15 Novembre 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

NELL’AMBITO DELLE PROCEDURE DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO È NECESSARIO IL RISPETTO DEL CRITERIO DELLE QUOTE ROSA

SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE N. 26454 DEL 29 SETTEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n.26454 del 29 settembre 2021, ha statuito il rispetto delle quote rosa durante lo svolgimento di procedure di licenziamento collettivo.

Nel caso de quo i Giudici di merito rigettavano il ricorso presentato dal lavoratore avente ad oggetto  l’impugnazione del licenziamento irrogato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo per sovradimensionamento strutturale, statuendo che la mancanza di informazione circa il criterio di scelta delle quote rosa lamentato dal ricorrente, rappresentava, più che un criterio di scelta del personale da licenziare, un limite imposto dalla legge, che pertanto non era incluso nel novero delle informazioni da inserire nella comunicazione inziale a pena di illegittimità della procedura. Infatti, come affermato dalla Corte Distrettuale, solo dopo aver individuato i criteri di scelta da applicare potrebbe essere fornita indicazione circa la percentuale di manodopera femminile da mantenere in servizio.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte afferma che, come già statuito in precedenti pronunce, l’art. 5 comma 2 della Legge n. 223/1991 deve essere interpretato secondo il tenore letterale della norma, quale elemento di interpretazione prioritario secondo quanto stabilito dall’art. 12 Preleggi.

Da questo deriva che il confronto da operare in merito al personale oggetto di licenziamento deve essere circoscritto con riferimento alle mansioni che sono oggetto di riduzione del personale, al fine di assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati. Oltretutto, la disposizione secondo la sua interpretazione letterale non prevede una comparazione fra numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo la collocazione in mobilità, al contrario il dettato normativo impone la verifica della percentuale delle donne e successivamente di mettere in mobilità un numero di dipendenti nel quale la componente femminile non deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata. Su tali presupposti la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore.


LEGITTIMO E NON SANZIONABILE IL RIFIUTO DEL DIPENDENTE DI SVOLGERE UN COMPITO AFFIDATOGLI SE QUESTO NON È SICURO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 28353 DEL 15 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 28353 del 15 ottobre 2021 ha ritenuto legittimo e non sanzionabile il comportamento di un lavoratore che si era rifiutato di svolgere il compito affidatogli con tanto di ordine scritto, in quanto da lui reputato non sicuro per sé stesso e gli altri.

Nel caso in esame due macchinisti di Trenitalia venivano sanzionati dall’azienda con la sospensione per tre giorni dal lavoro e dalla retribuzione per essersi rifiutati, pur avendo ricevuto un ordine di servizio scritto, di condurre un treno merci senza un altro macchinista o almeno un agente abilitato alla guida a bordo. I lavoratori impugnavano il provvedimento ed il Tribunale, ritenendo legittimo il rifiuto motivato da ragioni di sicurezza, accoglieva il ricorso e cancellava la sanzione. Secondo i Giudici, infatti, i due macchinisti avevano ritenuto che “la prestazione del servizio ad equipaggio misto poteva costituire un pericolo per sé e per gli altri” e quindi “era loro dovere rifiutare lo svolgimento di quel servizio”.

L’azienda datrice contestava le valutazioni compiute anche dai Giudici di Appello e proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che ai lavoratori andasse addebitato un ingiustificato inadempimento contrattuale non avendo questi provato l’effettiva pericolosità del compito assegnato, tanto più che lo stesso “servizio ad equipaggio misto” era stato, successivamente ai fatti in causa, accettato anche dall'organizzazione sindacale di appartenenza dei due lavoratori, senza alcuna modifica o ulteriore misura di sicurezza.

Gli Ermellini, ribadendo il principio secondo il quale “il datore di lavoro è obbligato ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e, in particolare, è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, affermavano che la violazione dell’obbligo di sicurezza da parte del datore legittima il lavoratore a non eseguire la prestazione conservando il diritto alla retribuzione.

