17 Luglio 2023

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

NULLA OSTA PER IL TRASFERIMENTO DEL SINDACALISTA ANCHE IN CASO DI INCOMPATIBILITA' AMBIENTALE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 15548 DEL 1° GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 15548 del 1° giugno 2023, ha affermato che, nel pubblico impiego, il trasferimento del dirigente sindacale disposto senza il previo nulla osta dell’organizzazione di appartenenza risulta illegittimo anche se sono presenti situazioni di incompatibilità ambientale atte a sorreggere il provvedimento.

La vicenda oggetto di esame ha riguardato l’impugnazione da parte di un assistente scolastico, membro della RSU, del provvedimento inerente al suo trasferimento d'ufficio. La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, ritenendo legittimo il trasferimento del ricorrente a fronte di una accertata incompatibilità ambientale.

La Cassazione, nel ribaltare la pronuncia di merito, ha rilevato preliminarmente che, anche nel comparto scuola, il trasferimento in un'unità operativa ubicata in sede diversa da quella di assegnazione dei dirigenti sindacali può essere predisposto solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni sindacali di appartenenza e della RSU della quale il dirigente sia componente.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, nelle pubbliche amministrazioni le libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dallo Statuto dei Lavoratori che, all'art. 22, sottopone il trasferimento dei dirigenti sindacali al previo nulla osta.

Circostanza questa che, per la sentenza, non può essere superata nemmeno in presenza di un’accertata incompatibilità ambientale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal lavoratore e dichiarato inefficace il trasferimento disposto nei suoi confronti.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DOVUTO A COMPORTAMENTO VIOLENTO DEL DIPENDENTE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18518 DEL 28 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, sentenza n. 18518 del 28 giugno 2023, statuisce la legittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore per comportamento violento.

Nel caso de quo, il lavoratore ricorreva in giudizio per impugnare il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro in seguito all’accertamento di comportamenti violenti del lavoratore in servizio, apparsi su una nota piattaforma.

Nello specifico, in seguito all’attivazione di procedimento disciplinare, il datore di lavoro aveva deciso di comminare la massima sanzione al dipendente, che svolgeva mansioni di conducente di autobus ed era stato ripreso mentre tentava di aggredire un automobilista dopo un diverbio.

Mentre il Tribunale accoglieva il ricorso, la Corte d’Appello, ribaltando la sentenza di primo grado, riteneva proporzionata la sanzione applicata, tenuto conto che il comportamento violento aveva leso il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro e generato dubbi sul corretto svolgimento delle mansioni da parte del lavoratore. Avverso la sentenza, il dipendente proponeva ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte, confermando il decisum dei Giudici di merito, afferma la correttezza della ricostruzione effettuata dalla Corte Distrettuale, non essendo stata in alcun modo rilevata la legittima difesa, infatti, il comportamento tenuto dal dipendente era da ritenersi contrario ai doveri di correttezza e di comportamento, da tenere anche nei casi di emergenza, ed aveva posto in dubbio il corretto svolgimento delle mansioni del dipendente, incaricato di pubblico servizio.

COSTITUISCE DISCRIMINAZIONE INDIRETTA DI GENERE L’ESCLUSIONE DALLA PROCEDURA DI GARA A CAUSA DELL’ALTEZZA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 18668/2023 DEL 3 LUGLIO 2023

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18668, depositata il 3 luglio 2023, ha stabilito che l’esclusione dalla procedura di selezione per difetto del requisito minimo di altezza, fissato a 160 centimetri, sia per gli uomini che le donne candidate, costituisce una discriminazione indiretta di genere.

Nel caso in trattazione una candidata esclusa dalla selezione per l’assunzione di personale con qualifica di capo treno per difetto del requisito minimo di altezza, richiesto a tutti i candidati a prescindere dal sesso, proponeva domanda volta a far accertare che detta esclusione costituisse discriminazione indiretta di genere. La corte di Appello, condividendo l'assunto del giudice di primo grado, secondo cui il requisito minimo di statura non era funzionale rispetto alle mansioni cui sarebbe stata addetta la ricorrente qualora fosse assunta, accoglieva la domanda. La Corte territoriale, inoltre, dichiarava il diritto della stessa all'assunzione a tempo indeterminato, ordinando alla società di assumerla in servizio e condannando la società al pagamento delle retribuzioni previste dal CCNL di categoria fino alla data della pronuncia, oltre accessori e spese.

La società soccombente inutilmente ricorreva in Cassazione. La Corte Suprema, infatti, evidenziava che la pronuncia impugnata era conforme al pensiero consolidato della Corte secondo cui, in tema di requisiti per l'assunzione, per uomini e donne, in contrasto con il principio di uguaglianza perché presuppone erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne e comporta una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime, il giudice ordinario ne apprezza, incidentalmente, la legittimità ai fini della disapplicazione, valutando in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni. In sintesi, i Giudici sottolineavano che il principio di uguaglianza impone la verifica che non sussista una violazione del criterio di proporzionalità del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore.

L’ANNULLAMENTO DI UN DEBITO TRIBUTARIO IN BILANCIO SENZA GIUDICATO INTEGRA IL REATO DI FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI

CORTE DI CASSAZIONE – V SEZ. PENALE – SENTENZA N.27970 DEL 27 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione – V Sez. penale – sentenza n°27970 del 27 giugno 2023 – ha statuito, in tema di false comunicazioni sociali, che l’annullamento di un debito tributario in bilancio, con contestuale iscrizione di una sopravvenienza attiva, nonostante la vittoria in primo grado del giudizio tributario e lo sgravio da parte dell’Ufficio, integra il reato ex art. 2621 c.p..

