28 Novembre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

PER LA QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO, IN CASO DI PRESTAZIONI RIPETITIVE, RILEVANO I CRITERI DISTINTIVI SUSSIDIARI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 23371 DEL 26 LUGLIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 23371 del 26 luglio 2022, ha ritenuto che, in caso di prestazioni elementari e ripetitive, ai fini della qualificazione del rapporto, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, occorrendo fare ricorso a criteri distintivi sussidiari.

La sentenza trae origine dalla domanda di riconoscimento del vincolo di subordinazione mascherato da una presunta collaborazione coordinata e continuativa. Avverso la sentenza della Corte di Appello – che disponeva il pagamento delle differenze retributive e di T.F.R. in favore della lavoratrice per l’accertamento del vincolo di subordinazione – ricorreva in Cassazione la Casa di Riposo presso cui l’appellante prestava servizio, sostenendo l’assenza di un potere disciplinare tradizionalmente inteso e la discontinuità nell’esercizio del potere direttivo, venendo così a mancare gli indici principali della subordinazione.

Di tutt’altro avviso si sono dimostrati i Giudici di Piazza Cavour, secondo i quali, nel caso di prestazioni elementari e ripetitive, ai fini di una corretta qualificazione della natura del rapporto di lavoro non rilevano esclusivamente gli elementi sintomatici della subordinazione quali l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare, occorrendo fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore. La Cassazione aggiunge anche che, nel caso in cui la prestazione di attività lavorativa onerosa si concretizzi all’interno dei locali dell’azienda, con materiali ed attrezzature proprie della stessa e con modalità tipologiche proprie di un lavoratore subordinato, in relazione alle caratteristiche delle mansioni svolte, vale la presunzione di subordinazione, che è onere del datore di lavoro confutare.


LA CASSAZIONE, A SEZIONI UNITE, SI ESPRIME IN TEMA DI DANNO CAUSATO DALL'EVASIONE FISCALE E SULLA CONFIGURABILITÀ DEL REATO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – SENTENZA N. 29862 DEL 12 OTTOBRE 2022

La Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n.29862 del 12/10/2022, hanno statuito che è possibile, per l'erario, chiedere la condanna al risarcimento del danno subito dalla Pubblica Amministrazione nell’ipotesi di evasione fiscale costituente reato.

I Giudici di piazza Cavour, nel caso di specie, hanno affermato che il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso dal contribuente o da persona che del fatto di quest'ultimo debba rispondere direttamente nei confronti dell'erario, non può farsi coincidere automaticamente con il tributo evaso, ma deve necessariamente consistere in un pregiudizio ulteriore e diverso, ricorrente qualora l'evasore abbia con la propria condotta provocato l'impossibilità di riscuotere il credito erariale. Infatti, nei rapporti tra l'erario e il contribuente che abbia commesso un reato tributario, il capitale dovuto da quest'ultimo a titolo d'imposta costituisce l'oggetto dell'obbligazione tributaria e non un danno che a quella vada ad aggiungersi ai sensi dell'art. 1218 c.c.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, per quel che riguarda, sulla ripartizione dell'onere della prova nei giudizi tra erario, evasore e terzo correo o corresponsabile dell'evasione, hanno precisato che:

  • tra erario e contribuente, poiché l'unico danno patrimoniale risarcibile è quello di cui all'art. 1224 secondo comma c.c., spetterà all'erario dimostrarne l'esistenza, l'entità e la derivazione causale dal fatto illecito;
  • tra erario e terzo corresponsabile, spetterà sempre all'erario dimostrare la titolarità del credito, la perdita di questo per fatto del terzo e il nesso di causa tra condotta del terzo e perdita del credito.

In nuce, questi i principi di diritto espressamente enunciati dalla S.C.:

a) ai fini dell'accoglimento della domanda di condanna generica al risarcimento del danno è sufficiente che l'attore dimostri la colpa e il nesso causale, mentre è sufficiente che l'esistenza del danno appaia anche solo probabile;

b) ai fini dell'ammissibilità della domanda di condanna generica al risarcimento del danno non è necessario che l'attore indichi le prove di cui intende avvalersi per dimostrare il quantum debeatur;

c) il danno civile all'immagine della Pubblica Amministrazione può essere arrecato tanto da un pubblico funzionario, quanto da persona estranea all'amministrazione stessa, ed è risarcibile in ambo i casi;

d) il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso dal contribuente o da persona che del fatto di quest'ultimo debba rispondere direttamente nei confronti dell'erario, non può farsi coincidere automaticamente con il tributo evaso, ma deve necessariamente consistere in un pregiudizio ulteriore e diverso, ricorrente qualora l'evasore abbia con la propria condotta provocato l'impossibilità di riscuotere il credito erariale;

e) il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso da persona diversa dal contribuente e non altrimenti obbligata nei confronti dell'erario, può coincidere sia con il tributo evaso, sia con ulteriori pregiudizi, ma nella prima di tali ipotesi il risarcimento sarà dovuto a condizione che l'erario alleghi e dimostri la perdita del credito o la ragionevole probabilità della sua infruttuosa esazione;

f) nel giudizio di danno promosso dall'erario nei confronti di persona diversa dal contribuente, cui venga ascritto di avere concausato la perdita del credito erariale, spetta all'amministrazione provare l'esistenza del credito, la perdita di esso e il nesso causale tra la lesione del credito e la condotta del convenuto, ex adverso spetta al convenuto dimostrare che la perdita del credito sia avvenuta per negligenza dell'amministrazione, che rientra nella previsione di cui all'art. 1227, c.1, c.c.
 

