17 Ottobre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L’ACCORDO SINDACALE IN OCCASIONE DI CESSIONE DI AZIENDE IN CRISI NON PUO’ DEROGARE AL PASSAGGIO AUTOMATICO DI TUTTI I LAVORATORI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 25005 DEL 22 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 25055 del 22 agosto 2022, ha chiarito che, in caso di trasferimento di aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, l’accordo sindacale può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando, in caso di continuazione o mancata cessazione dell’attività, l’obbligo di trasferimento di tutti i lavoratori.

Occasione della pronuncia è stata l’espulsione di un dipendente, all’esito di licenziamento collettivo da parte di ALITALIA CAI, interessata da procedura di cessione d’azienda per accertata crisi aziendale.

In pieno contrasto con la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello aveva dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale disponendo la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro (chiaramente presso l’azienda cessionaria) ed il risarcimento pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per violazione dei criteri di scelta; difatti, il lavoratore aveva pienamente dimostrato di essere stato scartato per mancato riconoscimento dei titoli abilitativi da lui posseduti e, pertanto, l’azienda cessionaria non poteva accampare la sua esclusione, così come previsto dagli accordi sindacali conclusi durante la cessione. 

All’esito del giudizio di merito, la società cessionaria ricorreva in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 47, comma 4-bis, L. 428/1990, che invece consente di derogare al principio di mantenimento dei diritti dei lavoratori, ex art. 2112 c.c., in caso di trasferimento di aziende in crisi.

Per i Giudici di Piazza Cavour, tuttavia, l’interpretazione del comma 4-bis presenta una declinazione diversa: benché sia possibile derogare alle tutele previste dal Codice civile in ambito di trasferimento di aziende in crisi, l’accordo sindacale deputato alla salvaguardia dell'occupazione può prevedere deroghe –anche in peius– ma con riferimento alle condizioni di lavoro e non al trasferimento automatico dei dipendenti al cessionario.

L’orientamento della Cassazione, tra l’altro, muove dall’indirizzo dettato dalla Corte di Giustizia che ha messo in chiaro come la condizione di crisi aziendale non sia di per sé motivo economico per una riduzione dell’occupazione né motivo di licenziamento, dato che, a differenza di altre fattispecie – come procedure di liquidazione et similia in cui non è prevista una continuazione dell’attività – per la crisi aziendale, invece, l’obiettivo è proprio quello di favorirne una ripresa futura.
 

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE SORPRESO DALL’AGENZIA INVESTIGATIVA IN PALESTRA DURANTE L’ORARIO DI LAVORO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 25287/2022 DEL 24 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022, ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore sorpreso dall’agenzia investigativa a recarsi in palestra o a fare la spesa al supermercato durante l’orario di lavoro.

Nel caso in trattazione, infatti, un dipendente di un istituto bancario impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli per essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale, essendo stati registrati, mediante controlli effettuati da agenzia investigativa, incontri estranei all'area o sede di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all'attività lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede di lavoro. I Giudici di merito ritenevano legittimi i controlli effettuati per il tramite di un’agenzia investigativa in quanto la posizione lavorativa del dipendente di banca esige un più rigoroso rispetto dell'obbligo di fedeltà e dei correlati doveri di diligenza e correttezza. Le investigazioni, inoltre, erano state svolte nell'ambito delle indagini relative ad una collega sospettata di violazione dei permessi ex L. 104/1992. Del medesimo parere anche la Corte d’Appello che confermava la legittimità del licenziamento per motivi disciplinari.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 4, in relazione al controllo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna, osservando che detto controllo deve limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione da parte del lavoratore, non potendo sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dall'art. 3 dello Statuto dei lavoratori al controllo diretto del datore di lavoro e dei suoi collaboratori.

Gli artt. 2 e 3 della L.300/70, a tutela della libertà e della dignità del lavoratore, delimitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, ovvero per scopi di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell'attività lavorativa. La Corte Suprema chiariva che tali delimitazioni non precludono al datore di lavoro di effettuare i controlli mediante il ricorso all’ausilio di soggetti estranei, come ad esempio un’agenzia investigativa ma il controllo effettuato non può riguardare l'adempimento, o l’inadempimento, della prestazione lavorativa.

