20 Novembre 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI OTTOBRE 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Ottobre 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Ottobre 2017 è pari a 1,698654 e l’indice Istat è 100,90.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE SVOLGE ALTRA ATTIVITA' LAVORATIVA DURANTE IL PERIODO DI ASSENZA A SEGUITO DI UN INFORTUNIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26481 DELL’8 NOVEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 26481 dell’8 novembre 2017, ha statuito che lo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di assenza dal lavoro a seguito di un infortunio può legittimare il licenziamento per giusta causa.

Nel caso in disamina, un subordinato veniva licenziato, all'esito del procedimento disciplinare normato dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, per essere stato “pizzicato” a svolgere delle attività lavorative durante un periodo nel quale era assente dal suo consueto lavoro a seguito di un infortunio.

Avverso il provvedimento espulsivo, il prestatore adiva la Magistratura sostenendo che tale attività lavorativa, espletata durante il periodo di assenza, non aveva comportato pregiudizi per la corretta guarigione. I Giudici, sia di I° grado che di Appello, rigettavano il ricorso ritenendo non acquisita la prova del paventato mancato pregiudizio alla normale guarigione.

Il dipendente ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum dei gradi di merito, hanno nuovamente evidenziato che è onere del prestatore dimostrare che l'eventuale attività espletata durante l'assenza dal lavoro (nel caso di specie per infortunio) non abbia comportato pregiudizio al normale decorso della guarigione clinica.  

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il dipendente non aveva fornito alcuna dimostrazione della ininfluenza dell'attività posta in essere sulla normale guarigione, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità del licenziamento irrogato.

 

NELL'AMBITO DEL PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE EX ART. 7 LEGGE N° 300/70 NON E' SANCITO L'OBBLIGO PER IL DATORE DI LAVORO DI METTERE A DISPOSIZIONE DEL LAVORATORE LA DOCUMENTAZIONE RELATIVA AGLI ATTI CONTESTATI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 23408 DEL 3 OTTOBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 23408 del 3 ottobre 2017, ha (ri)confermato, in tema di procedura per il licenziamento disciplinare, che la legge n° 300/70, art. 7, non prevede l'obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati.

Nel caso in esame, la Corte di Appello di Milano  rigettava il gravame interposto da un lavoratore avverso la pronuncia mediante la quale il locale Giudice del lavoro aveva respinto la domanda del medesimo volta ad invalidare il licenziamento intimato, previa contestazione disciplinare, da parte del datore di lavoro ed avente ad oggetto attività di concorrenza sleale posta in essere dal dipendente insieme alla moglie, impiegando allo scopo anche la denominazione aziendale; il tutto previa audizione personale richiesta dall'incolpato. Secondo la Corte distrettuale, i motivi di doglianza addotti dal lavoratore non apparivano condivisibili, infatti, la contestazione disciplinare era idonea alla comprensione dei fatti addebitati ed esaustiva per l'eventuale esercizio della difesa. Nè poteva attribuirsi alcuna rilevanza alla invocata mancata rappresentazione, da parte del datore, della documentazione, ed in particolare dei messaggi di posta elettronica, sulla base della quale i comportamenti in questione erano stati dalla stessa accertati.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore per il fatto che parte datoriale aveva prodotto soltanto in sede di costituzione in giudizio tutte le e-mail sulle quali si fondava la contestata concorrenza sleale, asseritamente provenienti dall'incolpato, omettendo di metterle a disposizione in sede di audizione prima del licenziamento.

 Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso ritenendo infondati i motivi. In particolare, la Suprema Corte ha riconfermato il principio affermato dalla giurisprudenza secondo cui la L. n° 300 del 1970, art. 7 non prevede, nell'ambito del procedimento disciplinare, l'obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento irrogato all'esito del procedimento suddetto, l'ordine di esibizione della documentazione stessa. Con l'ulteriore precisazione che, il datore di lavoro, in base ai principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, è però tenuto ad offrire in consultazione i documenti aziendali all'incolpato che ne faccia richiesta, laddove l'esame degli stessi sia necessario per predisporre un'adeguata difesa.                                                                            

Ebbene, hanno concluso gli Ermellini, nel caso di specie non risultava che il lavoratore avesse specificamente e tempestivamente fatto espressa richiesta della documentazione in parola nel corso del procedimento disciplinare, laddove e al contrario, era emerso, tenuto conto della audizione personale richiesta dal diretto interessato, che in quella occasione era stato ampiamente reso edotto pure delle fonti di accusa a suo carico, quindi fornendo le proprie giustificazioni in merito.

 

E’ VALIDO IL RICORSO IN APPELLO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE ANCHE SE NOTIFICATO AL MESSO COMUNALE L’ULTIMO GIORNO UTILE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 25795 DEL 30 OTTOBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 25795 del 30 ottobre 2017, ha statuito che è pienamente valido il ricorso in appello presentato dall’Agenzia delle Entrate anche se la notifica al contribuente perviene fuori termine, purché il plico sia stato consegnato nei termini al messo notificatore, anche se ultimo giorno utile.

Nel caso in specie, una società cooperativa aveva presentato ricorso contro delle cartelle esattoriali riguardanti IVA omessa. Sia in primo grado che in secondo grado la società risultava vittoriosa. In particolare la C.T.R. osservava che l'appello dell’Agenzia delle Entrate doveva considerarsi tardivo, poiché ricevuto dal destinatario difensore domiciliatario della società oltre il termine utile di cui per legge.

Avverso la suddetta decisione negativa l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione deducendo come motivo unico violazione/falsa applicazione degli artt. 3, 14 della legge 890/1982, e art. 16, commi 2, 3, 4, 5, del D.lgs. 546/1992, e 149, cod. proc. civ., poiché la CTR non ha considerato che il plico in busta chiusa contenente l'atto di appello era stato consegnato al messo notificatore speciale entro l’ultimo giorno utile.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate hanno ribadito alcuni principi di diritto espressi dalla giurisprudenza della stessa Corte, ovvero che:

  • “In tema di contenzioso tributario, l'art. 16 del D.lgs. n. 546 del 1992 ha natura di norma generale e regola le modalità delle notificazioni degli atti del processo tributario, dettando una disciplina speciale sia per il contribuente sia per gli organi dell'Amministrazione tributaria; il comma quarto della cit. disposizione ha per oggetto solo atti dell'Amministrazione tributaria, prevedendo un'ulteriore modalità di notificazione a disposizione degli uffici pubblici, che consiste nella possibilità di avvalersi di messi comunali o di messi autorizzati. Tale regola, per ragioni, non tanto letterali, quanto logiche e sistematiche, si applica anche alla notificazione del ricorso in appello” (Cass. n. 26053/2015);
  • “In tema di contenzioso tributario, ai fini della regolare proposizione dell'appello, la notifica tramite il messo, ai sensi dell'art. 16, comma 4, del D.lgs. n. 546 del 1992, equivale integralmente a quella effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario, sicché, in caso di omesso deposito della copia dell'appello presso la segreteria della commissione tributaria provinciale, non opera la comminatoria d'inammissibilità di cui all'art. 53, comma 2, del D.lgs. n. 546 del 1992, che si riferisce alle semplici raccomandate previste dall'art. 16, comma 3, del citato decreto, trovando applicazione la regola di cui all'art. 123, comma 1, disp. att. c.p.c., in virtù della quale l'ufficiale giudiziario, e quindi anche il messo notificatore, è onerato di dare immediato avviso scritto dell'avvenuta notificazione dell'appello al cancelliere del Giudice che ha reso la sentenza impugnata” (Cass.n.14273/2016).

