22 Ottobre 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI SETTEMBRE 2018

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Settembre 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Settembre 2018 è pari a 2,089392 e l’indice Istat è 102,40.


LA SANZIONE DISCIPLINARE DEVE RISPETTARE IL REQUISITO DELLA PROPORZIONALITA’ RISPETTO AI FATTI ADDEBITATI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 25300 DELL’11 OTTOBRE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 25300 dell’11 ottobre 2018, ha (ri)affermato che la valutazione inerente la legittimità del licenziamento disciplinare non può prescindere da un attento esame della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ai fatti contestati non mancando di valutare il clima di tensione aziendale conseguente al mancato puntuale pagamento delle retribuzioni mensili.

Nel caso de quo, un dipendente veniva licenziato per giusta causa, all’esito del procedimento sancito dall’art. 7 della L. n° 300/70, per aver posto in essere alcuni comportamenti negligenti quali l’interruzione dell’attività, il diverbio con alcuni superiori, il mancato rispetto di un periodo di ferie “imposto” dall’azienda.

Soccombente (parzialmente) in I° grado, il prestatore adiva la Corte territoriale trovando pieno soddisfo alle proprie pretese. Infatti, i Giudici di II° grado accertavano che i comportamenti contestati al lavoratore in alcuni casi non erano ascrivibili allo stesso e, comunque, non erano talmente gravi da poter ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario fra le parti. Inoltre, dal procedimento istruttorio emergeva che l’azienda non provvedeva a corrispondere gli stipendi mensili entro i termini contrattuali creando una situazione particolarmente tesa nell’ambiente lavorativo ponendo in essere finanche dei comportamenti potenzialmente antisindacali.

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nel dichiarare il ricorso inammissibile in quanto il deliberato di prime cure era correttamente, logicamente ed ampiamente motivato, hanno colto l’occasione per rimarcare che la sanzione disciplinare, a prescindere dalla propria natura (id: conservativa o espulsiva) deve sempre essere applicata in ossequio al principio della proporzionalità e la valutazione inerente l’adeguatezza della sanzione stessa non può prescindere dall’esame della situazione aziendale nel suo complesso.

Pertanto, atteso che nel caso de quo il dipendente aveva dimostrato la mancata proporzionalità della sanzione anche in considerazione del grave stato di insolvenza del datore di lavoro nei confronti del personale dipendente, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso attese le ampie ed esaustive motivazioni enunciate dai Giudici di merito non mancando di enunciare il sopra esposto principio ex art. 7 L. n° 300/70.


L'ESECUZIONE DI UN ORDINE ILLEGITTIMO IMPARTITO DAL SUPERIORE GERARCHICO NON BASTA AD IMPEDIRE LA CONFIGURABILITA' DI UNA GIUSTA CAUSA DI RECESSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 23600 DEL 28 SETTEMBRE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 23600 del 28 settembre 2018, ha statuito, in tema di legittimità del licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c., che l'esecuzione di un ordine illegittimo impartito da un superiore gerarchico non vale a scriminare la condotta del dipendente che abbia acconsentito, ben conscio della natura illecita dell'ordine.

Nel caso de quo, la società Italgas Spa aveva provveduto al licenziamento per giusta causa di un dipendente e dei suoi superiori gerarchici che avevano comunicato al lavoratore subordinato la necessità di inserire nelle cartografie e nel patrimonio aziendale alcuni metri lineari di tubature installate negli anni precedenti, simulando l'esecuzione ex novo dei lavori con contabilizzazione degli stessi nel sistema informatico. Il compito del lavoratore era stato quello di confermare l'avvenuta esecuzione dei lavori in modo da generare nel sistema informatico (SAP) i moduli di acquisizione che consentivano l'inserimento delle tubature nelle cartografie.

