20 Settembre 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….


COEFFICIENTE ISTAT MESE DI AGOSTO 2021

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Agosto 2021. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Agosto 2021 è pari a 2,759531 e l’indice Istat è 104,70

COMPETENZA TERRITORIALE DEL GIUDICE DI LAVORO. ANCHE L’ABITAZIONE DEL LAVORATORE PUÒ ESSERE CONSIDERATO LUOGO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 5726 del 3 MARZO 2021

Nell’era della globalizzazione, della delocalizzazione delle imprese e di strumenti operativi quali il lavoro agile, la tutela dei diritti dei lavoratori si sostanzia anche nella regolamentazione di aspetti spesso ritenuti marginali. E il caso affrontato dalla sentenza in esame sull’individuazione del Giudice territorialmente competente per le controversie di lavoro.

La norma regolatrice, l’art. 413 c.p.c., considera competente per territorio il Giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto di lavoro ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto di lavoro.

La pronuncia conferma, innanzitutto, la presenza di tre fori alternativi, scelti liberamente dal ricorrente (sia esso lavoratore o datore di lavoro), contrariamente a quanto asserito da una parte della dottrina e da alcuna giurisprudenza di merito che si limita ad individuarne solo due e cioè il luogo dove è sorto il rapporto e il luogo dove il lavoratore presta effettivamente la sua opera.

Con particolare riferimento ad uno di essi, ovverossia la dipendenza alla quale era addetto il lavoratore, secondo la Cassazione tale locuzione va interpretata “come articolazione della organizzazione aziendale nella quale il dipendente lavora”, di guisa che essa può coincidere anche con l’abitazione privata del lavoratore.

Il caso specifico affrontato riguardava un informatore farmaceutico che impugnava il proprio licenziamento presso il Tribunale di Bari, che ritenendo fondata l’eccezione di competenza sollevata dalla Società, rimetteva la causa al Tribunale di Milano. Quest’ultimo, tuttavia, ritenendo che nessuno dei tre criteri di cui all’art.413 c.p.c. determinasse la propria competenza, rimetteva di ufficio gli atti alla cancelleria della Corte di Cassazione proponendo istanza di regolamento di ufficio ai sensi dell’art.45 c.p.c.

Investita della questione, la Suprema Corte confermava i rilievi formulati dal Tribunale di Milano nel regolamento per escludere la propria competenza. Infatti, sia la “sede legale” del datore di lavoro sia il “luogo in cui è sorto il contratto di lavoro” si trovava nella Circoscrizione del Tribunale di Monza. Restava da valutare il criterio della “dipendenza”, per la quale l’orientamento della Cassazione è che essa vada intesa, in senso estensivo, come una “articolazione della organizzazione aziendale” e quindi essendo possibile individuarla anche nell’abitazione privata del lavoratore quando risultino presenti significativi “strumenti di supporto dell’attività lavorativa”. 

In precedenti analoghi la Corte aveva già considerato “dipendenza” l’abitazione dell’informatore scientifico farmaceutico, dotata di un personal computer e di una stampante con rete ‘ADSL’, che risultava anche adibita a deposito di campioni e di materiale pubblicitario’ e soprattutto ‘limitrofa all’ambito territoriale assegnato al lavoratore’”.

Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha rilevato nella fattispecie in esame che il lavoratore svolgeva l’attività lavorativa per l’azienda in un ambito territoriale lontano dalla sede dell’impresa e coincidente con il comune” di Molfetta, “in cui si trovava la sua abitazione, e dove egli custodiva gli strumenti di lavoro” (dal pc al campionario), e cioè “tutti i beni e strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Da ciò l’asserita competenza territoriale del Tribunale di Trani, nel cui circondario rientra il Comune di Molfetta in alternativa al Tribunale di Monza con riferimento alla sede legale.

