24 Settembre 2018
Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….
Oggi parliamo di………….
LE DICHIARAZIONI RESE DAI LAVORATORI NEL CORSO DELL’ACCESSO ISPETTIVO PREVALGONO SU QUELLE RESE IN GIUDIZIO.
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 21966 DEL 10 SETTEMBRE 2018.
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 21966 del 10 settembre 2018, ha statuito che le dichiarazioni rese dai lavoratori nel corso di un accesso ispettivo prevalgono su quelle rilasciate dagli stessi dinanzi al Giudice.
Nel caso di specie, alcuni lavoratori di nazionalità non italiana venivano interrogati dagli Ispettori del lavoro nel corso di un accesso ispettivo. Sulla scorta delle predette dichiarazioni l’INPS richiedeva il pagamento della contribuzione a partire dalla data di assunzione dichiarata dai prestatori.
L’azienda ricorreva alla Magistratura sostenendo che i dipendenti avessero fornito delle informazioni errate agli Ispettori poiché, non essendo italiani, non avevano una piena padronanza della lingua e non avevano ben compreso le domande che gli erano state sottoposte.
Soccombente in entrambi i gradi di merito, l’Azienda datrice di lavoro ricorreva in Cassazione.
Orbene, gli Ermellini, attesa l’ampia, esaustiva e non contradditoria pronuncia dei Giudici di prime cure, hanno dichiarato il ricorso inammissibile. Infatti, come evidenziato nell’ordinanza in commento, i Giudici di merito avevano correttamente evidenziato che i lavoratori, interrogati nel corso del procedimento giudiziario, apparivano non del tutto ignoranti della lingua italiana ed allo stesso tempo non era credibile la circostanza secondo la quale, rispetto le dichiarazioni rese agli Ispettori, tutti i lavoratori (nessuno escluso) avessero equivocato la data di inizio della prestazione lavorativa con il correlato insorgere dell’obbligazione contributiva.
Pertanto, atteso che il ricorso datoriale si palesava in una richiesta di riesame di fatti già correttamente ed esaustivamente vagliati dai Giudici di merito, la Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile.
L’ERRATA INDICAZIONE IN DICHIARAZIONE DEI REDDITI, DA PARTE DEL SOCIO ACCOMANDATARIO, DI SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ CON CARATTERE DI ABITUALITÀ E PREVALENZA NON È SUFFICIENTE A FAR SORGERE L’OBBLIGO DI ISCRIZIONE ALL’INPS.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 21511 DEL 31 AGOSTO 2018
La Corte di Cassazione, sentenza n° 21511 del 31 agosto 2018, ha statuito che l’errata indicazione in dichiarazione dei redditi della sas, da parte del socio accomandatario, di svolgere attività con carattere di abitualità e prevalenza, non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali.
Nel caso in specie, erroneamente all’interno della dichiarazione dei redditi della società si era per alcuni anni barrato la casella per attestare lo svolgimento di attività lavorativa con carattere di abitualità e prevalenza all’interno della società, da parte del socio accomandatario. Da qui, l’Inps aveva proceduto d’ufficio all’iscrizione dello stesso nell’apposita gestione previdenziale provvedendo a chiedere il pagamento di contributi Inps arretrati con relative sanzioni.
Il socio provvedeva prontamente ad impugnare dinanzi al Giudice del lavoro il provvedimento d’iscrizione e richiesta contributi arretrati chiarendo che si era proceduto a rettificare l’errore con la presentazione di dichiarazioni integrative per gli anni interessati. In primo grado il socio risultava vincitore, mentre risultava soccombente in appello.
In particolare il Giudice di appello chiariva che il primo giudice erroneamente aveva ritenuto emendabili le dichiarazioni dei redditi della sas essendo stata la rettifica richiesta oltre il termine di decadenza fissato dall’art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. 322/98 con conseguente “..consolidamento del titolo sottostante alla (legittima) pretesa creditoria dell’istituto”, e che sebbene gravasse sull’INPS l’onere di provare la ricorrenza dei presupposti per l’iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, tuttavia, nel caso in esame, era a carico del socio l’onere di fornire la prova contraria circa la sua partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza proprio in virtù della predetta dichiarazione dei redditi presentata dalla società.
Da qui il ricorso per Cassazione da parte del socio accomandatario.
Orbene, con la sentenza de qua i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso del socio dichiarando che la Corte d’Appello erroneamente aveva ritenuto decaduto il socio dalla facoltà di far valere in giudizio gli errori commessi nelle dichiarazioni dei redditi della S.a.s., finendo con l’attribuire alle medesime una efficacia vincolante per il dichiarante e tale da comportare l’inversione dell’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione nella gestione commercianti nel senso che lo stesso non gravava più sull’INPS, bensì spettava al socio.
In particolare, gli Ermellini hanno chiarito che:
- il contribuente può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, (Cass. SU n. 13378 del 30/06/2016 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti) non avendo detta dichiarazione carattere negoziale o dispositivo sicché, la Corte d’Appello non avrebbe potuto attribuire alle dichiarazioni dei redditi della società alcun valore probatorio neppure di presunzione semplice cui ricondurre una inversione dell’onere della prova gravante sull’INPS.
- nelle società in accomandita semplice, in forza dell’art. 1, comma 203, della l. n. 662 del 1996, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui prova è a carico dell’istituto assicuratore (Cass. n. 5210 del 28/2/2017).
