in sede di contenzioso, della dichiarazione dei redditi, quale dichiarazione di scienza,  e quindi, negare la condonabilità delle liti che trovano occasione nell'impugnazione per ragioni di merito di una cartella formata ai sensi dell'art. 36 bis del DPR n. 600/1973, si porrebbe in modo antitetico alle finalità della norma sopra evidenziate, ponendo in condizione deteriore quei contribuenti che abbiano reso comunque possibile l'individuazione della pretesa tributaria nell'ambito di un controllo di natura cartolare.

POSSIBILE LA COLLOCAZIONE IN CASSA INTEGRAZIONE DEL DIPENDENTE IN MALATTIA, SE L’INTEGRAZIONE SALARIALE VIENE RICHIESTA PER SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16382 DEL 10 GIUGNO 2021
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16382 del 10 giugno 2021, ha confermato la possibilità di collocare in cassa integrazione anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia sospeso per evento di malattia ex art. 2110 c.c., purché si tratti di cassa integrazione per sospensione dell’attività produttiva.
Nel caso de quo, una lavoratrice dipendente adiva il Tribunale per chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive dovute per il periodo in cui la stessa era stata posta dal datore di lavoro in CIG, a suo dire, illegittimamente, in quanto in quel momento il rapporto di lavoro era sospeso ex art. 2110 c.c. per malattia.
Nei primi gradi di giudizio la domanda veniva rigettata, giacché i Giudici di merito affermavano l’applicabilità della sostituzione dell'indennità giornaliera di malattia con l’indennità economica spettante per la cassa integrazione, qualora, come nel caso in esame, il ricorso all’ammortizzatore sociale fosse motivato dalla sospensione dell'attività aziendale, per identità di ratio rispetto alla fattispecie espressamente prevista dal legislatore all’ art. 3 della Legge n. 464/1972, ma riferita alla CIGS.
La lavoratrice ricorreva quindi in Cassazione.
I Giudici di legittimità, confermando la sentenza di secondo grado e rigettando quindi il ricorso della dipendente, hanno affermato che correttamente la Corte d’Appello ha applicato il principio di diritto secondo il quale il riferimento contenuto nell’art. 3 di sostituzione dell’indennità di malattia con quella derivante da cassa integrazione non debba essere inteso in senso restrittivo e quindi riferibile alla sola cassa integrazione straordinaria, ma anche alle ipotesi di cassa integrazione ordinaria, quando l’intervento di integrazione salariale si riferisca, non ad una riduzione dell’orario di lavoro, bensì alla totale sospensione dell’attività produttiva, stante la perfetta identità di ratio che caratterizzerebbe le due fattispecie, già rilevata dalla Corte distrettuale. Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato la necessità di applicare il principio di prevalenza della lex specialis, rappresentata nel caso in oggetto dalla normativa in materia di integrazioni salariali (interpretata nel senso sopra indicato), rispetto alla lex contractus, rappresentata dall’art. 2110 c.c. e fonti di derivazione.
Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giusi Acampora, Pietro Di Nono, Fabio Triunfo e Michela Sequino.

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Modificato: 5 Luglio 2021