24 Ottobre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

REATI TRIBUTARI E RESPONSABILITA’ DEL PROFESSIONISTA: POSSIBILE IL SEQUESTRO DEI BENI

CORTE DI CASSAZIONE PENALE – SENTENZA 27698 del 15/07/2022

La Corte di Cassazione Penale, nella sentenza indicata, ha ritenuto conforme a legge la disposizione del sequestro per equivalente nei confronti del professionista che abbia agevolato il comportamento fraudolento di un contribuente finalizzato all’evasione dell’IVA e delle Imposte Dirette.

Il caso in esame riguarda una frode nel settore della compravendita di autoveicoli di importazione, a seguito della quale era stata accertata l’evasione di IVA e Imposte Dirette per quasi 1 milione di euro.

Secondo la ricostruzione della vicenda il professionista aveva proceduto a registrate fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che avevano consentito nelle dichiarazioni IVA per gli anni 2017 e 2018 di evadere l’IVA, ma anche ad omettere valori positivi in bilancio per un valore di oltre 4 milioni di euro, consentendo un’evasione pari ad oltre 930.000 euro.

Era stato quindi disposto anche nei confronti del professionista un decreto di sequestro per equivalente, giacché dalle indagini era emerso che il professionista, che si era difeso eccependo la mancata consapevolezza delle operazioni inesistenti, e quindi l’assenza del dolo, era invece stato parte attiva nella predisposizione delle condotte fraudolente: difatti, dall’analisi delle conversazioni avute con il cliente, era stato acclarato che proprio lui aveva suggerito di creare una società cartiera, provvedendo, tra l’altro, anche all’iscrizione al VIES, pur consapevole della fittizietà delle operazioni che sarebbero state poste in essere.

Sussistono quindi anche per lui, secondo la Corte di Cassazione, motivazioni sufficienti all’applicazione dell’art.12/bis del D.Lgs 74/2000 sul sequestro per equivalente in dipendenza di un reato tributario.

LE SANZIONI DELLE CARTELLE ESATTORIALI NON SI TRASMETTONO AGLI EREDI PER LA LORO NATURA PERSONALE ED AFFLITTIVA

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. V – SENTENZA N. 25315 DEL 24 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.25315 del 24/08/2022, ha statuito che le sanzioni delle cartelle esattoriali non si trasmettono agli eredi per via della loro natura personale ed afflittiva, differenziandosi dalle sanzioni civili le quale hanno un carattere aggiuntivo rispetto alle obbligazioni cui sono collegate e quindi trasmissibili.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour hanno risolto un caso di opposizione a cartella esattoriale di natura tributaria da parte di una contribuente che riteneva di aver già pagato il quantum richiesto, ma che veniva meno nel corso del procedimento, e gli eredi riassumevano la causa.

I Giudici del Palazzaccio accoglievano le doglianze fondate sulla legittimità dell'applicazione delle sanzioni, che come già dispone la normativa presente nel Dlgs n.472/1997, queste non sono trasmissibili agli eredi.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, hanno illustrato un excursus giurisprudenziale tendente a spiegare come le sanzioni abbiano una species aggiuntiva rispetto al rapporto obbligatorio e siano “destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l'obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l'inadempimento”. Di diversa natura invece quelle tributarie che hanno una fisionomia più vicina a quelle penali per il loro carattere di afflittività.

In nuce, per la S.C., “le sanzioni amministrative, di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689, e quelle tributarie, di cui alla legge n. 472 del 1997, hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro”, e pertanto, stante il carattere di personalità della sanzione tributaria questa, con la morte del reo, non può essere trasmessa ad altri.

IL LAVORO PRESTATO IN UN GIORNO FESTIVO SENZA RIPOSO COMPENSATIVO DA’ DIRITTO ALLA MAGGIORAZIONE MA NON AL RISARCIMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 25336 DEL 25 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25336 del 25 agosto 2022, ha statuito che al lavoratore che abbia prestato servizio anche in un giorno festivo infrasettimanale, non godendo del riposo compensativo settimanale, spetta la maggiorazione per il lavoro festivo ma non il risarcimento per il danno da usura psico-fisica.

