12 Ottobre 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

IL LAVORATORE CHE INVOCHI IL RICONOSCIMENTO DELLA NATURA SUBORDINATA DEL RAPPORTO DI LAVORO HA L’ONERE DI DIMOSTRARE LA SUSSISTENZA DEI REQUISITI SOSTANZIALI.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 20903 DEL 30 SETTEMBRE 2020

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 20903 del 30 settembre 2020, ha (ri)statuito che, nel giudizio diretto ad ottenere la declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è onere del lavoratore “atipico” dimostrare la ricorrenza della subordinazione.

Nel caso in esame, un lavoratore, titolare di un contratto di attivazione sociale con una società operante nel settore dei rifiuti, con una prestazione di 20 ore settimanali, adiva il Tribunale di Massa per vedersi riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, ricorreva alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza.

Ebbene, gli Ermellini, nel confermare la statuizione dei Giudici distrettuali di Genova, hanno ribadito, con l’ordinanza de qua, il noto principio di diritto racchiuso nel brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit.

Gli stessi, inoltre, hanno precisato che i Giudici di merito hanno reputato che il contratto atipico così concluso (id: attivazione sociale) trovasse giustificazione nella normativa statale e regionale richiamata dallo stesso ricorrente ed esprimesse "un interesse al mantenimento dell'inserimento sociale, in vista di più concreti sviluppi lavorativi e personali, meritevoli di tutela.

Pertanto, nel respingere il ricorso, hanno concluso che il lavoratore, ancorché invocante il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, non aveva dimostrato la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione quali, ad esempio, lo stabile inserimento nell'impresa, l'assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, la relazione sinallagmatica tra la messa a disposizione delle energie lavorative e la retribuzione.

 

LA BASE IMPONIBILE SULLA QUALE CALCOLARE I CONTRIBUTI PER LA GESTIONE COMMERCIANTI E' COSTITUITA DALLA TOTALITA' DEI REDDITI DI IMPRESA EX ART. 55 DEL TUIR.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 18594 DEL 7 SETTEMBRE 2020.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 18594 del 7 settembre 2020, ha (ri)confermato che la base imponibile sulla quale calcolare i contributi Inps – gestione commercianti – è composta dalla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono.

Nel caso de quo,  la Corte d'Appello di L'Aquila confermava la decisione di primo grado che aveva annullato l'avviso di addebito notificato ad una commerciante, con il quale l'Inps aveva intimato alla predetta il pagamento di contribuzione previdenziale relativa alla gestione commercianti sui redditi derivanti dalla partecipazione pro quota ad alcune società a responsabilità limitata; rilevava la Corte territoriale che, pur se il D.L. n° 384 del 1992, art. 3 bis, faceva riferimento alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF, "il rapporto previdenziale non può prescindere dalla sussistenza di un'attività, di lavoro dipendente o autonomo, che giustifichi la tutela corrispondente, atteso che, diversamente ragionando, ogni conferimento di capitali in società esercente attività d'impresa dovrebbe comportare l'inserimento del reddito corrispondente nell'imponibile contributivo".

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Inps sostenendo la necessità per il contribuente di parametrare il proprio obbligo contributivo tenendo conto di tutti i redditi percepiti nell'anno di riferimento, compresi quelli derivanti da partecipazione a società di capitali dove egli risulti non svolgere attività lavorativa.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che la questione è stata, per altro, recentemente affrontata e risolta con la pronuncia n° 21540 del 20 agosto 2019.

Nella citata pronuncia, hanno continuato gli Ermellini, è stato rilevato che, al fine di individuare quale sia il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, occorre per coerenza di sistema fare riferimento alle norme fiscali e, dunque, in primo luogo al TUIR – D.P.R. 22 dicembre 1986, n° 917 che contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d'impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi, a mente dell'art. 55, sono quelli che derivano dall'esercizio di attività imprenditoriale, mentre l'art. 44, lettera e), ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRES. Poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d'impresa, come definiti dalla disciplina fiscale, e considerato che secondo il TUIR gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi.

Ne deriva che, il concetto di totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini Irpef, deve essere riferito esclusivamente all'impresa commerciale o artigiana in relazione alla quale l'assicurato è iscritto alla corrispondente gestione, non essendo necessariamente soggette a contribuzione ai fini previdenziali eventuali altre fonti di reddito da partecipazione.