 

NELL’AZIONE DI ACCERTAMENTO NEGATIVO DI UNA PRETESA CONTRIBUTIVA CONTENUTA IN UN VERBALE INPS, LA DIFESA DELL’ISTITUTO CONTENENTE LA MERA ISTANZA DI RIGETTO DELL’AZIONE INTERROMPE IL DECORSO DELLA PRESCRIZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 21799 DEL 29 LUGLIO 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 21799 del 29 luglio 2021, ha statuito che la richiesta del convenuto di mero rigetto dell'altrui domanda di accertamento negativo di un debito può costituire domanda idonea a svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto vantato nei confronti del debitore.

Il caso in esame ha riguardato una casistica decisamente comune. Un contribuente che, ricevuto un accertamento dell’Inps, con il quale vengono richiesti contributi, decide – senza attendere l’avviso di addebito – di depositare ricorso giudiziario per l’accertamento negativo della pretesa contributiva. Dunque, il contribuente assume, nel giudizio, ancorché solo formalmente, la veste di “attore”, melius ricorrente.

Ebbene, come noto, l’art. 2943 c.c., 2° comma, prevede che la prescrizione è interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio. Il successivo art. 2945 c.c., comma 2, stabilisce che l'interruzione, avvenuta secondo l’art. 2943 c.c., comporta che la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

Sulla base della formulazione letterale del richiamato ’art. 2943 c.c. in cui è testualmente richiamato la “domanda”, da intendersi quale atto della parte processuale che instaura il giudizio (recte attrice o ricorrente nel rito del lavoro), la Corte di Appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado e facendo altresì leva sull’orientamento giurisprudenziale nomofilattico di cui alle sentenze 12058/2014 e 9589/2018, accoglieva l’appello di un contribuente.

Per l’effetto, i Giudici distrettuali dichiaravano la intervenuta prescrizione dei contributi di cui ad un verbale di accertamento Inps, non potendosi riconoscere valore interruttivo della prescrizione alla memoria dell’Inps in primo grado, atteso che in essa l’Istituto si era limitato a richiedere il (mero) rigetto dell’azione di accertamento negativo all’obbligo contributivo.

I Giudici di Piazza Cavour, aditi dall’Inps, hanno, tuttavia, precisato che il resistere all'altrui azione di accertamento negativo implica una domanda di accertamento positivo del proprio diritto, trattandosi sostanzialmente di un'istanza diretta ad ottenere un accertamento di contenuto contrario a quello già invocato dall'attore e dunque già virtualmente compreso nel thema decidendi, donde -anche- la non necessità di spiegare domanda riconvenzionale

Pertanto, gli Ermellini, con la sentenza de qua, hanno accolto il ricorso dell’Inps e, nel superare le statuizioni di cui alle richiamate sentenze della Corte del 2014 (12058) e del 2018 (9589), hanno affermato il seguente principio di diritto: “la richiesta del convenuto di mero rigetto dell'altrui domanda di accertamento negativo di un debito può costituire domanda idonea a svolgere efficacia interruttiva della prescrizione del diritto vantato nei confronti del debitore, ex art. 2943 c.c., comma 2, in quanto, in concreto, sia volta a ribadire le ragioni del proprio credito e a chiederne giudizialmente l'accertamento, con i consequenziali effetti permanenti di cui all’art. 2945 c.c., comma 2”

 

L'ARBITRARIO AGGRAVAMENTO DEL RISCHIO DETERMINATO DALLA PERSONALE CONDOTTA DEL LAVORATORE SPEZZA IL NESSO CAUSALE E FUNZIONALE CON L'ATTIVITA' LAVORATIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 22180 DEL 3 AGOSTO 2021.