Nel caso in specie, la Corte di appello di Napoli aveva confermato la condanna di un amministratore in ordine al reato di cui all'articolo 2621 c.p., per aver esposto informazioni non corrispondenti al vero nei bilanci relativi a 2 annualità. In particolare, al fine di conseguire un ingiusto profitto, l’amministratore, esponeva nei bilanci, sotto la voce sopravvenienze attive, un importo non rispondente al vero, determinando una situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società alterata, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore poiché veniva alterato il risultato di esercizio mediante l'indicazione di un utile di esercizio laddove invece vi erano perdite di esercizio.

La Corte di appello aveva confermato la pronuncia di condanna.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’amministratore esponendo che, invero, il debito tributario era stato annullato con sgravio in conseguenza di una sentenza di primo grado della CTP e pertanto, non esistendo, erano corrette le imputazioni a bilancio.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che la funzione del bilancio è essenzialmente quella di informazione e comunicazione: "Attraverso il bilancio, si forniscono, infatti, notizie sulla consistenza e sulle prospettive di un'azienda e ciò, evidentemente, non solo a garanzia dei diretti interessati, vale a dire i soci e i creditori, ma anche a tutela dei futuri ed ipotetici soggetti che potrebbero entrare in contatto con la predetta azienda".

L’art. 2423 c.c., hanno continuato gli Ermellini, impone al redattore del bilancio la elaborazione di un documento che rappresenti "in modo veritiero e corretto" tanto la situazione patrimoniale e quella finanziaria della società, quanto il risultato economico dell'esercizio. La nota integrativa, inoltre, rappresenta la chiave di lettura del bilancio e la esplicitazione dei criteri (e della eventuale deroga a tali criteri) di redazione dello stesso.

 Nella specie, hanno concluso gli Ermellini, la falsità è consistita nella indicazione nel bilancio di una "sopravvenienza attiva" non veritiera per Euro 1.224.489,00.  L'appostazione è stata sostenuta da una nota integrativa che, esponendo il falso, ha fatto derivare la "sopravvenienza attiva" dalla pronuncia di una sentenza tributaria favorevole.

In tal modo si è generato fittiziamente un utile che ha incrementato il patrimonio netto dell'esercizio e che è stato conservato anche nel patrimonio netto dei bilanci successivi, così continuando a fornire una rappresentazione non conforme al vero addirittura quando era stata pronunciata, in appello, una sentenza sfavorevole al contribuente.

I LIMITI AI CONTROLLI DIFENSIVI IN SENSO STRETTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18168 DEL 26 GIUGNO 2023

La Corte di Cassazione, sentenza n° 18168 del 26 giugno 2023, nel confermare il principio di diritto già espresso nei suoi precedenti (Cass. n. 25732/2021 e Cass. 34092/2021) ha ribadito che i controlli difensivi in senso stretto del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti sono consentiti in presenza di un fondato sospetto circa la commissione dell’illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.

Nel caso di specie, una banca aveva licenziato un dirigente a seguito di un controllo indiscriminato sulla sua posta elettronica aziendale. La Corte d’Appello di Milano aveva dichiarato il monitoraggio illegittimo, in quanto la banca non aveva garantito “la proporzionalità e le garanzie procedurali contro l’arbitrarietà del datore di lavoro”.

La Corte di Cassazione, nel confermare il decisum, ha richiamato innanzitutto la distinzione tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i lavoratori e che devono essere realizzati nel rispetto dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori (accordo sindacale o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro) e i controlli anche tecnologici diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti (c.d. “controlli difensivi in senso stretto” ) che sono “all'esterno del perimetro applicativo dell'art. 4” dello Statuto dei Lavoratori e non richiedono il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.

Per quanto riguarda i controlli difensivi in senso stretto i giudici di legittimità ribadiscono che gli stessi sono consentiti solo “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto”.

Il controllo deve, quindi, essere “mirato” sul singolo lavoratore ed “attuato ex post”, ossia a seguito del comportamento illecito del lavoratore, in quanto “solo a partire da quel momento il datore può provvedere alla raccolta di informazioni utilizzabili […] non essendo possibile l'esame e l'analisi di informazioni precedentemente assunte in violazione delle prescrizioni di cui all'art.4 St. lav.”.

Inoltre, nel caso di specie, il datore non aveva informato preventivamente il lavoratore della possibilità che le comunicazioni effettuate sul pc aziendale avrebbero potuto essere monitorate né del carattere e della portata del monitoraggio o del livello di invasività nella sua corrispondenza, violando così la disciplina generale della protezione dei dati personali, cui di certo non si sottrae il rapporto del lavoratore con il suo datore; tantomeno aveva acquisito il consenso del lavoratore al controllo della posta elettronica aziendale come prescritto dal regolamento aziendale della cui esistenza, peraltro, il lavoratore non era nemmeno a conoscenza.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’appello di Milano accertando l’illegittimità del licenziamento del dirigente bancario.

Ad maiora

Il Presidente
Fabio Triunfo

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Gennaro Salzano, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 25 Settembre 2023