LE ASSENZE DEL LAVORATORE IN ATTESA DI CONVOCAZIONE A VISITA MEDICA LEGITTIMANO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.29756 DEL 12 OTTOBRE 2022.

La Corte di Cassazione – sentenza n°29756 del 12 ottobre 2022 – ha statuito la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice all’esito delle assenze ingiustificate dopo un periodo di malattia di durata superiore a sessanta giorni.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Napoli aveva confermato la pronuncia del Tribunale della stessa città con la quale era stata rigettata l'azione promossa da una lavoratrice nei confronti della società datrice volta al conseguimento della declaratoria di invalidità del licenziamento intimato per essere la lavoratrice rimasta ingiustificatamente assente dal lavoro. In particolare, la lavoratrice lamentava che, al termine della sua lunga assenza per malattia, non aveva preso servizio in attesa di convocazione a visita medica di idoneità e, pertanto, le assenze che avevano generato il procedimento disciplinare dovevano, invero, ritenersi giustificate.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso e ribadito che il Decreto Legislativo n°81 del 2008, art. 41, non autorizza il lavoratore assente per malattia oltre i sessanta giorni continuativi a rimanere in attesa dell'iniziativa datoriale finalizzata all'effettuazione della visita di idoneità; è infatti dovere del lavoratore medesimo, una volta cessato lo stato di malattia, presentarsi al lavoro. Sul punto, hanno continuato gli Ermellini, la visita medica post evento di malattia è una  misura necessaria a tutelare l'incolumità e la salute del prestatore di lavoro e deve precedere l'assegnazione alle medesime mansioni svolte prima dell'inizio dell'assenza; la sua omissione giustifica l'astensione ex art. 1460 c.c., dall'esecuzione di quelle mansioni  ma non anche la mancata presentazione sul posto di lavoro, ben potendo il datore di lavoro disporre, nell'attesa della visita medica, l'eventuale e provvisoria diversa collocazione del lavoratore nell'impresa.

Nel caso specifico, hanno pertanto concluso gli Ermellini, l'assenza della lavoratrice (in attesa di convocazione a visita medica di idoneità) era legittimamente da ritenersi ingiustificata, con conseguente sussistenza dei presupposti per una giusta causa di licenziamento.
 

LEGITTIMO IL LICENZIAMNETO DEL DOCENTE CHE HA UNA RELAZIONE CON UNA STUDENTESSA MINORENNE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 30955/2022 DEL 20 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 30955 del 20 ottobre 2022, ha sancito la legittimità della destituzione ed esclusione dall’accesso a qualsiasi forma di pubblico impiego del docente che aveva avuto una relazione con una sua studentessa minorenne.

Nel caso in trattazione, infatti, un docente del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca proponeva domanda per l’impugnazione del provvedimento disciplinare di destituzione e di esclusione dall’accesso futuro a qualsiasi forma di pubblico impiego comminatogli per avere intrattenuto una relazione sentimentale e sessuale con una sua alunna minorenne. La Corte d’Appello, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava l’istanza proposta dal ricorrente che deduceva la mancanza di proporzionalità, ragionevolezza e congruità della sanzione irrogata. I Gudici di secondo grado, prendendo atto che il docente non contestava i fatti addebitatigli, non ritenevano idonee a suffragare la tesi difensiva le circostanze  addotte a sostegno della pretesa non gravità della vicenda, ossia il fatto che l'allieva avesse compiuto la maggiore età nell'anno scolastico in cui era nata la relazione  e che la madre della ragazza fosse consapevole della relazione, scaturita, peraltro, da un iniziale interessamento dell'allieva, mostratasi consenziente e disposta a ricambiare i sentimenti del docente. In sostanza, ritenevano impossibile ridimensionare la gravità della vicenda, poiché il disvalore della condotta del docente emergeva in tutta la sua gravità, soprattutto in considerazione, da un lato, del ruolo di responsabilità e della funzione educativa assegnatigli e, dall'altro, del fatto che gli studenti attraversavano un'età obiettivamente critica sotto il profilo dello sviluppo della personalità e delle modalità di interazione sociale. I Giudici ribadivano, inoltre, che, nel contesto scolastico, il docente “era tenuto a relazionarsi agli studenti con la maturità di un soggetto adulto ed a svolgere un fondamentale ruolo educativo”, e l’aver instaurato una relazione sentimentale e sessuale con un'alunna – per di più minorenne – aveva comportato il venir meno in modo radicale ai doveri ed alle responsabilità insiti nel ruolo di docente e aveva palesato la totale incapacità del docente di discernere la sfera professionale da quella personale e la sfera etica da quella sentimentale. Tutto ciò aveva pregiudicato in modo irreparabile il rapporto fiduciario con l'amministrazione scolastica. Impossibile inoltre, sostenere che i fatti fossero estranei alla sfera scolastica perché avvenuti al di fuori degli edifici dell'istituto e privi di ricadute in ambito scolastico atteso che non avevano pregiudicato il rendimento dell'alunna ed i suoi rapporti con i compagni di classe e gli altri docenti. Anche per i Giudici d'Appello, come già per i Giudici di prime cure, la condotta tenuta dall’insegnante era oggettivamente inscindibile dal ruolo di docente e dai compiti formativi ed educativi a lui affidati e, pertanto, la sanzione espulsiva adottata dall’amministrazione scolastica doveva considerarsi congrua e proporzionata alla gravità dei fatti contestati.