Nel caso in trattazione, infatti, un vigile urbano agiva nei confronti del Comune datore di lavoro per ottenere il risarcimento per un presunto danno da usura psico-fisica subito per aver lavorato anche in un giorno festivo infrasettimanale e, conseguentemente, non aver fruito del riposo compensativo. I Giudici di primo grado accoglievano la tesi proposta dal lavoratore e condannavano l'Ente locale al pagamento del risarcimento del danno per l'attività svolta in giorno festivo infrasettimanale senza fruire di riposo compensativo.

La Corte d’Appello accoglieva il gravame proposto dal Comune osservando che in caso di prestazione resa in giornata festiva infrasettimanale o in giornata domenicale, i dipendenti che svolgono la prestazione lavorativa con il sistema dei turni possono rivendicare unicamente il trattamento retributivo previsto dall’art. 22 del contratto collettivo applicato, che compensa interamente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell'orario. Inoltre, i giudici evidenziavano che, quanto al godimento del riposo settimanale, il lavoratore aveva solo accennato al mancato riposo ma non aveva introdotto la questione specifica dello sforamento del termine bimestrale previsto dalla contrattazione collettiva, né indicato quali giornate domenicali non fossero state recuperate.

Avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva in Cassazione lamentando la violazione del CCNL, l’errata valutazione della Corte territoriale nel ritenere non cumulabili le maggiorazioni previste dagli artt. 22 e 24 del CCNL nonché di aver espressamente dedotto di aver superato l’ordinario orario di lavoro. Gli Ermellini sottolineavano che la disciplina dettata dal contratto collettivo prevede un'indennità utile a compensare interamente il disagio derivante dalla particolare articolazione dell'orario di lavoro, a condizione però che venga rispettato il limite massimo settimanale, di conseguenza l'applicazione dell'art. 24 dello stesso contratto, che riguarda l'attività prestata in giorno festivo, resta limitata ai casi in cui si verifichi un'eccedenza rispetto al normale orario di lavoro assegnato al turnista, ossia qualora, in via eccezionale ovvero occasionale, al lavoratore venga richiesto di prestare la propria attività nella giornata di riposo settimanale che gli compete in base al turno assegnato. Nel caso specifico la corresponsione al vigile urbano della maggiorazione prevista per il disagio derivante dall'orario di lavoro, era stata accertata, quindi, era escluso che il compenso potesse sommarsi con quello previsto per l'attività prestata in giorno festivo infrasettimanale e per la mancata fruizione del giorno festivo, poiché la prestazione nel giorno festivo era stata resa nel rispetto dei turni programmati e senza che si fosse verificata un'eccedenza rispetto all'orario complessivo settimanale.

Relativamente al presunto danno da usura psico-fisica connesso al godimento del riposo oltre il settimo giorno di lavoro, invece, i Giudici chiarivano che nessuna norma impone che il godimento del riposo (che deve essere assicurato in ragione di un giorno su sette) debba anche avvenire sempre nel settimo giorno consecutivo. Ciò smentiva in toto la tesi secondo cui il mancato rispetto dell'intervallo temporale sarebbe sufficiente a generare un danno da usura psico-fisica ed il conseguente risarcimento. I Giudici, infatti, sottolineavano che qualora “la fruizione del riposo avvenga oltre il settimo giorno, ma nel rispetto della disciplina contrattuale e normativa inerente alla specifica organizzazione del tempo di lavoro, al lavoratore, ferma la necessità di assicurare il riposo compensativo, per l'attività lavorativa svolta nel settimo giorno sarà dovuta solo la maggiorazione del compenso prevista dalle parti collettive, in ragione della maggiore gravosità del lavoro prestato”. La risarcibilità del danno da usura psico-fisica presuppone, invece, che la prestazione nel settimo giorno sia stata resa in assenza di previsioni legittimanti ed in violazione della Costituzione e del Codice Civile, laddove stabiliscono che il lavoratore ha diritto a un giorno di riposo settimanale, poiché solo in tal caso la perdita definitiva del riposo settimanale è di per sé produttiva di danno, che può essere liquidato in via equitativa, a prescindere dalla prova del pregiudizio subito dal lavoratore.

