18 Luglio 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. GIUGNO 2022

Il 15 Luglio scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Giugno 2022 (id: licenziamenti dal 15 giugno al 14 luglio 2022) determinandoli in 4,775424 e 111,9.

IL DATO FORMALE DELL'ACCATASTAMENTO IN CATEGORIA A/2 (CIVILE ABITAZIONE) DELL'IMMOBILE ACQUISTATO E ADIBITO ESCLUSIVAMENTE A STUDIO PROFESSIONALE NON PRECLUDE LA DETRAIBILITA' DELL'IVA SULL'ACQUISTO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.13259 DEL 28 APRILE 2022.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°13259 del 28 aprile 2022 – ha statuito la legittima detraibilità dell'Iva sul fabbricato acquistato dal contribuente con destinazione abitativa se utilizzato come ufficio, essendo indubitabile la natura strumentale dell'immobile, stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell'attività professionale del contribuente, prescindendo perciò dalla categoria catastale attribuitagli (A/2 – civile abitazione).

Nel caso de quo, l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione l'IVA pagata per l'acquisto di una quota di una un'unità immobiliare di civile abitazione che l'amministrazione finanziaria sosteneva essere stata indebitamente detratta in violazione del DPR n°633/72, art. 19 bis, comma 1. La Commissione tributaria regionale della Toscana, sul punto, aveva rigettato l'appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo che l'immobile acquistato in comproprietà dal contribuente, ancorché di fatto utilizzato come ufficio (studio legale) e, quindi, in categoria A/10, era però iscritto in catasto con categoria A/2 (civile abitazione) sicché l'IVA era indetraibile per espressa previsione della citata disposizione.

Non dello stesso avviso il contribuente che ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sostenendo che il dato formale dell'accatastamento in categoria A/2, non preclude la detraibilità dell'IVA sull'acquisto trattandosi di bene strumentale alla predetta attività.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando il contenuto dell'art. 19, DPR n°633/72 che consente all'acquirente di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisti effettuati nell'esercizio dell'impresa ed il bene acquistato sia inerente all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività.

Le disposizioni in esame, hanno continuato gli Ermellini,  inerenti alla materia della detrazione dell'Iva e dei limiti della stessa, unitariamente considerate, comportano che, ove l'impresa non svolga attività di costruzione (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa può comunque portare in detrazione l'IVA relativa all'acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l'operazione in concreto sia inerente all'esercizio effettivo dell'attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro.

Va precisato, a tal proposito, che il sistema dell'IVA è volto ad esonerare l'imprenditore dall'IVA dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purché esse siano a loro volta soggette ad IVA.

Applicati detti principi al caso in esame, hanno concluso gli Ermellini, in cui è pacifico che il fabbricato acquistato dal contribuente ha destinazione abitativa ed è altresì  pacifico, in quanto non contestato, e comunque anche accertato dai Giudici di appello, che il predetto fabbricato è utilizzato come ufficio, ovvero come studio legale del contribuente, di professione avvocato, deve riconoscersi la detraibilità dell'IVA essendo indubitabile la natura strumentale dell'immobile, stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell'attività professionale del contribuente, prescindendo dalla categoria catastale attribuitagli (A/2 – civile abitazione).
 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE NEL CUI GARAGE VIENE RINVENUTO UN MEZZO SPARITO DALL’ISOLA ECOLOGICA GESTITA DALL’AZIENDA DATRICE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16011/2022 DEL 18 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16011 del 18 maggio 2022, ha stabilito la legittimità del licenziamento per giusta causa comminato nei confronti di un lavoratore sorpreso a custodire in un garage, concesso in uso a lui e al padre, un escavatore sparito dall'isola ecologica gestita dall'azienda datrice.