La Corte d'Appello di Roma, in accoglimento del reclamo formulato dal dipendente sottoposto, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento comminato dalla società datrice e condannato la Italgas Spa alla reintegra del reclamante nel posto di lavoro oltre al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegra, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In particolare, la Corte di merito, per l'assenza di dolo e colpa nella condotta del dipendente e per la mera osservanza da parte sua degli ordini impartitigli dal superiore gerarchico, aveva escluso che fosse configurabile una giusta causa di licenziamento, applicando le tutele di cui all'art. 18, Legge n°300/70, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla Legge n° 92/2012.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2119 c.c. e dell'art. 3, Legge n°604/66 argomentando la configurabilità di una giusta causa di recesso anche per il dipendente in questione, in relazione alla confessata falsificazione della contabilità aziendale, espressione di deviazione cosciente nell'esercizio di mansioni assegnate.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, precisando che l'esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sé ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso. Nel caso in specie, hanno argomentato gli Ermellini, l'ordine impartito al dipendente sottoposto era tale da comportare una plateale violazione delle procedure amministrative e contabili, oltre che dei principi e delle regole poste dal codice etico, mediante simulazione di lavori non eseguiti; la valutazione della giusta causa di recesso avrebbe pertanto dovuto tener conto del carattere palesemente illegittimo dell'ordine impartito dal superiore, quale elemento idoneo ad incidere sulla lesione del vincolo fiduciario. Dal ché, hanno concluso gli Ermellini, il comportamento cosciente del dipendente, posto supinamente all'ordine impartito, senza opporre alcun rifiuto o ostacolo, costituisce violazione dei doveri di diligenza e fedeltà ed integra la giusta causa di licenziamento.


NON SI APPLICA IL FAVOR REI PER LA MAGGIOR IVA VERSATA A SEGUITO ERRATA APPLICAZIONE DELL’ALIQUOTA IVA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 24001 DEL 3 OTTOBRE 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 24001 del 3 ottobre 2018, ha statuito che nei casi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva erroneamente assolta dal cedente, il diritto del cessionario o committente alla detrazione sorge solo per i casi avvenuti dopo l’entrata in vigore della norma introdotta dall'art. 1, comma 935, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017, a cui non può essere attribuito valore di norma interpretativa.

IL FATTO

L’Agenzia delle Entrate notificava ad una S.r.l. due avvisi di accertamento con i quali, tra l’altro, disconosceva il diritto alla detrazione dell’IVA ad essa addebitata da alcuni subappaltatori in misura superiore a quella dovuta.

I due avvisi venivano prontamente impugnati dinanzi alla giustizia tributaria da parte della società che risultava però soccombente in entrambi i giudizi di merito.

La società ricorreva allora per Cassazione, lamentando che in ogni caso le avrebbe dovuto essere riconosciuta la detrazione della maggiore IVA addebitata in fattura stando il principio di neutralità dell’IVA, e poiché riteneva applicabile la novella normativa di cui all’art.1 c. 935 della legge 205/2017, che aveva modificato la disciplina delle sanzioni in casi come quelli di specie, dove è previsto comunque il diritto alla detrazione dell’IVA pagata in più erroneamente.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, hanno respinto in toto il ricorso della società affermando la non applicabilità, alla fattispecie sottoposta al vaglio di legittimità,  dello jus superveniens costituito dalla modifica normativa operata dall’art. 1 c.935 della legge 205/2017 al c. 6, dell’art. 6, del D.lgs. 471/97, laddove prevede che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 D.P.R. 633/72 , l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.

Pertanto, hanno continuato gli Ermellini, appare evidente come con riferimento alla determinazione della misura delle sanzioni, trovano sicura applicazione le previsioni del favor rei di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 472/1997, mentre per quanto concerne invece la parte avente ad oggetto il diritto alla detrazione, non può avere efficacia retroattiva in quanto la previsione normativa in esame non enuncia espressamente alcuna valenza retroattiva della sua efficacia e introduce, invece, innovativamente, il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, disciplinando quindi diversamente il regime precedente, per cui non può riconoscersi alla novella normativa in esame il valore di norma interpretativa tesa a chiarire la portata applicativa del regime di detrazione IVA in materia.

In nuce, l’applicabilità delle nuove disposizione normative in materia di detrazione IVA per errata applicazione dell’aliquota è rivolta solo a fattispecie di violazioni intervenute post entrata in vigore della modifica normativa di cui alla legge 205/2017.