Inutile il ricorso in Cassazione dove la Corte riteneva impossibile collocare ancora il docente in un contesto scolastico, seppur con mansioni slegate dall'insegnamento e dal contatto quotidiano con gli allievi. Ciò perché era evidente la gravità della condotta accertata e, quindi, risultava assolutamente adeguata la sanzione espulsiva adottata dall'amministrazione scolastica così come era da escludere categoricamente l'ipotesi di una sanzione conservativa, che, precisavano i Giudici, avrebbe richiesto un semplice giudizio di incompatibilità tra il fatto contestato al professore e la funzione di docente.
 

IL DECESSO DEL CONTRIBUENTE ACCERTATO PRECLUDE L’APPLICAZIONE DELLE SANZIONI AGLI EREDI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 31013 del 20/10/2022

La Corte di Cassazione ritorna sulla questione della trasmissibilità dei debiti verso l’Erario agli eredi. Lo fa affrontando il caso di un accertamento fiscale (relativo all’annualità 1975) emesso nei confronti di un contribuente deceduto prima che i ricorsi avverso il provvedimento accertativo di cui era stato destinatario arrivasse alla sua conclusione.

Nelle more del giudizio, alterne vicende avevano interessato il patrimonio del de cuius, accettato con riserva di inventario da tutti gli eredi, e che si era concluso senza alcun residuo per le passività non ancora soddisfatte.

Ma la sentenza d’appello aveva confermato la piena validità dell’accertamento originario, ed aveva altresì confermato anche la debenza delle sanzioni in capo agli eredi, applicando la norma all’epoca vigente.

Ricorrono quindi gli eredi superstiti (in litisconsorzio necessario, e considerato il sopravvenuto decesso di uno di essi), opponendo il cosiddetto principio di personalità (contemplato dagli artt. 2 e 8 del D.lgs. n. 472/1997).

La Corte di Cassazione risolve la questione in maniera favorevole per gli eredi, ritenendo pienamente applicabile il principio richiamato di responsabilità personale, per il quale la regola della intrasmissibilità delle sanzioni amministrative agli eredi – affermata dall’art. 8 del d.lgs. n. 472/1997 – è applicabile, a norma del successivo art. 25, a tutti i giudizi in corso alla data di entrata in vigore della norma (1° aprile 1998) e alle violazioni commesse anteriormente alla vigenza del sistema sanzionatorio delineato dal medesimo decreto.

La Corte ha infatti ripetutamente affermato che “essa afferma un principio di ordine generale, che opera indipendentemente dal fatto che la sanzione sia stata già irrogata con provvedimento definitivo, avendo il legislatore stabilito in modo chiaro che il credito erariale nascente da una violazione delle leggi tributarie riferibile a persona fisica si estingue con la morte dell'autore della violazione, alla quale consegue il venir meno dell'interesse dell’Amministrazione finanziaria a resistere all’eventuale ricorso proposto sul punto dal contribuente (cfr. Cass. n. 27188/2022; Cass. n. 25529/2021; in precedenza, Cass. n. 18862/2005; Cass. n. 8097/2003; Cass. n. 2080/2000).”.

Nel ricorso le ricorrenti avevano anche chiesto l’annullamento dell’accertamento giacché carente di interesse per l’Amministrazione Finanziaria, avendo comunicato l’inesistenza di ulteriori attività conseguenti alla chiusura dell’inventario del relictum. La Corte di Cassazione non aderisce a tale considerazione, dal momento che l’accettazione con beneficio d’inventario ha il solo effetto di tenere distinto il patrimonio dell’erede da quello del de cuius, e non ha invece rilevanza nell’accertamento delle pretese dell’Erario.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO


(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!
 

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 28 Novembre 2022