Secondo l’orientamento consolidato della Corte, il controllo esterno deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento della propria prestazione contrattuale di lavoro. Un’agenzia investigativa può dunque operare legittimamente purché non travalichi il potere di sorveglianza del datore di lavoro. Nel caso specifico dunque risultava erronea la decisione dalla Corte territoriale, poiché l'attività investigativa mediante controllo esterno, sebbene occasionata da un analogo e legittimo controllo operato nei confronti di un altro dipendente, essendo effettuato durante l'orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l'espletamento dell'attività lavorativa, finiva con l'incidere direttamente sull'attività stessa, andando quindi al di fuori dei limiti consentiti.

In conclusione, per lo svolgimento di attività di controllo sui lavoratori dipendenti il datore di lavoro può rivolgersi a soggetti terzi ma solo nei limiti relativi all’accertamento di eventuali illeciti. Il controllo esterno non può riguardare l’adempimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente, soggetto all’esclusivo potere di sorveglianza diretta del datore di lavoro.

Per questi motivi il ricorso veniva accolto e la sentenza impugnata annullata con rinvio.
 

NON SCATTA LA CONDANNA PER EVASIONE FISCALE A CARICO DEL CONTRIBUENTE CHE NON GIUSTIFICA I VERSAMENTI IN BANCA SOSPETTI.

CORTE DI CASSAZIONE – III SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 32027 DEL 31 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32027 del 31/08/2022, ha statuito che non scatta, in maniera automatica, la condanna per evasione fiscale a carico del contribuente che non giustifica i versamenti in banca sospetti, in quanto nel processo penale sono inutilizzabili le presunzioni sulle quali si fonda l’accertamento fiscale.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto il ricorso di un professionista che era stato condannato per omessa dichiarazione in quanto presenti sul suo conto bancario circa 250 mila euro di sconosciuta provenienza, ma le presunzioni sulle quali si fonda l'accertamento non sono utilizzabili nel processo penale in base al principio secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal Giudice Penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno evidenziato che non emerge una verifica di elementi oggettivi di riscontro rispetto alle emergenze dei dati bancari, e non vale a sorreggere il dato indiziario costituito dalle risultanze di dette indagini bancarie, il mero richiamo alla esclusione di talune entrate sulla base di previ criteri di irrilevanza, ai fini in esame delle stesse, né il silenzio serbato dal contribuente.

Pertanto, per i Giudici di Legittimità, non è consentito desumere dal silenzio dell'imputato sulla giustificazione di apparenti entrate reddituali, elementi o indizi di prova a suo carico, atteso che allo stesso è riconosciuto il diritto al silenzio e l'onere della prova grava sull'accusa. Inoltre, la negazione o il mancato chiarimento, da parte dell'imputato, di circostanze valutabili a suo carico nonché la menzogna o il semplice silenzio su queste ultime possono fornire al giudice argomenti di prova solo con carattere residuale e complementare e in presenza di univoci elementi probatori di accusa, non potendo determinare alcun sovvertimento dell'onere probatorio.

In nuce, per la S.C., in questa vicenda manca l'esistenza di quegli univoci elementi probatori di accusa, non potendo le risultanze derivanti dalle indagini bancarie, rappresentare da sole, una prova sufficiente.
 

LA COMPENSAZIONE DEI CREDITI IN VIOLAZIONE DELL'OBBLIGO DELL'APPOSIZIONE DEL VISTO DI CONFORMITA' NON CONFIGURA UNA VIOLAZIONE DI OMESSO VERSAMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 25736 DEL 1^ SETTEMBRE 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°25736 del 1^ settembre 2022 – ha statuito che la mancata apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti scaturenti dalle dichiarazioni annuali Iva è una violazione meramente formale e, come tale, non sanzionabile.

Nel caso de quo, la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta di accoglimento del ricorso avverso l'atto di recupero IVA 2011 emesso dall'A.d.E. per indebita compensazione di crediti in assenza della dichiarazione di conformità (id: visto di conformità) con conseguente irrogazione della sanzione ai sensi dell'art. 13, D.Lgs. n°471/97.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società contribuente, evidenziando la natura formale dell'errore occorso che, invero, non aveva alcuna incidenza sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ed ha ribadito che per configurare una violazione meramente formale occorre la contemporanea sussistenza di un duplice presupposto, ovvero che la violazione accertata "non comporti un pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell'imposta e sul versamento del tributo". Nel caso in specie, hanno continuato gli Ermellini, pur essendo pacifico che il contribuente aveva portato in compensazione un credito Iva maturato nel 2011 privo di "visto di conformità" (ragion per cui l'Ufficio aveva recuperato l'imposta), era altrettanto incontestata la titolarità da parte del contribuente del credito in questione. Pertanto, la mancata apposizione del visto, oltre a non costituire condotta frodatoria, non aveva arrecato alcun pregiudizio per le casse erariali.

