22 Novembre 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI OTTOBRE 2021

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Ottobre 2021. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Ottobre è pari a 3,302786 e l’indice Istat è 105,1.

 

LO SCOSTAMENTO DAGLI STUDI DI SETTORE PUÒ ESSERE GIUSTIFICATO DALL’INESPERIENZA.

CORTE DI CASSAZIONE – V SEZIONE CIVILE – ORDINANZA N.29470 DEL 21 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29470 del 21 ottobre 2021, ha statuito che un eventuale significativo scostamento dai valori previsti dagli studi di settore può essere legittimato in caso di provata inesperienza del contribuente.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto in toto le doglianze di una SRL, oppostasi ad un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per Iva e Irap, scaturito da una verifica effettuata mediante l'applicazione degli studi di settore, con rettifica dei ricavi dichiarati, lamentando l’omesso esame, delle difficoltà nel riorganizzare l’azienda, sopravvenute dopo la scomparsa del fondatore che gestiva direttamente in via esclusiva come ditta individuale, e conseguente subentro nella compagine trasformata in società, dei figli.

Il ricorso della società contribuente era stato rigettato dai Giudici Territoriali, in quanto, non era stata prodotta alcuna prova per superare la presunzione dell’Amministrazione Finanziaria e, quindi, per giustificare lo scostamento tra dichiarazione e i maggiori ricavi accertati, ritenendo peraltro inammissibili gli ulteriori atti presentanti a suffragio delle ragioni del predetto scostamento, dovuto a inesperienza dei titolari, sull’assunto che la documentazione in esame, non trattandosi di documenti nuovi, avrebbero dovuti essere presentati all’atto dell’avvio del primo giudizio.

Ex adverso, gli Ermellini, con l’ordinanza de qua, hanno evidenziato come lo scostamento sia ampiamente giustificato nel caso di prosieguo dell’attività d’impresa a causa del decesso dell’originario titolare dell'azienda e subentro di eredi inesperti, con evidenti difficoltà nella riorganizzazione in un settore per loro del tutto nuovo, e richiamando inoltre, il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di produzione documentale nel processo tributario, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti, anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado.

In nuce, per la S.C., non poteva escludersi che si fosse determinata una fase critica nel prosieguo dell’attività a causa del decesso dell’unico originario titolare e il subentro degli inesperti eredi, né poteva escludersi che i subentranti avessero dovuto adottare decisioni su impegni di spesa, i cui tempi di recupero e sostenibilità potevano essere stati erroneamente valutati, ed in tale contesto, non poteva ritenersi, come invece sostenuto dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento, che l’attività aziendale era proseguita senza risentire dei cambiamenti intervenuti.


LA CRISI DI LIQUIDITA' QUALE FATTORE IN GRADO DI ESCLUDERE LA COLPEVOLEZZA PER IL MANCATO VERSAMENTO DELL'IVA NON INTEGRA LA REVOCA DEGLI AFFIDAMENTI BANCARI DISPOSTA DALL'ISTITUTO DI CREDITO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. PENALE – SENTENZA N.38177 DEL 26 OTTOBRE 2021.

La Corte di Cassazione – III sez. penale – sentenza n°38177 del 26 ottobre 2021 – ha statuito, in tema di crisi di liquidità e causa di forza maggiore all'inadempimento del versamento Iva, che la revoca del fido bancario non costituisce causa di incolpevole impossibilità del contribuente ad assolvere l'obbligazione tributaria.

Nel caso de quo, la Corte di appello di Firenze aveva confermato la condanna alla pena di un anno di reclusione, oltre pene accessorie e confisca, come irrogata con sentenza del Tribunale della stessa città, ad una contribuente per il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, ex art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000, per aver omesso il versamento dell'Imposta sul valore aggiunto in relazione a due distinte annualità e per importi rispettivamente pari a 1.122.644,00 Euro e 665.043,00 Euro. In particolare, la contribuente, nella sua qualità di rappresentante legale di una cooperativa, aveva sostenuto di aver fornito ampia prova documentale del fatto che il 90% del fatturato veniva scontato in banca e che allorquando l'istituto di credito  aveva repentinamente interrotto il rapporto di affidamento e bloccato i finanziamenti all'impresa, si era trovata improvvisamente in una conclamata ed irreversibile crisi di liquidità che non poteva essere imputata alla volontà dell'imprenditore, siccome imprevista ed imprevedibile.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la contribuente.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che il reato di omesso versamento dell'Iva ex art. 10-ter del decreto citato,  si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale; il reato è punibile (superate le soglie previste) a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario l'imposta, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua operazioni imponibili, hanno continuato gli Ermellini, riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.

