11 Dicembre 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

NELL'AMBITO DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE LA “SEMPLICE” VARIAZIONE DELL'ARTICOLO CONTRATTUALE DI RIFERIMENTO NON VIOLA IL PRINCIPIO DI IMMUTABILITA' DELLA CONTESTAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 28797 DEL 30 NOVEMBRE 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 28797 del 30 novembre 2017, ha statuito che è pienamente legittimo il licenziamento disciplinare, irrogato al dipendente, in base ad un articolo del contratto collettivo diverso da quello riportato nella contestazione con la quale è stato dato avvio al procedimento disciplinare.

Nel caso di specie, un dipendente di Croce Rossa Italiana veniva licenziato, all'esito del procedimento disciplinare sancito dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, per aver prestato attività lavorativa in favore di un altro soggetto, violando il principio della esclusività del rapporto di pubblico impiego. Il dipendente adiva la Magistratura sostenendo che l'atto di recesso fosse stato irrogato rinviando ad un articolo del CCNL di riferimento diverso da quello riportato nella contestazione di avvio del procedimento disciplinare.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, il prestatore ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato della Corte Territoriale, hanno evidenziato che il semplice riferimento ad un articolo contrattuale diverso da quello indicato all'apertura del procedimento disciplinare è del tutto ininfluente al fine di valutare correttamente la legittimità del licenziamento in quanto lo stesso attiene alla sfera della qualificazione giuridica del fatto non essendo, conseguentemente, idoneo a ledere il principio della immutabilità della contestazione.  

Pertanto, atteso che, nel caso in disamina era stata data ampia ed esaustiva prova dell'attività lavorativa “extra” posta in essere dal dipendente, e che tale accaduto era l'unico motivo posto a fondamento dei rilievi avanzati al prestatore, dal momento di consegna della contestazione disciplinare fino alla definitiva comunicazione del recesso in tronco, ed essendo, pertanto, rimasto del tutto invariato il fatto addebitato, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la piena legittimità del recesso datoriale.

AI FINI DELLA QUANTIFICAZIONE DEGLI ISTITUTI INDIRETTI IL COMPENSO PER LAVORO STRAORDINARIO E' COMPUTATO SE STABILITO DA SPECIFICHE NORME DI LEGGE O DI CONTRATTO. 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 25760 DEL 30 OTTOBRE 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 25760 del 30 ottobre 2017, ha statuito che per la determinazione della retribuzione dovuta al prestatore di lavoro in relazione agli istituti cc.dd. indiretti (id: mensilità aggiuntive, ferie, permessi, etc.), non vige nel nostro ordinamento un principio di onnicomprensività ma occorre avere riguardo alla disciplina dei singoli istituti, di fonte legale o contrattuale.

Con ricorso al Tribunale di Milano un dipendente del settore metalmeccanico chiedeva di accertarsi il proprio diritto alla inclusione del compenso per il lavoro straordinario prestato con abitualità nella base di calcolo della retribuzione per ferie, festività, riduzioni orarie, tredicesima mensilità e conseguentemente condannare il datore di lavoro al pagamento delle differenze di retribuzione. Il Giudice del lavoro accoglieva la domanda e, parimenti, la Corte d'Appello di Milano rigettava l'appello della società.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice di lavoro, deducendo l’erronea interpretazione da parte del Giudice di merito della definizione di “retribuzione globale di fatto” prevista dalle norme di legge e contrattuali.

Orbene, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato limitatamente alla parte dei compensi per le festività e, per il resto, infondato. In particolare, gli Ermellini hanno premesso che, per la determinazione della retribuzione dovuta al prestatore di lavoro in relazione agli istituti cc.dd. indiretti non vige nel nostro ordinamento un principio di onnicomprensività ma occorre avere riguardo alla disciplina dei singoli istituti, di fonte legale o contrattuale. E' di fonte contrattuale la disciplina del compenso per ferie, per tredicesima mensilità e per riduzioni orarie. All'uopo, la nozione di "retribuzione globale di fatto" adottata dal contratto collettivo dei metalmeccanici deve intendersi come comprensiva di tutte le voci di retribuzione corrisposte con continuità e sistematicità al lavoratore nell'arco temporale rilevante ai fini della maturazione della retribuzione indiretta. L'aggettivo "globale" comprende infatti quanto complessivamente ricevuto dal lavoratore in corrispettivo della sua attività di lavoro.                                                                                          

In ordine al compenso per le festività, hanno ricordato gli Ermellini, occorre invece riferirsi alle previsioni della L. 27 maggio 1949, n°260, articolo 5 che recita: "Nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell'anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1 maggio) e nel giorno dell'Unita' Nazionale (4 novembre), lo Stato, gli Enti pubblici ed i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti, i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio. La normale retribuzione sopra indicata sarà determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad un sesto dell'orario settimanale contrattuale o, in mancanza, a quello di legge…".  La norma contiene, dunque, una esplicita definizione della nozione di "normale retribuzione" ed esclude il compenso per lavoro straordinario, anche se corrisposto in modo fisso e continuativo.

I PRELIEVI BANCARI INGIUSTIFICATI NON POSSONO ESSERE CONSIDERATI RICAVI PER GLI ARTIGIANI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 23162 DEL 4 OTTOBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 23162 del 4 ottobre 2017, ha statuito che negli accertamenti fondati sulle indagini bancarie, la posizione degli artigiani deve essere equiparata a quella dei professionisti, con la diretta conseguenza di considerare i prelevamenti sul conto corrente non come ricavi imponibili da riprendere a tassazione, in quanto, anche per taluni artigiani, ancorché produttivi di reddito qualificabile come d’impresa, viene a mancare la correlazione “prelievo = costo = ricavo”, che è alla base del recupero fiscale dei prelevamenti bancari non giustificati.