La Corte di Cassazione – sentenza n°22180 del 3 agosto 2021 – ha statuito, in tema di infortunio in itinere, che la deviazione arbitraria del percorso lavoro-casa esclude l'indispensabile nesso di casualità con l'attività lavorativa ed integra il cosiddetto rischio elettivo.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Roma aveva accolto l'impugnazione proposta dall'INAIL avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda – tesa ad ottenere il riconoscimento del diritto alla rendita ai superstiti ed all'assegno una tantum – proposta dagli eredi di un lavoratore deceduto a causa di un incidente stradale. Ad avviso della Corte territoriale la domanda andava rigettata in ragione del fatto che, al fine di poter qualificare l'infortunio occorso quale infortunio in itinere, sarebbe stato necessario accertare che il tragitto effettuato fosse quello normalmente utilizzabile per collegare l'abitazione con il luogo di lavoro, mentre l'eventuale deviazione avrebbe dovuto essere giustificata da causa di forza maggiore, da esigenze essenziali o dall'adempimento di obblighi penalmente rilevanti; tali ipotesi non si potevano ravvisare nella circostanza addotta dalla parte, consistente nella decisione del lavoratore di andare a prendere e riaccompagnare a casa a conclusione della serata il collega barman perché privo di mezzo di trasporto proprio.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso in Cassazione gli eredi del lavoratore eccependo, tra l'altro, che la scelta contestata dai Giudici di merito era stata dettata, invero, dalla necessità di dover riaccompagnare il collega che, a causa di un guasto alla propria autovettura, non avrebbe potuto rientrare a casa, poiché nelle ore notturne, nei pressi del locale, non vi erano mezzi pubblici.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso ribadendo che il D.P.R. n°1124 del 1965, art. 2 copre tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta "in occasione di lavoro" che cagionino un'inabilità al lavoro superiore a tre giorni, rientrando nella nozione di occasione di lavoro tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine, alle persone, al comportamento colposo dello stesso lavoratore, ivi compresi gli spostamenti spaziali funzionali allo svolgimento della prestazione, con l'unico limite del rischio elettivo, inteso come tutto ciò che sia estraneo e non riguardante l'attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore. Nel caso di specie, hanno continuato  gli Ermellini, si è accertato che l'evento fu frutto di un arbitrario aggravamento del rischio, determinato dalla condotta del lavoratore che deliberatamente scelse di deviare il proprio percorso per accompagnare il collega; per cui non vi è spazio per potersi configurare un'ipotesi di infortunio in itinere, rispetto al quale, hanno concluso gli Ermellini, occorre sempre verificare la "normalità" della percorrenza dell'itinerario seguito e la sua non riconducibilità, come è avvenuto nel caso di specie, a ragioni personali, estranee all'attività lavorativa.

 

PER LA CASSAZIONE, NELLA DETERMINAZIONE DELLA FALLIBILITÀ DI UN’AZIENDA, I RICAVI LORDI DEVONO PRESCINDERE DAI PRINCIPI CONTABILI E TENERE IN CONSIDERAZIONE SOLTANTO LO SCHEMA OBBLIGATORIO DEL CONTO ECONOMICO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 23484 DEL 26 AGOSTO 2021

La Corte di Cassazione, con la sentenza  n.23484 del 26/08/2021, ha statuito che la determinazione dei ricavi lordi da effettuare ai fini della valutazione della fallibilità di un'impresa, deve prescindere dai principi contabili e tenere in considerazione soltanto lo schema obbligatorio del conto economico, ergo contano i ricavi delle vendite e delle prestazioni in uno agli altri ricavi e proventi, ma vanno invece esclusi le variazioni delle rimanenze e i lavori in corso che non possono essere considerati ricavi.

Il caso di specie trae origine da una sentenza della Corte d'Appello di Venezia che, accogliendo le doglianze ex art. 18 della Legge Fallimentare di una società in liquidazione, revocava la sentenza dichiarativa del fallimento della società sentenziata dal Tribunale di Verona. I Giudici di merito, infatti,  ritenevano la società non soggetta a fallimento in quanto, dall'esame degli ultimi tre bilanci depositati l'attivo patrimoniale era inferiore ad euro 300 mila, l'ammontare dei debiti scaduti era inferiore ad euro 500 mila e dalle informazioni in calce allo stato patrimoniale del bilancio relativo al 2017, la voce altri ricavi e proventi era stata incrementata di oltre 330 mila euro, superando, così, la soglia dei 200 mila euro prevista come terza ed ultima soglia di fallibilità, ma nello specifico, tale incremento, non essendo un ricavo lordo in senso tecnico, non era da considerare ai fini della possibile fallibilità dell'azienda.

