10 Luglio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

CONTRATTO A TERMINE NULLO SE LA LAVORATRICE OMETTE DI ESSERE INCINTA

CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 16785 DEL 13 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16785 del 13 giugno 2023, ha affermato che la PA può legittimamente annullare, in autotutela, la nomina ed il contratto di lavoro a tempo determinato siglato con una lavoratrice che, solo all’esito della firma, ha comunicato di essere in gravidanza e, in quanto tale, impossibilitata allo svolgimento delle mansioni per l’intera durata del rapporto.

La vicenda affrontata ha riguardato una lavoratrice che, dopo aver firmato un contratto a temine per la sostituzione di un medico ed ancor prima di prendere servizio, aveva comunicato alla ASL di essere incinta.
In conseguenza di ciò, l’Ente datore aveva disposto l’annullamento del contratto in ragione della inidoneità della lavoratrice alle mansioni. A seguito dell’impugnazione giudiziale di detto provvedimento da parte della dipendente, la Corte d’Appello rigettava la relativa domanda, ritenendo legittima la condotta della PA, peraltro, tratta in errore dal comportamento della ricorrente.

La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, ha rilevato, preliminarmente, che l’assunzione sulla base di dati non veritieri è causa di decadenza, con conseguente nullità del contratto, allorquando ciò comporti la carenza di un requisito che avrebbe, in ogni caso, impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A.

Secondo i Giudici di legittimità, in presenza di tali circostanze, non si integra la fattispecie del licenziamento, essendo semplicemente presente un rifiuto dell’Amministrazione di continuare a dare esecuzione al rapporto di lavoro a causa della nullità del contratto.

Invero, per la sentenza, la fattispecie si pone all’intersezione tra l’ipotesi di una sostanziale impossibilità giuridica dell’oggetto (la prestazione non poteva infatti essere resa) ed al contempo di una illiceità della causa in concreto (perché l’attuazione di quello scambio si sarebbe posta in contrasto con il divieto di legge), in ogni caso ipotesi tutte destinate ad integrare la nullità.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice, ritenendo indenne da censure la condotta della PA datrice.

NELL’AMBITO DI OPERAZIONI SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI L’INDETRAIBILITA’ DELL’IVA PUO’ ESCLUDERSI PER I SOGGETTI PASSIVI CHE NON ABBIANO CONOSCENZA DELLA PARTECIPAZIONE AD UNA FRODE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.15749 DEL 5 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione – sentenza n°15749 del 5 giugno 2023 – ha statuito, in tema di frodi carosello e contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, che è onere dell’Amministrazione provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.

Il caso di specie afferisce alla contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode attuata in occasione del commercio di tartufi, nella quale l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto coinvolta una società, per aver acquistato merce in regime ordinario, con conseguente detrazione dell’iva pagata sul prezzo, laddove la cedente era solo una società fittizia, che in realtà mascherava l’acquisto dei tartufi da “cavatori”, privi di partita iva. Ciò per evitare l’applicazione della disciplina che prevedeva che per tali acquisti spettasse all’acquirente, in regime di inversione contabile, auto-fatturare il tubero, pagando l’iva senza diritto alla detrazione.

Soccombente nel primo grado di giudizio, la società contribuente vide accolto il ricorso presso la CTR Marche in ragione della mancanza di prova della consapevolezza della frode.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che in tema di fatture soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, è l’Amministrazione che deve provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisca in una evasione.

A tal fine, hanno continuato gli Ermellini, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del regime di inversione contabile, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione si iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA.

All’uopo, hanno concluso gli Ermellini, la Commissione regionale, valutando il materiale probatorio acquisito al giudizio, aveva tratto il convincimento che “non vi fosse alcun elemento dal quale la società potesse trarre il sospetto dell’inesistenza soggettiva del proprio interlocutore commerciale”.

IN TEMA DI PROCEDIBILITA’ INNANZI AGLI ORGANI DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA IL RICORSO È POSSIBILE SOLO IN PRESENZA DI UN ATTO IMPUGNABILE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 17252 del 15/06/2023

La procedibilità di un ricorso avverso un provvedimento di silenzio-rifiuto non è percorribile se non si è avuta formale conoscenza dell’atto di diniego.

Nella fattispecie concretizzatasi con il ricorso di cui in parola, un contribuente (libero professionista) aveva presentato contemporaneamente agli Uffici Finanziari istanza di rimborso ai fini IRAP per non debenza dell’imposta e istanza di reclamo/mediazione (id. ricorso).

Successivamente alla domanda di rimborso, ma anteriormente allo spirare dei termini per la costituzione in giudizio (di cui l’istanza di reclamo/mediazione è parte integrante e prodromica), l’Ufficio aveva rigettato l’istanza di rimborso (prima del termine di novanta giorni affinché si concretizzasse l’ipotesi di silenzio-rifiuto), e la Corte di Giustizia di Primo Grado, rilevando che l’istanza di reclamo-rifiuto fosse stata presentata prima che si verificasse una delle due situazioni di rifiuto del rimborso, rigettò le lagnanze del contribuente.

Di diverso parere invece la Corte di Giustizia di Secondo Grado, che ritenne invece che “l’art. 17-bis d.lgs. n. 546 del 1992 prevedeva un regime di improcedibilità sanabile in quanto il ricorso non era procedibile sino alla scadenza del temine di novanta giorni dalla notifica”, e quindi si poteva ritenere che il ricorso potesse essere ammissibile in quanto il provvedimento di rigetto era stato assunto prima dell’inizio del giudizio.

