21 Novembre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. OTTOBRE  2022

Il 16 Novembre scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Ottobre 2022 (id: licenziamenti dal 15 ottobre al 14 novembre 2022) determinandoli in 9,018362 e 117,2.
 

NEGATO ALL’INFERMIERE IL PAGAMENTO DEL SERVIZIO DI ASSISTENZA A DOMICILIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16425/2022 DEL 20 MAGGIO 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16425 del 20 maggio 2022, ha sancito che per ottenere il pagamento del servizio di assistenza a domicilio, il lavoratore deve provare di aver effettuato le prestazioni al di fuori dell’orario di lavoro.

Nel caso in parola la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda del ricorrente, dipendente con mansioni di infermiere, di pagamento delle prestazioni eseguite a domicilio presso i pazienti, in esecuzione del programma regolarmente approvato dall'Azienda ospedaliera per l'anno 2004, rigettava integralmente il ricorso. In particolare, i Giudici, alla luce dell'art. 1362 c.c., ritenevano che il compenso per le prestazioni di assistenza domiciliare potesse essere corrisposto solo nel caso in cui tali prestazioni fossero state effettuate al di fuori dell'orario di lavoro, tuttavia negavano il diritto al compenso del lavoratore ritenendo che l'infermiere non fosse riuscito a provare lo svolgimento dell'assistenza al di fuori del suddetto orario.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, l'omessa, l'insufficiente e la contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: il ricorrente affermava infatti che la Corte d'Appello avesse errato nella valutazione di alcuni documenti allegati nel fascicolo di primo grado che riportavano gli orari delle prestazioni assistenziali. La Corte territoriale, infatti, non li aveva considerati rilevanti ai fini probatori perché non erano stati sottoscritti dal rappresentante legale dell'Azienda sanitaria. La Suprema Corte riteneva infondata la doglianza in quanto i Giudici d'Appello non avevano omesso la valutazione di un fatto decisivo ai fini della decisione, considerando che avevano dato atto del progetto autorizzato dall'ASL per lo svolgimento di attività di assistenza domiciliare, avendo piuttosto incentrato il rigetto sulla carenza di prove dell’espletamento dell’attività prestata al di fuori dell’orario di lavoro.

Per quanto riguarda, invece, il secondo motivo di doglianza, l'erronea valutazione da parte della Corte d'Appello dei documenti, esso risultava inammissibile in quanto non è consentito in sede di legittimità la rivalutazione delle risultanze istruttorie.

Per questi motivi la Corte rigettava il ricorso condannando il ricorrente alle spese.
 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE RIFIUTI DI SOTTOPORSI ALLA VISITA MEDICA NELL’AMBITO DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.26199 DEL 6 SETTEMBRE 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°26199 del 6 settembre 2022 – ha statuito la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice all’esito del duplice rifiuto di sottoporsi a visita medica onde verificare l'idoneità alla mansione specifica assegnata.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Bologna, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice con mansioni di impiegata amministrativa. La Corte territoriale, a fondamento della decisione, aveva rilevato che il duplice rifiuto opposto dalla lavoratrice a sottoporsi a visita medica configurava una grave insubordinazione e, in quanto tale, sanzionabile con il licenziamento senza preavviso, rientrando tra i doveri, previsti dal D.Lgs. 81/2008 del dipendente, quello di sottoporsi ai controlli sanitari previsti nel detto decreto o comunque disposti dal medico competente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice eccependo che il proprio rifiuto era propedeutico a contrastare un illegittimo demansionamento che avrebbe comportato l’adibizione di un'impiegata apicale di concetto a mansioni di operaia pulitrice.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso confermando, in primis, che, in occasione del cambio di mansioni, è necessario disporre visita medica onde verificare l'idoneità alla mansione specifica assegnata, ai sensi del D.Lgs. n°81 del 2008, art. 41, comma 2, lettera d). Inoltre, la Corte distrettuale aveva opportunamente segnalato anche la previsione dell'articolo 41, comma 2, lettera b) dello stesso D.Lgs., che prevede l'obbligo di controllare lo stato di salute dei lavoratori, con una periodicità di norma di una volta all'anno e che, nel caso concreto, tali presupposti apparivano ricorrenti essendo la lavoratrice rientrata al lavoro dopo un lungo periodo di cassa integrazione, nell'ambito di un programma di riorganizzazione concordato con le OOSS per ricollocare, anche attraverso programmi formativi, le unità in eccedenza.

Il datore di lavoro, hanno continuato gli Ermellini, si era perciò limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell'espletamento delle mansioni loro assegnate. Ex adverso, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l'asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, considerato che l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi posti a base del licenziamento per giusta causa è demandato al Giudice del merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici, il ricorso è respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.


IL RAVVEDIMENTO CON ERRONEO CALCOLO DELLE SANZIONI È COMUNQUE VALIDO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 27817 DEL 22 SETTEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.27817 del 22 settembre 2022, ha statuito che le sanzioni devono essere ridotte se il contribuente provvede al pagamento entro 30 giorni dalla comunicazione di irregolarità oppure, in caso di chiarimenti al Fisco, entro i 30 giorni dalla seconda comunicazione.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno respinto le doglianze dell'Agenzia delle Entrate contenute nel ricorso contro la decisione pronunciata dalla CTR a favore di una società contribuente, oppostasi ad una cartella di pagamento a titolo di Iva, interessi e sanzioni per irregolarità nei versamenti, cartella che era stata preceduta da un avviso bonario. La società aveva provveduto, con ravvedimento operoso, ad eseguire l'intero pagamento di quanto dovuto a titolo d'imposta e di interessi, mentre con riferimento alle sanzioni aveva erroneamente versato importi nella misura del 6% e non, come normalmente dovuto, del 10%, e successivamente, ed entro i 30 giorni dal ricevimento dell'avviso bonario, aveva presentato istanza correttiva per il ricalcolo delle sanzioni ancora dovute.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, confermando appieno il decisum dei Giudici Territoriali, ha giudicato del tutto infondato il ricorso sollevato dall'Amministrazione Finanziaria, in quanto nei casi di omesso versamento o versamento parziale dei tributi, la riduzione ad un terzo delle sanzioni dovute, prevista dall'art. 2, c.2 del D.Lgs. n. 462/1997 va applicata qualora il contribuente abbia provveduto al pagamento dei tributi, degli interessi e delle sanzioni, così ridotte, entro 30 giorni dalla comunicazione di irregolarità oppure, se il contribuente abbia fornito chiarimenti all'amministrazione, entro i successivi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione definitiva, eventualmente contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente.