Nel caso in trattazione un dipendente di una società nel settore dell'igiene urbana proponeva ricorso avverso il licenziamento per giusta causa intimatogli a seguito del rinvenimento, all'interno di un garage concesso in uso a lui e al padre, di un escavatore, privo della targa e coperto con un telo, sottratto dall'isola ecologica gestita dall'azienda. L’azienda addebitava, infatti, al lavoratore una condotta connessa al furto dell'escavatore sito all'interno dell'isola ecologica gestita dalla società presso la quale egli aveva prestato la propria attività proprio il giorno della sparizione del mezzo. A seguito del rinvenimento del mezzo, infatti, il lavoratore era anche stato tratto a giudizio per il reato di concorso in ricettazione. I Giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, confermavano il licenziamento sottolineando che la circostanza che nella lettera di contestazione emessa dall'azienda il fatto attribuito al dipendente fosse il reato di furto e non quello addebitatogli di ricettazione non rilevava, posto che la missiva della società faceva espresso riferimento al procedimento penale connesso al furto dell'escavatore. Secondo i Giudici, inoltre, l'accusa di ricettazione, elevata dal pubblico ministero a carico del lavoratore, si fondava su elementi indiziari di notevole rilievo, suscettibili di autonoma valutazione nel procedimento disciplinare, e tali da consentire, secondo un giudizio probabilistico, l'attribuibilità del fatto al lavoratore. 

Il lavoratore ricorreva per la cassazione della sentenza lamentando che il Glare, non avesse considerato che anche altri lavoratori prestavano la propria attività presso il sito dell'isola ecologica dove era stato sottratto il mezzo e che il garage nel quale questo era stato rinvenuto non era nella sua esclusiva disponibilità.

La corte Suprema della Cassazione ribatte però sottolineando il peso specifico attribuibile alla «presenza, nel garage in uso al lavoratore, dell'escavatore, privo di targa e coperto da un telo, oggetto di furto consumato nell'isola ecologica presso la quale egli prestava la propria attività». Indiscutibile «l'obiettiva significatività probatoria delle circostanze considerate, non incrinata», chiariscono i Giudici, «dal fatto che il locale era in uso anche ad un altro soggetto, stante Io stretto rapporto parentale di quest'ultimo con il lavoratore». Sacrosanto, quindi, il licenziamento, «a fronte di un quadro probatorio consolidatosi nel senso dell'attribuibilità al lavoratore del fatto contestato», ossia della sottrazione del mezzo dall'isola ecologica.
 

IL TRATTAMENTO ECONOMICO DEI CCNL SOTTOSCRITTI DALLE ORGANIZZAZIONI DATORIALI E SINDACALI COMPARATIVAMENTE PIÙ RAPPRESENTATIVE A LIVELLO NAZIONALE PREVALE SU QUELLO PREVISTO DAI CCNL DELLE ASSOCIAZIONI MINORITARIE DI CATEGORIA

CASSAZIONE – SENTENZA N. 17698 DEL 31 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n° 17698 del 31 maggio 2022, ha ribadito che, in presenza di una pluralità di contratti collettivi nazionali della medesima categoria, andranno applicati trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dagli accordi sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, così come disposto dall’art. 7 della Legge 31/2008. La ratio si riscontra nella capacità di questi ultimi di realizzare gli assetti degli interessi collettivi più coerenti con il criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie di categoria.

La pronuncia deriva dal ricorso sollevato da una società cooperativa avverso la sentenza del Tribunale di Genova – confermata poi in Corte di Appello – che l’aveva condannata al pagamento di differenze retributive per errata applicazione del contratto ai propri soci lavoratori (CCNL Commercio Cisal e CCNL Portieri e custodi in luogo di CCNL Multiservizi).

La Suprema Corte, nel richiamare l’art. 3, comma 1, L. 142/2201 e l’art. 6, comma 2 della medesima Legge come modificato dall’art. 1, comma 9, lett. f), L. 30/2003, ha sottolineato che, in primo luogo, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine e, secondariamente, che il regolamento cooperativo non può contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale trattamento minimo.

Ciò posto, benchè nel corso del tempo, sia stata attribuita alla contrattazione collettiva il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia costituzionale di cui all’art. 36, nulla impedisce al Legislatore di fissare in maniera inderogabile la retribuzione sufficiente.

Pertanto, con la Legge 31/2008, all’art. 7, ha disposto che “…in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative […] applicano ai propri soci lavoratori […] i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.”

Nella fattispecie, il trattamento economico minimo obbligatoriamente applicabile ai soci lavoratori è stato individuato nel CCNL Multiservizi poiché, in primo luogo, è stato stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e, in secondo luogo, perché attinente alla categoria oggetto dell’appalto.