I Giudici di piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno pienamente confermato la revoca della sentenza di  fallimento evidenziando che, per l'individuazione dei ricavi lordi ai fini della fallibilità di una impresa, gli stessi ricavi devono essere considerati in senso tecnico facendo riferimento allo schema obbligatorio del conto economico di cui all'art. 2425 lettera A, c.c., riferendo alla voce n. 1 ricavi delle vendite e delle prestazioni e alla n. 5 altri ricavi e proventi  escludendo, le sole variazioni delle rimanenze e i lavori in corso che non possono essere considerati ricavi.

In nuce, per la S.C., il legislatore, nel riferirsi ai ricavi ha considerato gli stessi in senso tecnico, con la conseguenza di fare riferimento sia ai ricavi delle vendite e delle prestazioni, sia alla voce altri ricavi e proventi, in quanto assimilabile alla prima, trattandosi di componenti positivi, quali ricavi accessori, dividendi, royalties, canoni attivi, mentre non devono sommarsi le voci variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semi lavorati e finiti, e variazioni dei lavori in corso su ordinazione, che non possono essere considerate ricavi, nemmeno concettualmente assimilabili alla più ampia nozione di proventi, aggiungendo, inoltre, che queste ultime voci, rappresentano costi comuni a più esercizi, sospesi in conformità del principio di competenza economica, per essere rinviati ai successivi esercizi.


IL CONTROLLO DI OPERAZIONI EFFETTUATE DA SOCIETA’ RITENUTE CARTIERA NON PUO’ LIMITARSI AD UNA MODALITA’ MERAMENTE DOCUMENTALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 24149 DEL 8 SETTEMBRE 2021.

La Corte di Cassazione ha ribadito che il controllo delle operazioni effettuate da una società che si venga dimostrato essere società cartiera deve essere svolto non solo con riferimento alla documentazione prodotta, ma necessita di approfondite indagini e considerazioni del quadro complessivo.

Il caso in questione nasce dalla contestazione ad una società di alcune operazioni relative alla costruzione di una recinzione, effettuato utilizzando fatture di una società che si è poi rivelato essere società cartiera.

Il contribuente aveva ricevuto e registrato fattura da tale società ai fini dei costi d’esercizio e dell’ammortamento per la relativa quota d’esercizio.

L’Agenzia delle Entrate aveva quindi riportato a tassazione tali costi, ritenuti relativi a operazioni inesistenti, e la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso del contribuente.

La Commissione Tributaria Regionale aveva invece accolto le doglianze del contribuente, basandosi sulla visione di fotografie allegate al ricorso, che dimostravano l’esistenza della recinzione.

Rilevano gli Ermellini che, “nel caso di specie, attraverso un accertamento succinto la CTR stessa dà in sentenza per acquisita la natura di cartiera del soggetto emittente la fattura e, nondimeno, ritiene dimostrata l'effettiva esecuzione dell'operazione oggetto di ripresa nel periodo di imposta in contestazione sulla base solo della documentazione fotografica, senza confrontarsi non solo con la sua riconducibilità all'esecuzione delle prestazioni nell'anno di imposta, ma anche con gli altri elementi che compongono il quadro probatorio, sintetizzati per autosufficienza in ricorso”.

In particolare la Commissione Tributaria Regionale non aveva valutato le circostanze per cui non risultava effettuato, dalla società cartiera, alcun acquisto dei materiali necessari per la costruzione del manufatto, rendendo quindi inverosimile la circostanza per cui tale società abbia potuto realizzarlo, e nemmeno che non erano stati stipulati contratti né nominati responsabili per la realizzazione dell’opera.

Per tali motivi la Corte di Cassazione non ritiene integrati i caratteri di sufficiente motivazione posti a base della sentenza di appello e rinvia alla CTR in diversa composizione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 20 Settembre 2021