5 Settembre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

NULLE LE CLAUSOLE CHE PREVEDONO UN TRATTAMENTO ECONOMICO PEGGIORATIVO PER I GIORNI DI FERIE OBBLIGATORI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 20216 DEL 23 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n° 20216 del 23 giugno 2022, ha dichiarato che i contratti collettivi non possono contenere clausole che prevedano per i giorni di ferie obbligatori una retribuzione inferiore a quella percepita durante la normale attività lavorativa.

Il caso esaminato ha riguardato il ricorso di un lavoratore dipendente di una compagnia aerea che lamentava di avere lavorato dal dicembre 2008 percependo un trattamento economico dei giorni di ferie e dei giorni di addestramento inferiore e peggiorativo rispetto alla media della retribuzione ordinaria, in ragione delle clausole contrattuali regolanti la materia che escludevano dal computo gli importi erogati a titolo di indennità di volo.

Già il Tribunale di Civitavecchia, ribadendo la solennità del diritto alle ferie retribuite, aveva accolto l’istanza del dipendente dichiarando nulle le clausole contrattuali (art. 10 CCNL Trasporto Aereo) non solo perché in contrasto con l'art. 36 Cost., che garantisce il diritto alla retribuzione minima al lavoratore sia in caso di servizio che in caso di ferie, ma anche perché incompatibili con i principi comunitari, atteso che una retribuzione sensibilmente inferiore durante le giornate di ferie potrebbe avere un effetto dissuasivo, anche solo potenziale, nella fruizione delle stesse da parte del lavoratore.

La Suprema Corte, oltre a confermare il decisum – ponendo l’accento anche sulla consistente incidenza (circa il 30%) dell’indennità integrativa rispetto al trattamento spettante al personale – ha inoltre aggiunto che, nonostante la determinazione della retribuzione sia rimessa alla contrattazione collettiva, le organizzazioni sindacali e datoriali non si muovono “nel vuoto normativo”; pertanto, in un sistema di fonti “multilevel”, come quello italiano, è necessario che le disposizioni legislative e quelle contrattuali collettive operino in sintonia e in parallelo tra loro, con l'osservanza dei principi dettati dal diritto dell'Unione e dal diritto interno.

Dunque, limitatamente al periodo minimo di ferie di quattro settimane previsto dalla normativa nazionale, l'importo dello stipendio dei giorni di ferie non può essere inferiore a quello dei giorni lavorativi.


IL MEDICO SCAVALCATO DAL COLLEGA PIÙ GIOVANE E MENO ESPERTO DEVE ESSERE RISARCITO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.20384 del 24 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n.20384 del 24 giugno u.s., ha stabilito che deve essere risarcito il medico che in ospedale viene illogicamente scavalcato da un collega più giovane e meno esperto nella corsa alla nomina di sostituto del primario. A pagare il risarcimento è l'Azienda sanitaria locale che, pur essendo consapevole della condotta incomprensibile tenuta dal primario nell'indicazione del sostituto, non era intervenuta.

Nel caso specifico, infatti, un dirigente medico di un ospedale, agiva nei confronti dell'Azienda sanitaria locale per il risarcimento dei danni patiti in relazione al comportamento lesivo posto in essere dal primario della struttura cui era addetto che, nella designazione del suo sostituto, gli aveva preferito un collega più giovane e meno esperto.

La Corte di Appello accoglieva la tesi proposta dal medico che si riteneva discriminato all'interno dell'ospedale e condannava l'Azienda sanitaria locale a versargli un adeguato ristoro economico. In sostanza, i giudici di secondo grado ritenevano accertati i danni patiti dal medico a seguito del comportamento posto in essere, in più occasioni, nei suoi confronti dal primario e ritenevano palese anche la consapevolezza dell'Azienda datrice di lavoro, colpevole quindi per il danno subito dal medico discriminato.

Secondo i Giudici di Appello, infatti, appariva evidente il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dal primario, a partire dalla scelta, come suo sostituto, di un collega più giovane ma meno esperto e qualificato professionalmente rispetto al medico che ambiva alla nomina. La preferenza del primario risultava, dunque, del tutto irrazionale. L’Azienda sanitaria, inoltre, pur essendo a conoscenza della scelta compiuta dal primario, non aveva provveduto ad effettuare alcuna verifica circa le ragioni della stessa.

Anche la Suprema Corte confermava il diritto del medico ad ottenere un risarcimento del danno morale patito: secondo i Giudici, infatti, a muovere dalla mancata scelta del medico più esperto come sostituto, ogni successivo comportamento del primario si era inscritto in un contesto di concreta emarginazione nei confronti del medico più esperto “inteso a darne l'immagine di un incapace persino nei confronti dei propri familiari”. Nel medesimo contesto si inseriva, osservavano i Giudici, il mancato intervento compositivo di tale situazione, qualificata anomala ed irragionevole, da parte dell'Azienda, a cui era addebitabile anche un'inerzia colpevole rispetto a comportamenti sicuramente lesivi delle prerogative personali e professionali del medico esperto.


