2 Novembre 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….


IN CASO DI MOBILITÀ VOLONTARIA EX ART. 30 T.U.P.I. IL LAVORATORE HA DIRITTO ALL’INQUADRAMENTO PREVISTO PER LA MANSIONE RICHIESTA DALL’AMMINISTRAZIONE DI DESTINAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 24487 DEL 10 SETTEMBRE 2021

Dall’intervenuto accoglimento della domanda di passaggio ad altra Amministrazione in relazione alla qualifica esposta nella domanda stessa, con inquadramento nella qualifica corrispondente, non discende il diritto per il dipendente ad ottenere, in ordine al rapporto di lavoro costituito su tale base, il superiore inquadramento neppure in ragione della qualifica superiore acquisita, nelle more del passaggio stesso, nell’Amministrazione di provenienza, atteso che il passaggio è chiesto ed avviene proprio in ragione di una disponibilità creatasi nell’organico dell’Amministrazione di destinazione, nella qualifica prevista” Questa la massima affermata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24487 del 10 settembre 2021.

Nel caso in esame un dipendente dell’ESRAM (Ente Regionale Sviluppo Agricolo Molise) inquadrato nella posizione D3 del c.c.n.l. Comparto Regioni-Autonomie Locali, a seguito di domanda proposta ex art. 30 del D.Lgs 165/2001, veniva trasferito all’INPS con inquadramento al livello C3 del c.c.n.l. Enti pubblici non economici. Il lavoratore, ritenendo errato l’inquadramento, agiva nei confronti dell’Istituto previdenziale per vedersi riconosciuto il superiore inquadramento al livello C4. La Corte di Appello confermava la decisione del Tribunale ordinario e respingeva la domanda proposta, ritenendo che il passaggio del lavoratore dall’Ente Regionale all'INPS non avesse comportato alcun detrimento sotto il profilo dell'inquadramento nè alcuna perdita retributiva o qualsivoglia danno. I Giudici, inoltre, richiamando alcune sentenze della Cassazione (ex multis Cass. n.19564 del 13 settembre 2006 e n. 503 del 12 gennaio 2011) evidenziavano come, in caso di passaggio tra Pubbliche Amministrazioni, al dipendente competa soltanto l'esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro e non il medesimo o equivalente inquadramento e che, nel caso specifico, il raffronto tra le mansioni proprie della categoria D e quelle della categoria C conferite presso l'Amministrazione di destinazione consentisse di ritenere corretto l'inquadramento praticatogli.

Il ricorrente, sostenendo che in caso di mobilità volontaria ex art. 30 T.U.P.I. si realizza un'ipotesi di cessione del contratto, affermava che il lavoratore ceduto ha diritto al corretto inquadramento e, per il futuro, alla disciplina giuridica ed economica dell'amministrazione cessionaria, proponeva ricorso in Cassazione. La Corte Suprema ricordava che il passaggio da un’Amministrazione ad un’altra avviene per ricoprire posti vacanti in una determinata mansione nell’organico dell’Amministrazione di destinazione e, pertanto, dall'accoglimento della domanda di passaggio ad altra Amministrazione non poteva discendere il diritto per il dipendente ad ottenere un inquadramento superiore neppure nel caso in cui la qualifica superiore fosse stata acquisita, nelle more del passaggio stesso, nell'Amministrazione di provenienza. Nella fattispecie, la domanda di mobilità volontaria era stata proposta per ricoprire un posto di livello C3 vacante in organico presso l'INPS, rendendo infondata la pretesa di vedersi attribuito l'inquadramento in C4. Per questi motivi, il Collegio rigettava il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

IN TEMA DI CONCORSO DI PERSONE NEL REATO, OVE UN SOLO CONCORRENTE ABBIA PROVVEDUTO ALL'INTEGRALE RISARCIMENTO DEL DANNO, LA RELATIVA CIRCOSTANZA ATTENUANTE NON SI ESTENDE AI COMPARTECIPI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 35225 DEL 23 SETTEMBRE 2021.