I Giudici, inoltre, affermavano che il contratto collettivo nazionale applicato prevede che il lavoratore, quand’anche gli venga impartito per iscritto un ordine attinente alla esplicazione delle proprie funzioni o mansioni, non deve eseguirlo se la sua esecuzione può comportare la violazione di norme penalmente sanzionate. In sostanza, per effetto di tale disposizione, il lavoratore assume la titolarità di una posizione di garanzia atteso che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a causarlo. Per la Corte, quindi, dal rifiuto dei macchinisti non poteva derivare un illecito disciplinare alla luce della “responsabilità penale del macchinista per l'evento lesivo eventualmente occorso in una situazione di fatto caratterizzata da pericolo per la sicurezza dei trasporti e l'incolumità di terzi, derivante dall'avere ottemperato ad una direttiva – conduzione del treno con il modulo ‘Agente Solo' – che lo stesso contratto collettivo gli consente di non osservare”.


IN CASO DI CONFERIMENTO D’AZIENDA NON VA FATTA UNA ULTERIORE NOTIFICA PER IL CREDITO I.V.A. ACQUISITO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 28787 DEL 19 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28787 del 19 ottobre 2021, ha statuito che, in caso di conferimento di azienda o di ramo d’azienda, riguardo al credito IVA, trova piena applicazione la regola generale sulla cessione d’azienda di cui all’art. 2559 C.C., per cui la cessione di tutti i crediti ha effetto nei confronti del debitore dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel Registro delle Imprese, ancorché in mancanza di accettazione ovvero di notifica.

Il caso di specie, è relativo alle doglianze dell’Amministrazione Finanziaria per l’annullamento di una cartella di pagamento da parte dei Giudici Territoriali con cui, all’esito di un controllo automatizzato della dichiarazione presentata da una SRL, aveva proceduto al recupero a tassazione di oltre 350.000 euro per carenti versamenti IVA, in quanto la società conferitaria aveva fatto proprio il credito Iva della conferente attraverso la cessione nell’ambito del conferimento di un ramo d’azienda.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, hanno ribadito che il conferimento d’azienda o di un suo ramo in una società costituisce, a tutti gli effetti di legge, una cessione d’azienda, che comporta, salvo patto contrario, la cessione di tutti i crediti relativi al suo esercizio, ivi compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’Erario, ed ai fini dell’efficacia della cessione nei confronti di quest’ultimo, non occorre procedere con la notifica dell’atto, discendendo i relativi effetti dall’adempimento delle formalità pubblicitarie presso il Registro delle Imprese, secondo quanto disposto, in via generale, dall’art. 2559 C.C. Pertanto, nel caso in dettaglio, per la cessione del credito Iva non è necessaria la notifica all’Agenzia delle Entrate di un atto separato ricognitivo di un effetto (id: la cessione del credito) che interviene ope legis, ove il credito fiscale sia inerente all’azienda ovvero al ramo aziendale oggetto della cessione o del conferimento

In nuce, per la S.C., nel conferimento d’azienda o di ramo d’azienda, l’eventuale Credito IVA della società conferente segue pedissequamente la regola generale sulla cessione d’azienda con cui la relativa cessione ha effetto nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria dall’iscrizione del trasferimento nel Registro Imprese, senza che sia necessario notificare un ulteriore e separato atto.


GLI ELEMENTI OGGETTO DI VERIFICA FISCALE DI UN ANNO D’IMPOSTA POSSONO, IN PRESENZA DI REITERAZIONE, GIUSTIFICARE UN ACCERTAMENTO FISCALE PER GLI ANNI SUCCESSIVI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 30027 DEL 26 OTTOBRE 2021.

La Corte di Cassazione ha evidenziato l’utilizzabilità di fatti e circostanze noti per giustificare l’emissione di un provvedimento di accertamento per anni successivi.

Il caso prende il via su sollecitazione del contribuente, che ricorre in Cassazione per aver l’Agenzia delle Entrate emesso un accertamento per l’anno d’imposta 2008 basandosi sulle circostanze giustificative di accertamento per l’anno precedente. In particolare l’Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto, dall’esame della documentazione dell’anno 2007, una società operante nel campo delle saldature quale utilizzatrice di fatture per prestazioni non eseguite (e quindi oggettivamente inesistenti). Accertata la mancata esecuzione delle prestazioni indicate in fattura, l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto i relativi costi e proceduto al recupero dei relativi costi per quanto riguarda il discorso reddituale, e dell’Imposta sul Valore Aggiunto esposta nelle medesime fatture.

