11 Luglio 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

IL RAPPRESENTANTE DI UNA SRL E’ RESPONSABILE DELLE SANZIONI SE LA SOCIETA’ E’ UNA CARTIERA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 13004 del 26/04/2022

In tema di responsabilità tributaria, la Corte di Cassazione ha ribadito che il rappresentante fittizio di una società risponde solidalmente delle sanzioni comminate alla società.

Il caso in esame riguardava la notifica di alcuni atti di accertamento ai fini IRES, IRAP ed IVA al legale rappresentante di una società, in quanto era stato appurato che tale società fosse da ritenersi fittizia, in quanto priva di qualsiasi consistenza, di beni strumentali od altro, ed inoltre con crediti e costi fittizi.

In tale fattispecie, seppure la legge 326/2003 riconosca la responsabilità esclusiva della società per i debiti tributari, i Giudici hanno confermato la decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva disapplicato tale previsione, dal momento che essa opera nei casi in cui il legale rappresentante abbia agito nell'interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica.

Nel caso in specie invece, essendo acclarato e pacifico che la società costituita agiva esclusivamente da schermo alle operazioni fittizie mese in atto dalla società stessa, gli Ermellini hanno valutato che non possa trovare applicazione la norma eccezionale prevista dall’art.7 del D.L. 269/2003, convertito appunto nella legge 369/2003, che per completezza di esposizione recita: “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

Infatti, “Qualora, invece, risulti che il rappresentante o l'amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l'ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l'applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell'illecito (Cass. civ., 19 maggio 2019, n. 12334; Cass. civ., 10 novembre 2020, n. 25135)”.

Concludono quindi per la conferma della sentenza della CTR della Lombardia circa il gravame iscritto direttamente al legale rappresentante della società fittizia

 

L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE DERIVANTE DA ACCERTAMENTI INDUTTIVI DEL REDDITO E DEL VOLUME D'AFFARI NON PRECLUDE LA POSSIBILITA' DEL RIMBORSO DELL'IVA A CREDITO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16104 DEL 19 MAGGIO 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°16104 del 19 maggio 2022 – ha confermato che l'adesione alla definizione dell'accertamento in relazione a determinati debiti tributari non osta all'accoglimento delle domande di rimborso fondate sui crediti tributari sorti nel medesimo periodo.

Nel caso de quo, l'Agenzia delle Entrate aveva opposto silenzio rifiuto alle istanze di rimborso Iva presentate da un contribuente. In particolare, per le medesime annualità oggetto di richiesta di rimborso, il contribuente aveva già formulato e formalizzato istanza di adesione rispetto ad alcuni avvisi di accertamento, con metodo induttivo, per redditi e Iva.

La Commissione Tributaria dell'Umbria aveva fatto leva sull'indirizzo giurisprudenziale in base al quale l'accertamento definito con adesione preclude ogni forma d'impugnazione, comprese le istanze di rimborso.

Non dello stesso avviso il contribuente che ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza adducendo che il rimborso richiesto, invero, aveva ad oggetto l'iva a credito scaturente da fatture di acquisto per le ristrutturazioni degli immobili locati di sua proprietà e, pertanto, completamente slegata dalla natura dell'accertamento, con metodo induttivo, concluso con adesione.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando l'errore occorso in sede di merito, laddove le istanze di rimborso alle quali si era fatto riferimento risultano, esclusivamente, quelle concernenti le somme versate in esecuzione dell'accertamento con adesione; in tal caso coerentemente si sostiene che ammettere la rimborsabilità di somme versate per il perfezionamento dell'accertamento con adesione elide l'irretrattabilità dell'accordo.

Nel caso in specie, hanno sottolineato gli Ermellini, è pacifico che il rimborso richiesto dal contribuente aveva ad oggetto l'iva a credito scaturente da fatture di acquisto; ex adverso, l'accertamento con adesione si riferiva all'iva a debito derivante da accertamenti induttivi del reddito e del volume di affari realizzati. Pertanto, l'irretrattabilità dell'accertamento dell'iva a debito non implica quella dell'iva a credito.

L'accertamento con adesione, hanno continuato gli Ermellini,  pur essendo il risultato di un accordo tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, è una forma di esercizio del potere impositivo, non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l'assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale è soggetto alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel D.Lgs. n° 218/1997, avente carattere cogente siccome afferente all'obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile.

Da ultimo, hanno concluso gli Ermellini accogliendo il ricorso con rinvio alla CTR dell'Umbria, sul piano sistematico, la Corte di cassazione, a proposito del condono, ha già stabilito che l'adesione alla definizione automatica in relazione a determinati debiti tributari non osta all'accoglimento delle domande di rimborso fondate sui crediti tributari sorti nel medesimo periodo e per tributi oggetto di condono.

 

È ONERE DEL DATORE DI LAVORO PROVARE CHE LE RAGIONI DEL RECESSO DETERMINANO LA SOPPRESSIONE DELLA POSIZIONE AZIENDALE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17173 DEL 26 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n.17173 del 26 maggio 2022, ha statuito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sarà unico onere del datore di lavoro provare che le ragioni giustificatrici del recesso determinino la soppressione della posizione lavorativa, indipendentemente dal fatto che il recesso sia giustificato da una maggiore redditività per l’impresa.

Nel caso in oggetto, un lavoratore adiva il Tribunale per impugnare il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo a causa dell’esubero delle maestranze del reparto presso cui era adibito dovuto ad una flessione di mercato, che aveva portato alla perdita di clienti e quindi di fatturato.