In nuce, per i motivi suddetti, l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate è risultato valido e consegnato tempestivamente al messo, anche se pervenuto al contribuente oltre i termini, per cui la sentenza della C.T.R. è stata cassata e rinviata ad altra Commissione regionale.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE VIOLA DOVERI FONDAMENTALI DEL RAPPORTO DI LAVORO ANCHE IN ASSENZA DELLA PREVENTIVA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26682 DEL 10 NOVEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 26682 del 10 novembre 2017, ha (ri)statuito che anche in assenza della preventiva affissione del codice disciplinare è pienamente legittimo il licenziamento del dipendente che viola doveri fondamentali del rapporto di lavoro.

Nel caso in disamina, un lavoratore, all'esito del procedimento sancito dall'art. 7 della L. n° 300/70 veniva licenziato per giusta causa per aver, fra l'altro, inviato svariate mail contenenti espressioni fortemente offensive nei confronti del legale rappresentante della società datrice di lavoro e di altri subordinati.

Avverso il provvedimento espulsivo, il prestatore adiva la Magistratura affermando sia che l'acquisizione delle mail da parte del datore di lavoro fosse avvenuto con modalità illecite sia la mancata affissione del codice disciplinare.

Soccombente in Appello, dopo il soddisfo ottenuto in I° grado, il dipendente ricorreva in Cassazione.

Orbene, i Giudici dell'Organo di nomofilachia, nel confermare integralmente il deliberato della Corte territoriale, hanno nuovamente evidenziato che laddove il comportamento posto in essere dal dipendente si palesi in una violazione dei doveri fondamentali che regolano il rapporto di lavoro, l'atto di recesso datoriale è pienamente legittimo anche in assenza del codice disciplinare.  

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il dipendente aveva inviato molteplici messaggi di posta elettronica utilizzando espressioni fortemente ingiuriose sia nei confronti dell'amministratore che di altri dipendenti, e che i messaggi erano stati acquisiti dal datore di lavoro nel pieno rispetto delle procedure aziendali, ben note a tutti i prestatori, che prevedevano la copia di tutti i dati contenuti nei computer, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato.

 

IL TARDIVO O MANCATO INVIO DEL CERTIFICATO MEDICO DETERMINA UN’ASSENZA INGIUSTIFICATA E LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26465 DELL’8 NOVEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 26465 dell’8 Novembre 2017, ha statuito che, a prescindere dallo stato di malattia certificato, la mancata o tardiva comunicazione, come previsto dal contratto collettivo, equivale ad assenza ingiustificata.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Perugia, a riforma del Tribunale di primo grado, riteneva legittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore che aveva omesso di comunicare lo stato di malattia, situazione contrattualmente paragonata ad assenza ingiustificata, a prescindere dall’effettivo stato di malattia.

Nel caso di specie, il lavoratore risultava ammalato dal 27 agosto al 9 settembre 2011, stato di malattia confermato dalla visita domiciliare Inps del 2 settembre 2011. In ogni caso, il 28 agosto 2011, con la continuazione dello stato di malattia, il lavoratore aveva omesso di trasmettere copia della relativa certificazione medica. Il (presunto) fax che il lavoratore assumeva aver inviato era stato valutato come inutilizzabile dal Giudice in quanto la data non era attendibile perché indicava una data risalente al 2006.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare l’iter logico giuridico dei Giudici di merito, hanno inteso ripercorrere quanto le parti sociali hanno stabilito, ossia il lavoratore è tenuto ad avvertire l’azienda entro il primo giorno di malattia ed inviare il certificato entro i due successivi (situazione superata dal 2013 con comunicazione del solo protocollo), lo stesso dicasi per la prosecuzione dello stato di malattia. Dunque, la ratio della norma contrattuale è quella di consentire al datore di lavoro una conoscenza tempestiva affinché possa organizzarsi in tempo utile. Ne consegue che, per tardive le comunicazioni inferiori a 4 giorni è applicabile la misura conservativa, mentre nelle ipotesi in cui si travalichino i 4 giorni è corretto applicare una misura espulsiva, considerando il lavoratore assente ingiustificato a prescindere dallo stato di effettiva malattia.

Ad maiora
IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 20 Novembre 2017