L’Agenzia delle Entrate aveva inoltre riconosciuto uno schema di comportamento e, verificato che tale comportamento si era reiterato anche nel 2008, per la presenza di fatture dallo stesso fornitore, aveva proceduto a recuperare a tassazione, e ai fini IVA, gli importi delle relative fatture anche per l’anno successivo, con separato atto.

Lamentava la società ricorrente quindi che la CTR aveva ritenuto legittimo l'avviso per il 2008 in base ad una verifica compiuta per il 2007, in violazione del divieto di doppie presunzioni, e che aveva ritenuto sufficiente, per l’Amministrazione Finanziaria, porre a carico del contribuente la prova dell’effettività delle operazioni per il 2008, che invece sarebbe stato onere avverso dell’Agenzia delle Entrate.

Gli Ermellini ritengono infondati tutti i motivi elencati dal ricorrente, giacché non si tratta, come erroneamente ritenuto, che «l'irrilevanza della fonte di acquisizione e notizie non consente all'Ufficio di prescindere dall'inerenza di questi ad un determinato specifico periodo d'imposta, attesa l'autonomia di ciascun periodo d'imposta, con la conseguente illegittimità della presunzione della costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito», ma piuttosto che le circostanze di fatto accertate con riferimento ad un determinato periodo d'imposta possono pur sempre costituire «validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all'esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l'applicazione di percentuali diverse» (v. Cass. n. 27330 del 29/12/2016). In questa prospettiva, dunque, non si pone una presunzione di costanza di reddito tra le diverse annualità (che postula un onere della prova a carico della Amministrazione finanziaria) ma la diversa questione se le circostanze di fatto, identicamente sviluppate in diversi anni d'imposta, assumano rilevanza indiziaria ai fini della determinazione dell'imponibile in una diversa annualità.

In conclusione, la ragione del rigetto del ricorso del contribuente è da ricercare nel comportamento reiterato del contribuente, che ha costituito idonea presunzione alla reiterazione dello stesso schema per l’anno successivo, giustificando quindi l’emissione dell’accertamento.


NON È VINCOLANTE LA TIPIZZAZIONE CONTENUTA NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA AI FINI DELL’APPREZZAMENTO DELLA GIUSTA CAUSA DEL LICENZIAMENTO, CHE SPETTA AL GIUDICE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 30510 DEL 28 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 30510 del 28 ottobre 2021, ha ribadito il principio secondo cui le condotte ricomprese tra le ipotesi di giusta causa di licenziamento all’interno dei contratti collettivi sono da ritenersi meramente esemplificative e non tassative; ne consegue che il giudizio di merito non è vincolato, essendo autonoma facoltà del Giudice valutare se un grave inadempimento o un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile sia idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Il caso in esame ha riguardato il ricorso avverso il licenziamento per giusta causa di un dipendente che, in risposta a continue provocazioni, avrebbe aggredito verbalmente e fisicamente un collega al di fuori dell’orario di lavoro e all’esterno dei locali aziendali.

In accordo con il Tribunale di Savona, la Corte territoriale genovese si era pronunciata sulla legittimità del provvedimento espulsivo data la gravità del comportamento tenuto, benché la stessa condotta non ricorresse tra quelle previste dal contratto collettivo per l’adozione di un licenziamento disciplinare. Ciononostante, la Corte di Appello ha altresì confermato quanto espresso dal Tribunale circa la sproporzione tra il comportamento assunto ed il provvedimento applicato, stante il luogo e l’orario in cui si sarebbe verificata l’aggressione in esame. Ad ogni modo, al dipendente è stata riconosciuta la tutela di cui all’art. 18 comma 5, quindi il solo diritto all’indennità risarcitoria escludendo qualsiasi soluzione di natura conservativa.

La Corte di Cassazione, attraverso una ricognizione della più recente e consolidata giurisprudenza volta a riaffermare il principio di diritto de qua (Cass. 13412/2020; Cass. 3283/2020; Cass. 4060/2011) ha difatti rigettato il ricorso del lavoratore.

Se ne deduce che, in caso di licenziamento, il Giudice avrà facoltà sia di riconoscere la sussistenza di giusta causa per inadempimento/condotta grave, anche se non contemplata tra le ipotesi del contratto collettivo, sia di escluderla, pur integrando, quello specifico comportamento, una infrazione passibile di licenziamento all’interno del contratto collettivo stesso.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 15 Novembre 2021