La Corte di Cassazione – ordinanza n° 35225 del 23 settembre 2021 – ha confermato, in tema di concorso di persone nel reato per falsa fatturazione che i benefici penali conseguenti al pagamento del debito tributario, eseguito dal soggetto che ha ricevuto le false fatture, non si estendono anche a chi ha emesso i documenti.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Milano aveva ritenuto integrati i reati contestati ex artt. 2 e 8, D.Lgs. n°74/2000, fondati sulla emissione e utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti su accordo economico intervenuto tra due imprese sulla scorta di un contratto di agenzia avente ad oggetto l'incarico di promuovere contratti di vendita di spazi pubblicitari su reti televisive. La Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, concedeva altresì, al rappresentante dell'impresa utilizzatrice le circostanze attenuanti ex art. 13 bis del D.Lgs. citato giacché aveva definito il proprio contenzioso con l'Erario, mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'impresa emittente le fatture ritenute oggettivamente false eccependo, tra gli altri motivi, violazione di legge in relazione alla mancata estensione della concessione della circostanza attenuante ex art. 13 bis del D.Lgs n° 74/200, pur in presenza della prova che il debito tributario era stato estinto dalla società che aveva ricevuto le fatture.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che, in tema di circostanze, l'art. 13 bis, prevede: "fuori dai casi di non punibilità", il riconoscimento di una diminuzione di pena fino alla metà e la non applicazione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie. In tema di reati tributari commessi da più persone in concorso fra loro, hanno continuato gli Ermellini, ove uno solo dei concorrenti abbia provveduto all'integrale pagamento degli importi dovuti all'Erario, la circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà riparatoria, consistente nel contribuire, anche parzialmente, all'adempimento del debito tributario

In conclusione, hanno evidenziato gli Ermellini,  è canone interpretativo comune delle norme penali che le condotte in esse previste debbano essere connotate da volontarietà, quindi, la locuzione  "sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti", riferito ai debiti tributari, cui si riferisce l'art. 13-bis, per integrarsi, non può consistere solo nella sussistenza dell'evento, ma deve comprendere una volontà riparatoria che, nel caso in specie, non è consistita  in termini di contribuzione al pagamento del debito tributario.

IL FALLITO NON PUO’ CONTESTARE L’OMESSA NOTIFICA DELL’ATTO IMPOSITIVO ALL’EX AMMINISTRATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 26506 DEL 30 SETTEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.26506 del 30/09/2021, ha statuito che il diritto di difesa dell’ex amministratore fallito può avere luogo esclusivamente se il curatore è inerte.

Il caso di specie riguarda un ex amministratore di una SRL, poi fallita, che lamentava un vizio di notifica degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per maggiori importi dovuti a fini Irap e Iva indirizzati e notificati ritualmente al solo al curatore del Fallimento.

In particolare, il contribuente contestava la mancata notifica in proprio favore, quale ex rappresentante legale della società, sostenendo che sussistesse, in proposito, una fattispecie di litisconsorzio necessario, ed i presupposti della pretesa fiscale, si erano determinati in anticipo rispetto alla declaratoria fallimentare mentre la notifica degli atti impositivi era avvenuta posteriormente ad essa.

Ex adverso, con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato in toto le doglianze dell’ex amministratore, evidenziando come il contribuente, persona fisica, che resti esposto ai riflessi, anche sanzionatori, conseguenti alla definitività dell'atto impositivo notificato, come nella specie, al curatore successivamente alla dichiarazione di fallimento, è abilitato a impugnare gli atti esclusivamente in via eccezionale.

Per gli Ermellini, infatti, l'esercizio del diritto di difesa del contribuente è infatti condizionato all'inerzia degli organi della procedura fallimentare, ma nel caso in esame, nessuna inerzia era stata specificamente allegata ovvero provata, anzi, non era in alcun modo configurabile, avendo il curatore impugnato gli avvisi notificatigli.

In nuce, la S.C., ha affermato il seguente principio di diritto: "In tema di fallimento di società di capitali, qualora il curatore non rimanga inerte, bensì impugni l'atto impositivo inerente a crediti tributari i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, non consta alcun residuo interesse del fallito a dolersi dell'omessa notifica dell'avviso di accertamento al fine di contestarlo".