In nuce, per la S.C., deve essere ritenuto illegittimo l'intero procedimento di iscrizione a ruolo e conseguente emissione della cartella esattoriale istruito dall'Agenzia delle Entrate, essendo nel caso in esame, la circostanza che, prima ancora del decorso dei 30 giorni dalla comunicazione d'irregolarità, la società contribuente aveva provveduto a chiarire la propria posizione, ex adverso qualora questi ulteriori 30 giorni fossero decorsi, sarebbe stato possibile l'iscrizione a ruolo e/o l'emissione della cartella per i tributi non pagati, gli interessi e le sanzioni irrogate con aliquota piena.


I VIRUS CONTRATTI A LAVORO SONO MALATTIE PROFESSIONALI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 29435 DEL 10 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 29435 del 10 ottobre 2022, afferma che i virus contratti sul luogo di lavoro sono da considerare malattie professionali coperte dall’INAIL anche quando non viene dimostrato l’evento infettante.

La vicenda ha riguardato il ricorso di un infermiere professionale alle dipendenze di una RSA, al fine di ottenere il riconoscimento della copertura INAIL e, quindi, dell’indennizzo in rendita o in capitale, a seguito della contrazione sul luogo di lavoro dell’epatite C.

La Cassazione, ribaltando la pronuncia di merito che rigettava la domanda per difetto di prova sia della causa di lavoro sia della nocività dell'ambiente, rileva che la malattia professionale può essere generata anche dall'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinano l'alterazione dell'equilibrio anatomo-fisiologico; per il riconoscimento della stessa, continua la sentenza, è necessaria una relazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa, che prescinde sia dal fatto che i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo che dalla presenza di una specifica causa violenta alla base dell'infezione.

Secondo i Giudici di legittimità, la dimostrazione della connessione con l’attività lavorativa può essere fornita in giudizio dal dipendente anche mediante presunzioni semplici.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, ritenendo assolto il predetto onere probatorio nel caso di specie, accoglie il ricorso proposto dal lavoratore.


IMU: INCOSTITUZIONALE IL RICHIAMO ALLA RESIDENZA DEL NUCLEO FAMILIARE PER LA FRUIZIONE DELLA DETRAZIONE ABITAZIONE PRINCIPALE

CORTE COSTITUZIONALE – SENTENZA 209 del 13/10/2022

La Corte Costituzionale, sollecitata dalla Corte di Giustizia Tributaria Provinciale di Napoli (già Commissione Tributaria Provinciale), è intervenuta nel delineare nuove linee di principio a proposito della disciplina IMU, nella parte in cui nega l’esenzione dal pagamento del tributo al contribuente per l’immobile in cui il nucleo familiare non risieda interamente.

Il caso prospettato era quello in cui un Comune aveva richiesto il pagamento dell’Imposta Municipale propria ad un contribuente il cui coniuge aveva trasferito la residenza in altro comune, rifacendosi all’art.13 D.L. 201/2011 (Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.). In tal senso il Comune assumeva che, a fronte del trasferimento della residenza, il nucleo familiare non risiedesse interamente nell’immobile per il quale si chiedeva l’agevolazione, e tale situazione ne faceva venire meno il diritto.

La Corte Costituzionale risolve la questione, con considerazioni che innanzitutto fanno leva sull’evidente disparità che in tal modo deriva tra partner uniti in un vincolo giuridico e partner di fatto: “Segnatamente, la norma censurata, facendo venire meno la possibilità di accesso all'agevolazione per ciascun possessore dell'immobile adibito ad abitazione principale «al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti», irragionevolmente ne discriminerebbe il trattamento rispetto non solo alle persone singole, ma anche alle coppie di mero fatto.”.

In tal senso, quindi, la normativa IMU, così come scritta dal legislatore, sarebbe addirittura punitiva nei confronti delle famiglie unite civilmente o in matrimonio, giacché tale vincolo non esisterebbe per i contribuenti single o uniti di fatto.

Ma in più compie osservazioni circa le odierne modalità di svolgimento del lavoro ed infatti a tal proposito rileva che “In un contesto come quello attuale, infatti, caratterizzato dall'aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall'evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l'ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell'ambito di una comunione materiale e spirituale.”

E la sentenza si conclude anche con un richiamo al potere accertativo dei Comuni che, sfruttando oltremodo la carenza della legge qui segnalata, avrebbero ben potuto procedere diversamente all’accertamento della residenza e dell’utilizzo degli immobili. Infatti, nella sentenza leggiamo “D'altra parte, a difesa della struttura della norma censurata nemmeno può essere invocata una giustificazione in termini antielusivi, motivata sul rischio che le cosiddette seconde case vengano iscritte come abitazioni principali. In disparte che tale rischio esiste anche per i conviventi di fatto, va precisato che i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall'art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, anche l'accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l'esistenza o meno di una dimora abituale.”

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO


(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 21 Novembre 2022