 

IL PRESIDENTE DI SOCIETÀ COOPERATIVA È RESPONSABILE PER L’OMESSA INFORMAZIONE E FORMAZIONE SULLA SICUREZZA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 27242 DEL 1° OTTOBRE 2020

La Corte di Cassazione, sentenza n. 27242 del 1° ottobre 2020, ha affermato la responsabilità del presidente di società cooperativa per l’omessa formazione ed informazione in materia di sicurezza sul lavoro.

Nel caso de quo, il Tribunale condannava alla reclusione il presidente di una società cooperativa a causa del decesso di uno dei soci lavoratori addetto all’abbattimento degli alberi, avvenuto per le gravi lesioni riportate in seguito ad infortunio provocato da un comportamento scorretto tenuto dal lavoratore, che non aveva adottato una procedura sicura durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.

Soccombente anche in secondo grado di giudizio, il presidente della società cooperativa ricorreva dunque in Cassazione.

Gli Ermellini hanno confermato la responsabilità del datore di lavoro, utilizzando alla base della loro argomentazione il principio della causalità della colpa, secondo il quale il mancato rispetto di una norma cautelare non è sufficiente a dimostrare la responsabilità di un evento, ma è necessario provare il nesso causale tra la violazione della norma ed il verificarsi dell’evento, in particolare il risultato offensivo prodotto dalla condotta colposa deve corrispondere alla concretizzazione del pericolo che la norma cautelare si proponeva di evitare o ridurre.

A riguardo viene in primis sottolineato che i soci lavoratori di cooperativa sono equiparati ai lavoratori subordinati e, pertanto, è da ritenere che anche il presidente ed il legale rappresentante di una società cooperativa di lavoro siano destinatari delle norme antinfortunistiche. Tanto premesso, ne consegue che il presidente ha il dovere di curare l’informazione e la formazione dei lavoratori in merito ai rischi connessi con lo svolgimento della mansione, nonché di controllare che i compiti affidati a ciascuno vengano eseguiti in accordo con le norme di sicurezza imposte. Nel caso in oggetto, l’incidente era stato determinato, sia da una non sufficiente formazione del lavoratore, a nulla rilevando l’apprendimento che lo stesso poteva aver ottenuto dall’esperienza sul campo o dalla socializzazione sul luogo di lavoro, sia da una inadeguata analisi dei rischi all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi. In entrambi i casi veniva dunque rilevata una condotta colposa del datore di lavoro, estrinsecatasi nella poca cura che era stata usata nella predisposizione del documento, nel quale era stata omessa l’indicazione delle misure per la prevenzione e protezione utili ad evitare o ad attenuare i rischi connessi con lo svolgimento delle mansioni, ma anche nella formazione ed informazione del lavoratore. Pertanto, la Suprema Corte, confermando l’orientamento ormai consolidato secondo il quale l’obbligo di formare ed informare resta a carico del datore di lavoro, ha rigettato il ricorso.

 

IL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE CONTINUATA E CONTINUATIVA PRIVO DI PROGETTO SI TRASFORMA AUTOMATICAMENTE IN LAVORO SUBORDINATO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 20666 DEL 29 SETTEMBRE 2020

La Corte di Cassazione, sentenza n° 20666 del 29 settembre 2020, ha ribadito che la sussistenza di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, costituisce elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 69, comma 1, D.lgs. n. 276/2003. In mancanza, il rapporto si converte automaticamente in lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Nel caso in oggetto, infatti, una s.r.l. adiva il Tribunale ordinario per l’opposizione ad una cartella esattoriale emessa dall’INPS per il pagamento della contribuzione dovuta a seguito di una trasformazione di due contratti co.co.co. in rapporti di lavoro subordinato. Il Tribunale accoglieva l’opposizione ritenendo che i contratti a progetto, stipulati dalla società con due lavoratori e contestati dall’Istituto, che ne aveva rilevato la natura subordinata, non erano tali da configurare una subordinazione, pur in mancanza di specificità dei progetti.