Se il Tribunale accoglieva il ricorso, i Giudici di secondo grado, riformando la pronuncia dei Giudici di prime cure, dichiaravano legittimo il licenziamento, giacché era stata accertata l’esistenza di una crisi aziendale, del calo del fatturato e l’effettiva riduzione di uno specifico reparto, nonché il rispetto dei principi di buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori da licenziare.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della Legge n. 604/1966 e della Legge Fornero, in quanto non era stata tenuta in considerazione la circostanza che il licenziamento fosse giustificato unicamente dall’intento di migliorare la redditività di impresa, fine che non può essere perseguito solo attraverso la riduzione del costo del lavoro.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso del lavoratore, afferma che ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo non è un presupposto che debba essere provato necessariamente dal datore di lavoro. Appare sufficiente, infatti, che le ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro siano tali da determinare un effettivo cambiamento dell’assetto organizzativo, attraverso la soppressione di una determinata posizione lavorativa.

 

LICENZIAMENTO LEGITTIMO PER LA DIPENDENTE DI BANCA CHE COMMETTA OPERAZIONI IRREGOLARI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 17597/2022 DEL 31 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17597 del 31 maggio 2022, ha stabilito la legittimità del licenziamento per giusta causa deciso dalla banca nei confronti della dipendente sorpresa ad effettuare una serie di operazioni irregolari per importi di rilevante ammontare.

Nel caso in trattazione una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole dalla Banca datrice di lavoro dopo averle preventivamente contestato di aver effettuato una serie di operazioni irregolari per importi di rilevante ammontare, consistenti in prelievi in contanti ed emissioni di assegni circolari in assenza delle contabili e della necessaria modulistica ovvero sulla base di contabili prive della sottoscrizione dei clienti. I Giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, ritenevano legittimo il licenziamento rilevando, in particolare, che i fatti addebitati erano stati specificamente contestati alla lavoratrice fornendole elementi necessari per predisporre la sua difesa e, soprattutto, che dette condotte erano state provate. I Giudici, infatti, evidenziavano che nelle operazioni prese in esame compariva il nome utente riferibile alla lavoratrice e ciò risultava anche dalla relazione dell'audit depositata in giudizio dall'istituto di credito.

Avverso tale sentenza la lavoratrice ricorreva in Cassazione lamentando la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all'art. 360 c.p.c. comma 1, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e la violazione dell'art. 2106 e della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4. Per i Giudici Supremi tutti e tre i motivi erano infondati e non potevano essere accolti. In merito alla verifica della specificità della contestazione mossa dall'azienda, la Corte, condividendo quanto osservato in Appello, sottolineava che dalla nota di contestazione erano chiaramente evincibili i fatti addebitati alla lavoratrice nei loro precisi contorni. Ciò che risultava determinante era, però, la valutazione della proporzionalità della sanzione adottata dalla banca: sul punto la lavoratrice riteneva il licenziamento eccessivo e lamentava una disparità di trattamento rispetto a quello riservato ad altri dipendenti. Inoltre, evidenziava che il regolamento disciplinare in uso in azienda sanzionava con il licenziamento condotte diverse da quelle a lei contestate. I magistrati ribattevano che il licenziamento senza preavviso è plausibile laddove si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto e che “la nozione di giusta causa è articolata e mutevole nel tempo, ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali e astratte, un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa”. Aggiungevano, inoltre, che, quanto previsto dalla contrattazione collettiva costituisce uno dei parametri utili a riempire di contenuto la clausola generale di recesso per giusta causa e che la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante in quanto spetta al giudice valutare la gravità e la proporzionalità della condotta. Risultava, pertanto, corretta la posizione assunta dall'azienda poiché all'esito dell'esame delle condotte tenute dalla lavoratrice ne era emersa l'estrema gravità, soprattutto tenendo conto del dato oggettivo dell'entità delle somme oggetto degli illeciti prelievi, del contesto in cui tali condotte si erano verificate e, infine, dell'accertata riferibilità alla lavoratrice.

In conclusione, secondo i giudici di Cassazione, non poteva mettersi in discussione “la sussumibilità della condotta della lavoratrice nella nozione di giusta causa, sotto il profilo della idoneità a ledere il vincolo fiduciario che il datore di lavoro deve poter riporre nel suo dipendente, nella correttezza della sua prestazione, tenendo conto dell'attività svolta, delle mansioni e delle responsabilità in concreto affidate alla lavoratrice, e dei possibili pregiudizi per la clientela e per la banca stessa derivanti da condotte non conformi alle regole impartite”.

 

LA SPECIALE TENUITÀ DEL FATTO PUÒ SCATTARE ANCHE IN CASO DI UN’EVASIONE IVA MOLTO RILEVANTE

CORTE DI CASSAZIONE – III SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 21258 DEL 1°GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.21258 del 1° giugno 2022, ha statuito che la speciale tenuità del fatto può scattare anche in caso di un'evasione IVA molto rilevante, persino di un milione di euro, in quanto l'esimente opera se il debito con l'Erario supera la soglia di punibilità di non oltre il 10%.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto le doglianze di un manager, accusato di aver evaso l'IVA per conto della sua azienda per un importo pari a oltre un milione di euro, in quanto meritevole di accoglimento per denegata applicazione dell'esimente della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis C.P.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis trova applicazione, con riguardo al delitto in contestazione, anche a fronte di un superamento della soglia di punibilità pari al 10% del tributo non versato, se tale superamento della soglia penale sia modesto.

In nuce, la S.C. ha, inoltre, ricordato che in tema di reato di omessa versamento dell'Iva, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'Iva per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 11 Luglio 2022