I REDDITI DI CAPITALI DERIVANTI DALLA MERA PARTECIPAZIONE ALLA SOCIETÀ NON SI COMPUTANO NELLA BASE IMPONIBILE A FINI CONTRIBUTIVI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 25341 DEL 25 AGOSTO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 25341 del 25 agosto 2022, in ordine alla distinzione tra redditi di impresa e redditi di capitali, ha ribadito come questi ultimi, derivanti dalla mera partecipazione al capital della società senza prestazione di attività lavorativa, non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.

Il caso esaminato ha riguardato la pretesa da parte dall’Istituto di previdenza sociale – respinta sia in primo che in secondo grado – di contributi non versati alla Gestione Artigiani e relativi ai redditi di partecipazione alla società di capitali nella quale il socio in questione non svolgeva alcun tipo di prestazione lavorativa.

La decisione degli Ermellini, in accordo con la Corte di Appello di Firenze, non ha fatto altro che dare continuità ad una giurisprudenza ormai consolidata secondo cui le disposizioni ex art 3-bis del decreto-legge n. 384/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 438/1992, individuano la base imponibile dell’obbligazione contributiva per i soggetti iscritti alle Gestioni speciali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali nei redditi di impresa e, poiché dalla partecipazione a società di capitali senza prestazione di attività lavorativa derivano redditi di capitali, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.

PER EVITARE L'ACCERTAMENTO SINTETICO NON E' SUFFICIENTE LA PRESENZA DI MOVIMENTI BANCARI E LA MERA TRACCIABILITA' DEGLI STESSI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.26489 DEL 8 SETTEMBRE 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°26489 del 8 settembre 2022 – ha (ri)confermato, in tema di accertamento sintetico e onere della prova che il contribuente deve dimostrare non solo la "coincidenza temporale" ma anche la "durata" del possesso delle somme che hanno consentito la maggior capacità contributiva per far fronte alle spese rilevate in sede accertamento. 

Nel caso de quo,  un contribuente impugnava un avviso di accertamento sintetico ex art. 38, comma 4, DPR n°600/1973, sostenendo che la capacità di spesa risultante dalla documentazione bancaria acquisita e sulla quale si era basato l'accertamento sintetico era giustificabile in forza di corresponsioni (incasso di crediti) effettuate da una società, della quale era stato amministratore e la moglie era stata socia; la CTP accoglieva il ricorso della parte contribuente ma la CTR accoglieva l'appello dell'Agenzia delle Entrate affermando che la mera tracciabilità delle rimesse invocate dal contribuente non era sufficiente per evitare l'accertamento,  essendo invece necessaria la prova dei titoli dei trasferimenti oggetto dei ricordati movimenti, occorrendo la prova documentale di ulteriori elementi al fine di ancorare a fatti oggettivi la disponibilità di tali redditi.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente, evidenziando di aver dimostrato che la disponibilità di denaro nel conto corrente suo e della moglie proveniva da bonifici effettuati in loro favore nell'anno oggetto di accertamento.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso ed ha ribadito che – in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell'art. 38, comma 6, DPR n°600/73 – la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità' di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati per un significativo arco temporale compatibili con gli incrementi patrimoniali verificatisi ma anche la dimostrazione di circostanze sintomatiche che ne denotino l'utilizzo per effettuare proprio le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della "durata" del relativo possesso.

Pertanto, hanno continuato gli Ermellini, l'art. 38 citato, richiede  qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, occorrendo che il contribuente dimostri che debba escludersi che i suddetti redditi siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertati, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati.

Occorre, in definitiva, che il contribuente dimostri non solo la "coincidenza temporale" tra la disponibilità della somma (ulteriore) e il pagamento (oggetto dell'accertamento), ma anche la "durata" del possesso, ossia la prova che non vi sia stata soluzione di continuità nella disponibilità della somma dal momento in cui tale disponibilità è stata conseguita e quello dell'esborso patrimoniale. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 24 Ottobre 2022