È ILLEGITTIMA LA CARTELLA EMESSA PER IL RECUPERO DI UN CREDITO D'IMPOSTA NON UTILIZZATO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 20626 DEL 28 GIUGNO 2022

La Corte di Cassazione, con la ordinanza n.20626 del 28/06/2022, ha statuito che è ampiamente legittima l'emissione di cartella di pagamento a fini del recupero dell'imposta dovuta quando l'Amministrazione Finanziaria accerti che, a causa di errori materiali ovvero di calcolo, il contribuente abbia impropriamente utilizzato un credito d'imposta, ex adverso, la cartella di pagamento non può essere emessa quando, in caso di mancato utilizzo del credito d'imposta, venga accertato che questo non era stato correttamente esposto.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, si sono pronunciati a conferma della decisione assunta dalla CTR nell'ambito del giudizio instaurato da un contribuente in opposizione ad una cartella di pagamento emessa ex art. 36-bis del DPR n. 600/1973, con cui l’Agenzia delle Entrate, chiedeva il recupero dell'importo che, nella dichiarazione dei redditi, era stato indicato al rigo di cui al riporto del credito dell'anno precedente per investimenti in aree svantaggiate, in ragione della mancata indicazione, nella dichiarazione dell'anno prima, di un importo a credito per l'anno successivo. Il contribuente lamentava la violazione e/o falsa applicazione di legge, sull'avvenuto disconoscimento del credito d'imposta, e il conseguente omesso versamento dell'Iva, per i medesimi motivi che, a suo dire, avrebbero dovuto condurre all'emissione di un avviso di accertamento.

Con l’ordinanza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che in tema di controllo automatizzato, l'art. 36-bis comma 2, lettera e) del DPR n. 600/1973 legittima il disconoscimento del credito d'imposta, senza necessità di un previo avviso di recupero, purché questo non derivi da un'attività accertativa o rettificativa, né implichi valutazioni, ma abbia carattere cartolare e sia effettivo sulla base di un riscontro obiettivo dei dati formali della dichiarazione dei redditi, e l’Agenzia delle Entrate è legittimata a verificare la correttezza della suddetta indicazione, anche facendo riferimento alle dichiarazioni degli anni precedenti, senza che tale verifica comporti un accertamento sostanziale che presuppone valutazioni giuridiche o esame di atti non consentiti dalla procedura.

In nuce, per la S.C., fermo restando il potere dell'Amministrazione Finanziaria di controllare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate e di correggere eventuali errori materiali o di calcolo, l'emissione della cartella di pagamento a fini del recupero dell'imposta dovuta intanto è possibile in quanto, in seguito alla verifica compiuta in sede di controllo automatizzato, l’Ufficio Fiscale accerti che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente abbia illegittimamente utilizzato un credito d'imposta, il quale venga a tradursi in un debito di quest'ultimo idoneo a legittimare la pretesa di recupero dell'importo. L'emissione della cartella di pagamento, per contro, non è invece possibile quando, in caso di mancato utilizzo del credito d'imposta, sia accertato che questo non era stato correttamente esposto, in questo caso, l’Agenzia delle Entrate può solo procedere a rettificare l'errore materiale o di calcolo, ma non può emettere cartella di pagamento ai fini del recupero di un credito d'imposta che, in quanto non utilizzato, non si è tradotto in un debito del contribuente nei suoi confronti.


CON LA CANCELLAZIONE DELLA SOCIETÀ DAL REGISTRO DELLE IMPRESE I CREDITORI SOCIALI NON SODDISFATTI POSSONO FAR VALERE I LORO CREDITI NEI CONFRONTI DEI SOCI FINO ALLA CONCORRENZA DELLE SOMME DA QUESTI RISCOSSE IN BASE AL BILANCIO FINALE DI LIQUIDAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N.20686 DEL 28 GUGNO 2022.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°20686 del 28 giugno 2022 – ha confermato che la responsabilità dei soci, dopo la cancellazione della società dal Registro Imprese, è limitata alla quota eventualmente riscossa in base al bilancio finale di liquidazione.

Nel caso de quo, la Corte di Appello di Salerno aveva confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da un contribuente, socio di Srl estinta, nei confronti dell'Inps, diretta all'accertamento negativo del credito azionato dall'Istituto e facente capo alla società cancellata dal Registro delle Imprese, per l'omesso pagamento dell'importo derivante, ai sensi della L. n°223/91, art. 5, dall'apertura di una procedura di mobilità.  In particolare, la Corte di Appello aveva osservato che il contribuente fosse socio unico, amministratore e liquidatore della SRL e, come tale, legittimato passivo.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente eccependo violazione e falsa applicazione dell'art. 2495 c.c., comma 2 (id: Cancellazione della società).