Infatti, il CCNL Commercio Cisal veniva dichiarato inutilizzabile sia perché sottoscritto da una sola sigla sindacale, sia per una coincidenza solo parziale del settore; parimenti, il CCNL Portieri e custodi veniva dichiarato inutilizzabile sia perché relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell’appalto, sia perché, per parte datoriale, risultava stipulato da un’unica organizzazione sindacale (Confedilizia).

NELLA VALUTAZIONE DELLA GIUSTA CAUSA DI RECESSO NON È SUFFICIENTE CHE LA FATTISPECIE SIA INCLUSA NELLE IPOTESI DI RECESSO PREVISTE DAL CCNL

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18334 DEL 7 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n. 18334 del 7 giugno 2022, afferma che nella valutazione della proporzionalità del licenziamento disciplinare, occorre verificare se il comportamento oggetto di contestazione sia grave al punto da far ritenere che la prosecuzione del rapporto potrebbe determinare un pregiudizio per gli scopi aziendali, indipendentemente dalla circostanza che l’addebito mosso sia compreso o meno nelle casistiche di recesso previste dal CCNL.

Nel caso in esame, il lavoratore addetto alla verifica dei titoli di viaggio, veniva licenziato per giusta causa in seguito alla contestazione disciplinare con la quale gli veniva addebitata l’alterazione dei dati di una contravvenzione, nonché l’appropriazione della somma, seppure irrisoria, ricevuta dal passeggero a seguito della stessa. Sia il Tribunale in primo grado, che la Corte d’Appello, rigettavano il ricorso, ritenendo infondate le doglianze del ricorrente con riferimento alla tardività della contestazione ed alla lesione del diritto di difesa. Soccombente nei primi gradi di giudizio, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, confermando il decisum dei Giudici di merito, ribadisce innanzitutto che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso dal rapporto di lavoro, assumono rilevanza tutte le condotte che per la loro gravità possano scuotere il rapporto di fiducia intercorrente tra le parti ed insinuare nel datore di lavoro il dubbio sulla futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, secondo i canoni di diligenza, buona fede e correttezza.

Sul punto diventa rilevante, a parere dei Giudici di legittimità, la valutazione effettuata dal Giudice di merito con riguardo alla congruità della sanzione espulsiva, che deve tenere conto non solo del rilievo dato alle mancanze dalla contrattazione collettiva, ma anche dell'intensità dell'elemento intenzionale, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni, delle precedenti modalità di esecuzione della prestazione e dell'assenza di pregresse sanzioni. Non è quindi sufficiente la mera riconduzione dell’addebito alle fattispecie previste dalla contrattazione collettiva come cause di recesso dal rapporto di lavoro, occorre valutare in concreto se il comportamento posto in essere sia di una gravità tale da far ritenere che la prosecuzione del rapporto potrebbe determinare un pregiudizio per gli scopi aziendali.
 

CON L'ESDEBITAZIONE IL FALLITO SI LIBERA ANCHE DEI DEBITI IVA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18124 DEL 6 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.18124 del 06 giugno 2022, ha statuito che l'esdebitazione del fallito è applicabile anche ai debiti Iva, non contrastando con la normativa unionale in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno rigettato le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria in riferimento ad una causa instaurata dal socio accomandatario di una società fallita per opporsi alla cartella di pagamento con cui gli era stato chiesto il versamento di somme a titolo di IVA, e che i Giudici Territoriali avevano riconosciuto tali somme come non dovute posto che il contribuente, socio della fallita e fallito in proprio, aveva ottenuto dal Tribunale un decreto di esdebitazione, con il quale era stato liberato dal complesso dei debiti residui, compresi alcuni di natura fiscale, nei riguardi dei creditori rimasti insoddisfatti dalla liquidazione fallimentare. Anche a seguito del decreto di esdebitazione, l'Agenzia delle Entrate aveva ritenuto di essere legittimata a procedere per richiedere i versamenti dei tributi, affermandone l'esclusione dall'alveo del beneficio in questione.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che l'esdebitazione risponde alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, per consentire al debitore, svincolato dai debiti pregressi, di ripartire e riproporsi nella società, senza dover scontare "vita natural durante" una insormontabile limitazione nel reinserimento nel circuito sociale ed economico a causa di debiti rimasti insoluti.

In nuce, per la S.C., il ricorso del Fisco va rigettato, in quanto in tema di fallimento, l'esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 Legge Fallimentare è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (id: Sesta Direttiva), in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 18 Luglio 2022