La Corte di Cassazione risolve la questione in favore dell’Amministrazione Finanziaria, giacché, come rilevano gli Ermellini, “a nulla rileva la circostanza che alla data di costituzione del contribuente, decorso il temine di novanta giorni di cui all’art. 17-bis, comma 3, cit., era, nelle more, intervenuto (precisamente in data **) diniego espresso dell’istanza. In primo luogo, il ricorso non poteva avere ad oggetto il provvedimento del ** in quanto non ancora esistente; in secondo luogo, il provvedimento emesso dall’Amministrazione non poteva sanare l’inammissibilità del pregresso ricorso proposto in assenza di un provvedimento impugnabile”.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE SVOLGA ALTRA ATTIVITÀ LAVORATIVA DURANTE LA MALATTIA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 12994 DEL 12 MAGGIO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 12994 del 12 maggio 2023, (ri)statuisce la legittimità del licenziamento del dipendente che durante il periodo di malattia svolga un’altra attività lavorativa.

Nel caso esaminato, il datore di lavoro licenziava per giusta causa un lavoratore, previa contestazione di simulazione di infortunio sul lavoro e di aggravamento dello stato di malattia, a causa dello svolgimento di attività lavorativa incompatibile con il suo stato di salute.

Il lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento, che veniva qualificato come illegittimo in primo grado. Viceversa, la Corte Distrettuale, in secondo grado di giudizio, rigettando l’impugnazione del licenziamento, affermava che il comportamento del lavoratore era contrario ai doveri di diligenza, fedeltà correttezza e buona fede, con sottrazione illegittima alla prestazione lavorativa ed abuso del beneficio concesso dalla legge. Avverso la sentenza, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

I giudici di Piazza Cavour, confermando la sentenza di secondo grado affermano che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei generici doveri di correttezza e buona fede, sia quando l’attività esterna sia sufficiente a fare presumere l’inesistenza della malattia, sia quando la stessa possa comportare pregiudizio o ritardare la guarigione.

Resta però a carico del datore di lavoro l’onere di provare la simulazione dello stato morboso o il pregiudizio alla guarigione, in quanto l’art. 5 della Legge n. 604/1966 pone a suo carico di provare tutti gli elementi posti alla base del licenziamento e quindi tutte le circostanze oggettive e soggettive.

Orbene, nel caso in oggetto i Giudici di merito avevano correttamente applicato tali principi accertando che la condotta del lavoratore aveva ostacolato o comunque ritardato la guarigione, e rappresentava una violazione dei doveri di diligenza, correttezza e buona fede, tale da giustificare il recesso dal rapporto di lavoro.

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: DEVE ESSERE VERIFICATA IN CONCRETO LA SUSSISTENZA DI UNA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8737/2023 DEL 28 MARZO 2023

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8737 del 28 marzo 2023, ha ribadito che nel caso di licenziamento disciplinare deve essere valutata in concreto la sussistenza di una giusta causa di licenziamento.

Nel caso in commento un dirigente impugnava il licenziamento in tronco irrogatogli denunciandone la natura ritorsiva a seguito della fine della relazione sentimentale che aveva avuto con la presidente della società. In subordine, sosteneva l’illegittimità del recesso per insussistenza dei fatti contestati e comunque per sproporzione della sanzione espulsiva. Il Tribunale in un primo momento dichiarava inammissibile il ricorso, ma in seguito, in fase di opposizione, sulla base della prova testimoniale, riteneva sussistenti gli episodi di insubordinazione contestati e, pertanto, escludeva la nullità ritorsiva del licenziamento, sostenendo che la conflittualità derivante dalla relazione sentimentale non fosse il motivo unico determinante del licenziamento, sebbene avesse creato una situazione insostenibile sul luogo di lavoro. Tuttavia, il Giudice di prime cure stabiliva l’illegittimità del licenziamento in termini di proporzionalità, considerando anche le modalità di svolgimento precedenti dell’impiego.

La Corte d’Appello, adita in sede di reclamo, accoglieva l’impugnazione incidentale proposta dalla Società datrice nei confronti del lavoratore e dichiarava la legittimità del licenziamento irrogato allo stesso. Il lavoratore ricorreva per la cassazione della sentenza di Appello.

La Suprema Corte riteneva inammissibile l’argomento secondo cui il licenziamento era imputabile alla relazione sentimentale tra il lavoratore e la presidente dell’azienda, in quanto non rilevante ai fini del caso e già respinto dal Tribunale. Parte ricorrente contestava anche la sproporzione della sanzione espulsiva, atteso che la proporzionalità deve essere valutata avendo riguardo all’entità dell’inadempimento e della colpa, nonché della grave incidenza di essi sull’elemento della fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre sul lavoratore ai fini della prosecuzione del rapporto. La Corte ribadiva (cfr. Cass., n. 12789 del 2022) che l’art. 2119. c.c. configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato. I fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario e spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla sua particolare natura e tipologia (v. ad es. Cass. n. 2013 del 2012). Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva incentrato la sussistenza della giusta causa nella violazione di un ordine di servizio allorché il lavoratore, senza richiedere alcuna autorizzazione, aveva abbandonato in via anticipata il posto di lavoro. Tale statuizione non aveva dunque correttamente applicato i principi sopra richiamati, che richiedono un più ampio vaglio di contesto oggettivo e soggettivo, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di recesso. La Corte, pertanto, dichiarando inammissibile il primo motivo di ricorso ed accogliendo il secondo, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino10

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Modificato: 1 Agosto 2023