Inoltre, in ordine al tema della "crisi di liquidità" d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, hanno aggiunto gli Ermellini, è stato già precisato da numerosi arresti giurisprudenziali che è necessario assolvere precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.

Pertanto, la sistematica violazione dell’obbligo di versamento, esclude che l'improvvisa revoca degli affidamenti possa rappresentare crisi di liquidità, atteso che l’impresa già in precedenza non accantonava (o versava) le somme dovute.


ILLEGITTIMO, DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO, AVANZARE NUOVE CIRCOSTANZE A SOSTEGNO DEL LICENZIAMENTO, SUCCESSIVAMENTE ALLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31130 DEL 2 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 31130 del 2 novembre 2021, ha (ri)affermato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare ad opera del datore di lavoro, principio a tutela del lavoratore per la piena consapevolezza della condotta a lui imputata, al fine tanto di poter debitamente costruire la propria difesa circoscrivendola al solo fatto addebitato, quanto di garantire una proporzionalità tra il fatto contestato e l’eventuale sanzione irrogata.

La fattispecie in esame ha riguardato il licenziamento del responsabile di uno dei punti vendita dell’azienda per cui prestava servizio, a causa della gravità nonché della reiterazione di comportamenti persecutori e minacciosi nei confronti dei colleghi di lavoro. La Corte di appello di Napoli, in linea con la decisione del Tribunale, aveva confermato la legittimità del licenziamento, cagionando tali condotte una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Ha presentato ricorso avverso il licenziamento disciplinare il responsabile che, a seguito di formale reintegrazione nel posto di lavoro conseguente alla dichiarazione giudiziale di illegittimità di un precedente licenziamento, lamentava la violazione del principio di immutabilità, avendo la Corte distrettuale legittimato il datore di lavoro ad una seconda e successiva sanzione espulsiva sulla base di fatti relativi ad un segmento temporale interessato dal giudizio relativo al primo licenziamento, avallando così una illecita mutatio della contestazione originaria.

Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso proposto dal lavoratore, hanno specificato che il principio di immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro la possibilità di addure circostanze nuove a sostegno del licenziamento già intimato. Nel caso di specie, tuttavia, la parte ricorrente ne ha erroneamente invocato la violazione in quanto l’immodificabilità della contestazione opera in relazione al medesimo licenziamento e non con riferimento a due diversi atti di recesso datoriale. Si aggiunge, inoltre, che qualora le condotte assunte a motivo del successivo licenziamento fossero state le stesse ascritte all’espulsione precedente, si sarebbe più propriamente dovuto invocare il principio del ne bis in idem, per cui lo stesso fatto -passato in giudicato- non può essere rimesso in discussione. Questa ipotesi è però da escludere, considerando che i fatti a sostegno del licenziamento successivo non coincidevano con quelli contestati per la prima espulsione, tanto più che erano emersi -e per questo divenuti noti al datore di lavoro solo a posteriori- proprio nel corso del giudizio avente ad oggetto la legittimità del primo licenziamento.

In conclusione, il datore di lavoro non è autorizzato a far valere circostanze nuove rispetto a quelle già contestate, a sostegno della legittimità del medesimo licenziamento; quanto appena statuito non preclude però la facoltà, in capo allo stesso, di adottare ulteriori provvedimenti disciplinari qualora venga a conoscenza di fatti non ancora a lui noti, seppur verificatisi nel passato. L’immediatezza della contestazione, infatti, ha carattere relativo e non assoluto e prevede una tempestività nella sua esecuzione non dal momento in cui si consumerebbe la presunta condotta sanzionabile, bensì da quello in cui il datore di lavoro ne sia venuto a conoscenza.


NON INDENNIZZABILE L’INFORTUNIO OCCORSO DURANTE LA PAUSA CAFFÈ

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 32472 DELL’8 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 32472 dell’8 novembre 2021, afferma la non indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore durante la pausa caffè.

Nel caso in oggetto, una lavoratrice adiva in Tribunale al fine di ottenere dall’INAIL l’indennità per inabilità assoluta temporanea e l’indennizzo corrispondente al danno permanente, in relazione all’infortunio occorso durante il tragitto di rientro dalla pausa caffè.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda, ritenendo comunque esistente il nesso eziologico con l’attività lavorativa, in considerazione del fatto che la pausa era stata regolarmente autorizzata dal datore di lavoro e che all’interno del luogo di lavoro non era presente un servizio bar di cui la lavoratrice avrebbe potuto fruire.