A seguito della conferma della sentenza in Corte d’Appello, l’INPS proponeva ricorso in Cassazione deducendo la violazione degli artt. 61, 69, commi 1, 2 e 3, D.lgs. n. 276/2003 che dispongono la trasformazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla costituzione del rapporto di quei contratti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, e degli artt. 2728 e 2729 c.c.

La Suprema Corte rilevava che, in tema di lavoro a progetto, secondo quanto disposto dall’art. 69, comma 1, D.lgs. n. 276/2003, laddove un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, si debba procedere con un’automatica conversione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato, a far data dalla costituzione del rapporto e senza dar luogo ad accertamenti volti a verificare in concreto i canoni dell’autonomia o della subordinazione (ex multis Cass. n. 17127/16). La Corte, inoltre, rimarcava l’applicazione di una presunzione iuris et de jure, dovendosi osservare che il caso in esame differiva dal caso in cui il progetto sia valido ma sia accertata in fatto la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato. Si tratta, infatti, di due distinte fattispecie, alle quali corrispondono differenti oneri probatori. Nel caso in esame, infatti, il progetto di cui al richiamato art. 69, che costituisce elemento costitutivo della fattispecie, risultava del tutto assente, circostanza riscontrabile sia qualora manchi la prova della pattuizione del progetto stesso, sia quando il progetto pattuito risulti privo delle sue caratteristiche essenziali di specificità e autonomia.

La Corte, pertanto, ha accolto il ricorso dell’INPS ed ha cassato la decisione impugnata.

 

LEGITTIMO LO STOP DELLA PRESCRIZIONE PER GLI EFFETTI DEL CORONAVIRUS.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 25433 DEL 9 SETTEMBRE 2020

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 25433 del 9 settembre 2020, ha statuito che non deve ritenersi incostituzionale la sospensione della prescrizione per i reati commessi prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 18/2020.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour hanno rigettato le doglianze di un contribuente avverso una sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10 bis D.lgs. n.74 del 2000, in cui lamentava il fatto che la Corte Territoriale non avesse tenuto conto che l’omesso versamento delle imposte era stato dovuto alla materiale impossibilità per lui di far fronte agli obblighi tributari a causa della crisi che ha colpito la sua azienda, oltre a chiedere il proscioglimento per intervenuta prescrizione ovvero, in subordine, la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 D.L. 18/2020 nella parte in cui ha individuato una nuova ipotesi di sospensione della prescrizione applicabile anche alle fattispecie di reato perfezionatesi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Ex adverso, per gli Ermellini, l'articolo 83 del DL n. 18/2020, nel disporre che tutte le udienze sono rinviate d'ufficio a un periodo successivo a una certa data e che nel frattempo è sospeso il decorso dei termini per compiere un qualsiasi atto dei relativi procedimenti, introduce, di fatto, una sospensione dell'intero procedimento. Pertanto, la sospensione del corso della prescrizione non deriva da una disposizione sostanziale introdotta successivamente alla commissione del reato, ma altro non è che la conseguenza della sospensione del processo derivante dall'entrata in vigore del DL de quo e, quindi, l'effetto dell'applicazione ordinaria dell'articolo 159, comma 1, del Codice Penale.

Nello specifico, non deve assolutamente ritenersi fondata la proposta questione di legittimità costituzionale del citato art. 83 del D.L. n. 18/2020 e ciò in quanto il meccanismo sospensivo della prescrizione non va individuato in tale norma, quanto, piuttosto, nel citato art. 159 del C.P., che stabilisce che la prescrizione rimane sospesa ogniqualvolta intervenga una particolare disposizione di legge a imporre la sospensione del procedimento e del processo penale. Tale articolo, quindi, rappresenta la regola generale e astratta alla quale di volta in volta singole norme possono dare contenuto attraverso il meccanismo del rinvio mobile.

In nuce, per la S.C., il rispetto del principio della irretroattività della disposizione favorevole va verificato, prendendo come riferimento non la data di entrata in vigore della norma che stabilisce un'ipotesi di sospensione del procedimento o del processo, ma quella dell'entrata in vigore della norma che stabilisce che, a processo sospeso, opera la sospensione della prescrizione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

 

    Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Giusi Acampora e Michela Sequino

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Modificato: 12 Ottobre 2020