RIENTRO IN SERVIZIO, RISULTANTE DA ALTRA ATTIVITÀ SVOLTA DURANTE IL PERIODO DI MALATTIA, MOTIVA IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 26709 DEL 1° OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 26709 del 1° ottobre 2021 ha (ri)statuito che sono due le ipotesi in cui lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per malattia possono comportare licenziamento per giusta causa in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.).

La prima ipotesi si sostanzia laddove tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando quindi, una simulazione fraudolenta; parimenti, il recesso del datore di lavoro è ugualmente legittimo e sorretto da giusta causa qualora tale attività esterna, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare/ritardare anche solo potenzialmente la guarigione e/o il rientro in servizio.

Il caso esaminato ha riguardato un licenziamento intimato dal datore di lavoro al lavoratore subordinato per aver tenuto, durante il periodo di malattia, uno stile di vita non compatibile (spostamento di pesanti sacchetti di terriccio) con la patologia (lombosciatalgia acuta) che lo affliggeva e idoneo a pregiudicarne il rientro a lavoro.

In linea con il Tribunale prima e con la Corte distrettuale poi, in forza delle conclusioni rassegnate dal CTU, gli Ermellini si sono pronunciati a favore della legittimità del licenziamento, essendosi il lavoratore sottoposto a sforzi tali da ritardare -anche solo potenzialmente- il rientro in servizio. Assoluta irrilevanza è stata conferita alla tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE PER LA PUBBLICAZIONE SULLA PAGINA PERSONALE FACEBOOK DI COMMENTI OFFENSIVI NEI CONFRONTI DEL DATORE DI LAVORO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 27939 DEL 13 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n. 27939 del 13 ottobre 2021, statuisce la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato a causa della grave insubordinazione del dipendente, manifestata attraverso commenti ingiuriosi nei confronti dei vertici aziendali.

Nel caso in oggetto, il lavoratore impugnava il licenziamento disciplinare irrogato a causa della pubblicazione di un commento nella sua pagina personale Facebook, ritenuto offensivo e sprezzante nei confronti dei suoi superiori e dei vertici aziendali.

I Giudici di merito rigettavano il ricorso del dipendente, ritenendo che la sua condotta rappresentasse una grave insubordinazione dalla quale era derivata una lesione irrimediabile del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro, anche in considerazione delle mansioni svolte dal dipendente in azienda, da cui sarebbe scaturita la decisione del datore di lavoro di comminare la massima sanzione, quella del licenziamento. Contro la decisione della Corte d’Appello, il lavoratore ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte d’Appello, afferma che la condotta tenuta dal ricorrente rappresenta la manifestazione di una grave insubordinazione. A tal proposito i Giudici di legittimità sottolineano che la nozione di insubordinazione deve essere intesa in senso ampio, non quindi come il mero rifiuto del lavoratore di svolgere le proprie mansioni, ma come la condotta capace di pregiudicare la corretta esecuzione ed il regolare svolgimento della prestazione lavorativa sulla base delle direttive impartite dal datore di lavoro. Orbene, i commenti e le critiche resi oltre l’obbligo di correttezza dei modi, rappresentano un potenziale pregiudizio per l’ordine aziendale, che trova il suo fondamento anche nel ruolo autorevole dei suoi dirigenti, minato, nel caso in oggetto, dalle parole ingiuriose utilizzate dal lavoratore. Non rappresenta valido motivo di contestazione il fatto che il commento fosse destinato alla comunicazione riservata con i propri conoscenti e quindi non avesse alcun valore denigratorio. Infatti, nel caso in esame, non sono applicabili i principi di libertà e segretezza della corrispondenza privata contenuti nell’art. 15 della Costituzione, in quanto le esigenze di tutela costituzionalmente garantite possono essere estese ai messaggi inviati in chat private, i cui contenuti sono destinati esclusivamente agli iscritti ad esse, ma non ai commenti pubblicati attraverso la pagina Facebook personale, mezzo idoneo, a parere della Corte, a determinare la diffusione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 2 Novembre 2021