 

IL PROFESSIONISTA IMPEGNATO ATTIVAMENTE NELLA SOCIETÀ RIVESTE LA QUALIFICA DI SOCIO OCCULTO

 

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 46216 DEL 12 OTTOBRE 2018

 

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 46216 del 12 ottobre 2018, ha statuito che il professionista con partecipazione attiva nella gestione di una società, come prestare una fideiussione personale rilevante a favore dell'azienda assistita, risponde anche degli illeciti fiscali da questa commessi, in quanto un'azione “non spiegabile alla luce della sola veste professionale”, induce a ritenere un ruolo di amministratore di fatto e di socio occulto.

Il caso di specie riguarda un procedimento con il coinvolgimento di tre persone fisiche, tra cui anche l'avvocato della società accusata di aver posto in essere un'operazione elusiva. Alla luce dell'irrilevanza penale dell'abuso di diritto sancita dal D.Lgs n. 128/2015, i Giudici Territoriali avevano assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, ancorché ritenendo il legale comunque compartecipe della condotta elusiva, definita sussistente, pur se non penalmente rilevante.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno rigettato le doglianze del professionista che, pur essendo stato scagionato dagli addebiti penali, voleva comunque vedere affermata la propria totale estraneità ai fatti, sia per non essere esposto a eventuali accertamenti dell’Agenzia delle Entrate sia nell'ottica della definizione del procedimento disciplinare avviato a suo carico dall'Ordine Forense di appartenenza.

Per la S.C., i Giudici di Merito avevano correttamente valutato una serie di elementi che mostravano “l'accertato e diretto coinvolgimento del ricorrente in alcune non marginali iniziative strategiche del gruppo”, confermate dalla fideiussione personale da oltre 2 milioni di euro prestata dall'avvocato alla richiesta di modifica del bilancio, dai contatti con uno studio professionale per l'entrata di un nuovo socio alla proposta di nomina di un amministratore o del consulente incaricato di redigere il piano di risanamento.

In nuce, gli Ermellini, hanno inteso definire che i comportamenti posti in essere dal professionista, “travalicano l'ambito professionale del ruolo svolto dal ricorrente”, divenendo invece qualificabili come “una vera e propria compartecipazione alle attività gestionali del gruppo”.


STATUITI GLI INDICI SINTOMATICI PER INDIVIDUARE LA NATURA RETRIBUTIVA DELLE INDENNITA’ EROGATE PER LAVORO ESTERO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 24594 DEL 5 OTTOBRE 018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 24594 del 5 ottobre 2018, ha chiarito che al fine di stabilire la natura retributiva di un emolumento, in mancanza di una previsione espressa della contrattazione collettiva, come previsto dal secondo comma dell’art. 2120 del c.c., è necessario ricorrere ad elementi sintomatici.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Milano, in linea con la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano, riteneva che l’indennità di trasferimento era giustificata solo in presenza dell’effettivo cambio di residenza anagrafico, circostanza non avvenuta e che andava confermata l’esclusione di ogni incidenza sul TFR delle maggiorazioni retributive corrisposte al lavoratore per il servizio prestato all’estero. 

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno bacchettato i Giudici di merito ed accolto il ricorso.

Circa il primo motivo, hanno chiarito che il concetto giuridico di residenza anagrafica diviene irrilevante in presenza di un trasferimento all’estero e quindi la stessa norma contrattuale non può che conformarsi al principio di “effettiva residenza”.

Quanto al secondo motivo, in presenza di situazioni in cui non risultino univoche clausole contrattuali pattuite in vista del trasferimento, la natura retributiva o risarcitoria deve essere valutata in via induttiva attraverso indici sintomatici, ritenendoli come propri delle retribuzioni:

a) la continuità, periodicità ed obbligatorietà della somma corrisposta o del beneficio riconosciuto;

b) l'assenza di giustificativi di spesa;

c) la natura compensativa del disagio o della penosità della prestazione resa;

d) il rapporto di necessaria funzionalità' con la prestazione lavorativa;

e) la funzione di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro.

Separatamente, ha poi considerato quale indice sintomatico della natura retributiva il prelievo contributivo effettuato, ancorché quest’ultimo non possa ritenersi elemento decisivo.

 Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche  parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 22 Ottobre 2018