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando che la responsabilità dei soci, ex art. 2495 c.c. è limitata alla quota (eventualmente) riscossa in base al bilancio finale di liquidazione.

La percezione della quota dell'attivo sociale, hanno continuato gli Ermellini, è elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio e, in base alla regola generale posta dall'art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio, nel senso che grava sul creditore insoddisfatto l'onere della prova circa la distribuzione dell'attivo e circa la riscossione di una quota di esso da parte del socio.

Nei confronti dei liquidatori, invece, la responsabilità ha un titolo del tutto autonomo, che deriva dalla carica rivestita ed è collegato alla mala gestio dell'amministratore.

La sentenza impugnata, hanno concluso gli Ermellini, non ha proceduto all'accertamento dei profili accennati e, dunque, in definitiva, ha applicato falsamente l'art. 2495 c.c., incorrendo nel vizio di diritto denunciato dal contribuente.

Da ultimo, risulta che l'Inps non avesse mai richiesto la responsabilità del ricorrente nella sua qualità di socio unico e pertanto, la sentenza è stata cassata e rinviata alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione.


L’ESERCIZIO ABUSIVO DI ATTIVITA’ PROFESSIONALE GENERA REDDITI DI IMPRESA. MANCANDO I PRESUPPOSTI SPECIALI DI QUALIFICAZIONE DEI REDDITI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 21960 del 12/07/2022

Nel caso in cui ad un contribuente venga accertato un reddito da esercizio abusivo di una professione regolamentata, i relativi proventi saranno da classificare come redditi d’impresa e non come redditi di lavoro autonomo, con la conseguenza che nei procedimenti accertativi verranno applicate le norme relative ai redditi d’impresa.

La fattispecie affrontata dalla Corte di Cassazione riguarda un contribuente a cui l’amministrazione finanziaria aveva accertato, mediante lo strumento dell’accertamento bancario ex artt.32 del d.P.R. n.600 del 1973 e 51 del d.P.R. n.633 del 1972, la percezione di redditi, in particolare prendendo a riferimento sia i versamenti effettuati sul proprio conto corrente, sia i prelevamenti effettuati senza idonea giustificazione, in dipendenza dello svolgimento dell’attività di odontoiatra, svolta senza averne i titoli abilitativi.

Il contribuente, soccombente in entrambi i primi due gradi di giudizio, lamentava nel ricorso in Cassazione che lo strumento accertativo utilizzato non fosse congruo, giacché per i redditi di lavoro autonomo non è applicabile, come da sentenza della Corte Costituzionale 228/2014, la presunzione di cui all’art.32 DPR 600/1973, che considera i prelevamenti da conto corrente come indici positivi di reddito se non diversamente documentato dal contribuente, e quindi chiedeva la nullità dell’accertamento per erronea applicazione della norma accertativa.

La Corte di Cassazione rileva invece che “non è configurabile un reddito da libero professionista in assenza di titolo abilitativo idoneo all'esercizio della professione intellettuale o liberale regolamentata. Tale professione è quella il cui esercizio è regolato dalla legislazione nazionale, e la legge individua quale condizione per il suo esercizio nell'interesse dell'utenza sia il titolo di studio indispensabile sia i successivi requisiti di addestramento alla pratica della professione.” E che invece il reddito accertato in capo al contribuente fosse da classificare come “illecito civile, penale o amministrativo" di cui all'art.14 della L. 24 dicembre 1993 n.357, e con riferimento ai proventi non sottoposti a sequestro trova applicazione la presunzione di ricavi di cui all'art. 32 cit., non solo riguardo ai "versamenti" ma anche ai "prelevamenti" non giustificati, il chè fa del PVC ricevuto, e dei conseguenti accertamenti ai fini delle II.DD. e dell’IVA, atti perfettamente congrui alla norma.

Statuisce quindi la Corte il seguente principio di diritto: “In tema di presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 il contribuente che abbia esercitato attività di odontoiatra, professionalmente regolamentata dalla legge 24 luglio 1985, n. 409, abusivamente e senza possedere i titoli di cui all'art.1 della citata legge, ha svolto attività illecita ai fini dell'art.14 della I. 24 dicembre 1993 n.357 percependo redditi rientranti nelle categorie reddituali di cui all'art.6, comma 1, del d.P.R. n.917 del 1986, cui si applica la presunzione di cui all'art.32 cit. sia quanto ai versamenti sia quanto ai prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari destinati all'esercizio di detta attività di impresa, ai fini della determinazione della base imponibile.”

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 5 Settembre 2022