Il caso di specie riguarda un artigiano, esercente l’attività di assemblaggio di articoli per l’infanzia, destinatario di un avviso di accertamento basato esclusivamente su indagini bancarie, con recupero a tassazione dei versamenti e prelevamenti non giustificati.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, confermando la sentenza dei Giudici Territoriali, hanno annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, poiché data la natura dell’attività artigiana, ancorché qualificata in dichiarazione come reddito d’impresa, poteva applicarsi lo stesso criterio che vale per i lavoratori autonomi.

Infatti, il contribuente “in base alle caratteristiche della sua attività” poteva essere legittimamente considerato alla stregua di un lavoratore autonomo e, pertanto, si rende applicabile il principio derivante dalla sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, secondo cui i prelevamenti bancari non possono essere considerati come componenti positivi di reddito da recuperare a tassazione in seno a verifiche condotte nei confronti dei lavoratori autonomi. Per talune categorie di artigiani, infatti, la produzione di ricavi non è direttamente legata al sostenimento di costi, esattamente come avviene nel caso di lavoratori autonomi e professionisti.

In nuce, per la S.C., in conseguenza di prelevamenti dai conti non giustificati, non è possibile far scattare la presunzione di maggiori ricavi nei confronti di un artigiano senza l’ausilio di dipendenti. Ciò, in quanto la presunzione prevista dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 è “lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.


LEGITTIMO L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO FONDATO SU UN GENERICO RIFERIMENTO A RILEVAZIONI DI MERCATO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 23143 del 4 OTTOBRE  2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 23143 del 4 ottobre 2017, ha statuito che è illegittimo l’accertamento induttivo per la mancata dichiarazione di plusvalenza a carico del tassista che cede la licenza se fondato solo sui dati forniti dall’associazione di categoria.

I Giudici di Piazza Cavour, ribaltando in toto la sentenza dei Giudici Territoriali, hanno accolto le doglianze di un tassista che, dopo la cessione della licenza dell’auto di piazza, si vedeva notificare dall’Agenzia delle Entrate un accertamento induttivo per una mancata dichiarazione di plusvalenza.

Infatti, a parere della CTR del Lazio, l’avviso di accertamento faceva riferimento a dati recuperati dalle associazioni di categoria e a studi specifici, ed era pertanto legittimo, in quanto il trasferimento della licenza si configura come una vera e propria cessione di azienda e la plusvalenza rientra nel reddito d’impresa.

Ex adverso, per gli Ermellini, l’operato del Giudice Tributario non è propriamente corretto, in quanto non ha indicato i dati concreti da cui ha tratto il convincimento della congruità dei valori accertati dall’Ufficio. Avrebbe dovuto, infatti, valutare “la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a base dell’atto medesimo, esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione e, successivamente, tener conto degli elementi probatori a discarico offerti dal contribuente” e non, invece, confermare la legittimità dell’accertamento, avvalendosi di un generico riferimento a “rilevazioni di mercato, annunci pubblicitari e a studi specifici sull’argomento e dati reperiti presso le associazioni di categoria”,

In nuce, la S.C. ha ribadito che l’accertamento induttivo emesso sulla scorta di indagini di mercato, annunci pubblicitari e dati in possesso delle associazioni di categoria non è assolutamente sufficiente a qualificare e quantificare l'eventuale plusvalenza al fine di considerarla reddito d'impresa.

L’AZIENDA E’ RESPONSABILE AMMINISTRATIVAMENTE IN CASO DI MANCATA FORMAZIONE ED INFORMAZIONE DELL’INFORTUNATO 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 53285 DEL 5 DICEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 53285 del 5 dicembre 2017, ha chiarito che, in materia di sicurezza sul lavoro, l’azienda è responsabile dal punto di vista amministrativo quando si dimostra un interesse o un vantaggio a favore della stessa, congiuntamente alla responsabilità penale dei soggetti aziendali.

Nel caso in commento, sia in primo che in secondo grado, il legale rappresentante ed il preposto venivano condannati per le lesioni cagionate ad un dipendente. L’infortunio accorso al lavoratore gli aveva causato l’amputazione del quinto dito della mano sinistra, per una improvvisa discesa di un pezzo del macchinario che lo colpiva sulla mano provocandogli l’infortunio. Dalle verifiche effettuate, sul DVR non era prevista alcuna procedura di sicurezza in fase di smontaggio del macchinario ed inoltre risultava mancante ogni formazione ed informazione in tal senso.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con i Giudici di merito, hanno inteso precisare che l’inadempimento dell’obbligo di formazione ed informazione era particolarmente rilevante nella questione, atteso che non si trattava di mansioni complementari ma, anzi di mansioni di sua competenza. Inoltre, non veniva ravvisato alcun comportamento abnorme del lavoratore, né tantomeno imprudente o negligente.

In conclusione, la responsabilità amministrativa dell’azienda, in concorrenza con la responsabilità penale dei soggetti aziendali, sussiste in tutte le ipotesi in cui l’omissione abbia arrecato un risparmio di spesa o un aumento di produttività.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 11 Dicembre 2017