L’INAIL ricorreva quindi in Cassazione. Quest’ultima, ritenendo fondato il ricorso presentato dall’ente, afferma che l’art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965 va interpretato ritenendo che l’assicurazione copra gli infortuni avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da intendersi, secondo precedenti orientamenti già espressi dalla Suprema Corte, come quella da cui deriva un’alterazione lesiva legata alla prestazione lavorativa da nesso non meramente topografico-cronologico, ma di derivazione eziologica. L’indennizzabilità non deriverebbe dalla sola circostanza che l’evento lesivo si sia verificato durante l’orario di lavoro, ma presuppone come requisito essenziale la sussistenza del nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determini l’esposizione al rischio da parte del lavoratore assicurato. Si deve trattare, a parere dei Giudici di legittimità di rischio specifico, non estraneo all’attività lavorativa, di conseguenza non sarebbero da intendersi come “occasioni di lavoro” quelle situazioni in cui l’attività non sia intrinsecamente lavorativa e non sia coincidente con le modalità di tempo e di luogo imposte dal datore di lavoro.

Per le ragioni esposte la Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’INAIL, cassa la sentenza impugnata.

 

NEL PROCESSO TRIBUTARIO E' NULLA LA SENTENZA DI MERITO SE SI LIMITA A MOTIVARE CON LA MERA TRASCRIZIONE DELLE RAGIONI ESPOSTE DALL'AGENZIA DELLE ENTRATE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 33711 DEL 12 NOVEMBRE 2021.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°33711 del 12 novembre 2021 – ha statuito, in tema di contenuti della sentenza di merito, ex art. 36, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n°546, che è nulla la sentenza di merito che si limiti a riportare integralmente l'atto di appello proposto dall'Ufficio (id: Agenzia delle Entrate).

Nel caso de quo, la Commissione Tributaria Regionale Campania – sezione distaccata di Salerno – aveva accolto l'appello proposto dall'Ufficio e riformato la sentenza della CTR di Salerno in ordine ad un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate con il quale si provvedeva al recupero della maggiore imposta Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni e oneri accessori. In particolare l'accertamento era scaturito da indagini condotte dalla GdF che aveva appurato che i corrispettivi di alcuni rapporti commerciali, per prestazioni di manodopera in subappalto (documentati con fattura), non erano mai transitati sui conti correnti intestati alla società accertata. Da quanto eccepito, l'Ufficio desumeva che le fatture registrate erano relative ad operazioni inesistenti, con contestuale recupero degli importi a tassazione.

Avverso la sentenza di merito che aveva condiviso l'operato dell'Ufficio, ha proposto ricorso la società lamentando la nullità della sentenza per violazione dell'art. 36, D.Lgs. n°546/92, contenendo, la decisione impugnata, una motivazione solo apparente e consistente nell'integrale riproduzione dell'atto di appello proposto dall'AdE, a sua volta riproduttivo del PVC della Guardia di Finanza.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso evidenziando che, nel processo civile come in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo. Tale tecnica, infatti, non può ritenersi sintomatica di un difetto di imparzialità del giudice, al quale, non è imposta l'originalità dei contenuti. Nella fattispecie, hanno continuato gli Ermellini, si è rilevato, attraverso un puntuale raffronto tra l'atto di appello dell'Ufficio (a sua volta largamente riproduttivo del pvc) e la sentenza impugnata (messe a confronto attraverso la trascrizione su due colonne) che quest'ultima è la pedissequa ed acritica riproduzione dell'appello prodotto dall'AdE; non solo sono presenti gli stessi refusi, ma lo stesso apprezzamento (che dovrebbe essere attribuito all'organo giudicante) viene attribuito all'Ufficio, anziché al Collegio.

Inoltre, hanno continuato gli Ermellini, nella sentenza "è del tutto assente il richiamo alle argomentazioni difensive del contribuente ed assenti risultano le ragioni giuridiche utilizzate per disattenderle".

In definitiva, hanno concluso gli Ermellini, accogliendo il ricorso con rinvio alla CTR regionale in diversa composizione, la sentenza non dimostra che le ragioni della decisione siano attribuibili all'organo giudicante, in modo chiaro ed univo, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, n°642/2015).

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!


A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

Condividi:

Modificato: 22 Novembre 2021