La funzione del visto di conformità richiesto, attualmente per crediti superiori ad euro 5.000,00, per poter operare la compensazione dei crediti di imposta è, infatti, quella di assicurare un controllo anticipato della esistenza e spettanza del credito compensabile mediante l'attribuzione della relativa verifica ad un professionista abilitato.

L'inosservanza di tale adempimento è quindi inidonea a pregiudicare l'esercizio delle attività di controllo e di verifica della sussistenza del credito da parte dell'Ente accertatore. Essa è altresì inidonea ad incidere negativamente in danno del fisco sia sulla base imponibile dell'imposta sia sul versamento del tributo, in quanto, una volta accertata sul piano sostanziale l'esistenza del credito IVA e il conseguente diritto del contribuente di portarlo in compensazione, la mancata apposizione del visto si risolve in una infrazione puramente formale che non determina il venir meno di tale diritto.

Per questi motivi, hanno concluso gli Ermellini cassando la sentenza impugnata, contrariamente a quanto assunto dall'Agenzia, la compensazione dei crediti in violazione dell'obbligo dell'apposizione del visto non configura, sotto il profilo sanzionatorio, una violazione di omesso versamento.


IL TARDIVO DEPOSITO DI ATTI E DOCUMENTI A SEGUITO DI INVITO RENDE I DOCUMENTI INUTILIZZABILI IN SEDE AMMINISTRATIVA E IN CONTENZIOSO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 25964 del 02/09/2022

In tema di accertamento fiscale e di contenzioso tributario, la Corte di Cassazione ritiene – nuovamente – che i documenti richiesti al contribuente e non presentati nei termini stabiliti dagli Uffici Finanziari siano da considerarsi non utilizzabili né in sede amministrativa né in sede di contenzioso tributario.

E’quindi un punto nodale nell’attività di assistenza amministrativa e nella eventuale successiva fase di contenzioso, giacché potrebbe determinare, da sola, l’esclusione di circostanze che potrebbero costituire una valida difesa del contribuente nei confronti dell’azione di controllo dell’Amministrazione Finanziaria.

Il caso affrontato dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione riguarda una contribuente a cui l’Amministrazione Finanziaria, nell’esaminarne la posizione fiscale, aveva notificato in data 31.08.2012 un invito a comparire e a produrre la documentazione attestante la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA sugli acquisti, per le annualità 2007-2009, concedendo un termine di soli quindici giorni per l’esibizione e consegna della documentazione.

La contribuente non aveva ottemperato a tale invito, e ricevette, ad ottobre dello stesso anno, avviso di accertamento e rettifica per l’anno 2007. Solo a seguito di tale notifica la contribuente depositava, in data 5 dicembre 2012, la documentazione a supporto della regolarità delle proprie operazioni.

Tale comportamento è stato ritenuto idoneo, ai sensi dell'art. 51 D.P.R. n. 633/1972, e conformemente ai commi 3 e 4 dell’art.32 del D.P.R. 600/1973, a provocare l’esclusione di tale documentazione, a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, non avendo la contribuente dato conto delle ragioni per le quali la documentazione in oggetto è poi stata prodotta tardivamente.

Il comportamento del contribuente non è stato invero ritenuto conforme alla statuizione del comma 5 dell’art.32 del D.P.R. 633/1972, non avendo indicato, nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, giustificazioni idonee a ritenere il ritardo nell’adempimento non imputabile al contribuente, e ciò nonostante sia stato fatto notare che l’invito dell’Amministrazione Finanziaria avesse indicato il termine per la presentazione della documentazione nel termine minimo di giorni quindici dalla notifica dell’atto.

Ribadiscono quindi gli Ermellini il principio consolidato secondo cui “la mancata esibizione di atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento, nella fase amministrativa che abbia preceduto il giudizio, impedisce di prenderne in considerazione il contenuto a favore del contribuente e, in caso di tardivo deposito della stessa e di formulazione di tardività della produzione da parte dell'Ufficio, il contribuente è onerato, al fine di rendere inoperanti le cause di inutilizzabilità, della prova di circostanze in forza delle quali non ha potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile (Cass., Sez. V, 10 marzo 2021, n. 6617)”.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO
 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 17 Ottobre 2022