L’ACCERTAMENTO CON REDDITOMETRO PUÒ CADERE SE GLI INCREMENTI PATRIMONIALI SONO GIUSTIFICATI DAI REGALI DI NOZZE.
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 21783 DEL 7 SETTEMBRE 2018
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 21783 del 7 settembre 2018, ha statuito che l'accertamento con redditometro può decadere se gli incrementi patrimoniali vengono giustificati da regali di nozze ricevuti.
Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, ribaltando in toto il giudizio della CTR della Campania, hanno accolto il ricorso di un giovane agricoltore al quale era stato contestato un tenore di vita molto più alto rispetto a quanto dichiarato annualmente. Il contribuente, dal canto suo, aveva documentato dei regali di nozze pari a 14.000 euro e un lascito da parte del nonno.
Gli Ermellini, per far cadere l'atto impositivo hanno applicato il principio generale secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall'art. 38, sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta”.
I Giudici Territoriali, a giudizio della S.C., sono incorsi negli errori addebitati dalla difesa in primo luogo, per non aver ammesso alla prova contraria i fatti allegati, già in sede di contraddittorio, in relazione ai quali il contribuente offrisse idonea documentazione, categoria cui sono ascrivibili, in astratto, la donazione paterna, i regali di nozze e la somma a titolo di risarcimento proveniente dall'assicurazione, redditi tutti risultanti da idonea documentazione.
In nuce, ribadendo proprio questi principi, i Giudici del Palazzaccio hanno sottolineando però che la dimostrazione delle donazioni da matrimonio deve essere data con documenti, pertanto il metodo migliore per il contribuente, è quello di farsi consegnare assegni o bonifici in alternativa ai contanti. Quando ciò non è possibile, è bene depositare in banca la cifra all’indomani del matrimonio in modo da far notare la coincidenza di date tra la liquidità e la cerimonia.
LA CARTELLA DI PAGAMENTO DEVE RIPORTARE IN CHIARO I CRITERI DI DETERMINAZIONE DEGLI INTERESSI DOVUTI
CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17765 DEL 6 LUGLIO 2018
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 17765 del 6 luglio 2018, ha statuito che l'Agenzia delle Entrate nel momento in cui notifica una cartella al contribuente non può omettere di motivare il pagamento di quanto richiesto, non indicando i criteri adottati per il calcolo degli interessi dovuti.
I Giudici di Piazza Cavour, con l’ordinanza de qua, hanno rigettato in toto le doglianze dell'Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della CTR Puglia, sezione di Lecce, relativa alla mancata indicazione nella cartella di pagamento per imposta IRPEF e altri tributi, dei criteri applicati per il calcolo degli interessi maturati, in quanto, per l’Amministrazione Finanziaria, la sentenza dei Giudici Territoriali è in contrasto con l'art. 3 della Legge n. 241/90, l'art. 7 della Legge n. 212 del 2000, gli artt. 15, 20 e 25 del DPR n. 602/73.
Ex adverso, per la S.C., non è condivisibile la tesi dell’ufficio ricorrente secondo cui non sarebbe necessaria nella cartella l'indicazione delle modalità di calcolo degli interessi perché contemplate dalla legge e perché conoscibili poiché determinate con provvedimento generale. Secondo i Giudici di Legittimità, infatti, il contribuente deve avere la possibilità di controllare la correttezza del calcolo degli interessi applicati, senza essere costretto a effettuare la ricostruzione giuridica del metodo che l’Amministrazione Finanziaria ha applicato.
In nuce, gli Ermellini hanno ribadito che "in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario deve essere motivata, non rilevando che il debito sia stato riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l'entrata in vigore della Legge n. 212/2002 deve allegarsi la sentenza".
LA COMUNICAZIONE PREVENTIVA DI AVVIO DELLA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO NON DEVE PREDETERMINARE I CRITERI DI SCELTA
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 21718 DEL 6 SETTEMBRE 2018.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 21718 del 6 settembre 2018, ha statuito che la comunicazione preventiva di avvio della procedura di licenziamento collettivo, contenente i requisiti prescritti dall’art. 4, comma 3 della Legge 223/1991, non deve necessariamente determinare i criteri di scelta, avendo il solo scopo di consentire al sindacato la funzione di controllo sull’asserita riduzione del personale.
Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la richiesta dell’azienda ritenendo sufficienti le indicazioni fornite dalla stessa nella comunicazione di avvio della procedura. Difatti, l’azienda aveva indicato i profili eccedenti, nonostante l’omessa indicazione della qualifica di una dipendente. Tale circostanza, non è stata considerata impeditiva rispetto ad una corretta partecipazione del sindacato, atteso che l’accordo stipulato successivamente consisteva nella totale esternalizzazione delle funzioni di servizio e amministrazione.
Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno in particolare precisato che l’assenza di predeterminazione dei criteri di scelta non limita il controllo sindacale, fermo restando la competenza del Giudice di merito di verificare l’adeguatezza della comunicazione. Tale comunicazione non deve contenere dati incompleti o inesatti, deve consentire al sindacato la funzione di controllo e valutazione, deve sussistere un nesso causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale. Dunque, ogni eventuale incompletezza o inesattezza dei dati, come ad esempio il numero indicato nella comunicazione iniziale rispetto a quella finale, non determina a priori l’insufficienza della comunicazione che, ex adverso, sussiste solo ove la carenza invocata determini una effettiva limitazione del controllo del sindacato.
Ad maiora
IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO
(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!
Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro
Modificato: 24 Settembre 2018