17 Dicembre 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI NOVEMBRE 2018

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Novembre 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Novembre 2018 è pari a 2,191024 e l’indice Istat è 102,20.

LA LEGITTIMA FRUIZIONE DEI PERMESSI PER ASSISTENZA AL FAMILIARE DISABILE DEVE ESSERE VALUTATA ATTRIBUENDO UN SIGNIFICATO AMPIO AL CONCETTO DI “ASSISTENZA”.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 30676 DEL 27 NOVEMBRE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 30676 del 27 novembre 2018, ha affermato che per quel che concerne la disciplina dei permessi previsti dalla normativa in favore dei lavoratori che prestano assistenza al familiare disabile, la valutazione inerente la legittima fruizione degli stessi deve essere effettuata attribuendo un significato più ampio al concetto di “assistenza” rispetto alla semplice accudienza della persona svantaggiata.

Nel caso in disamina una dipendente veniva licenziata, all’esito del procedimento disciplinare sancito dall’art. 7 della L. n° 300/70, per aver impropriamente utilizzato i permessi ex lege n° 104/92 e per essersi allontanata di casa nel giorno in cui era stata sottoposta ad un intervento chirurgico fruendo del congedo per malattia.

La prestatrice adiva la Magistratura sostenendo la correttezza del proprio comportamento sia in merito alla fruizione dei permessi per assistere la madre disabile sia per la sua assenza per malattia in quanto la “semplice” uscita dalla propria abitazione non aveva alterato il normale decorso della guarigione.

Soccombente in I grado, la dipendente trovava pieno soddisfo alle proprie pretese in Appello.

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente quanto statuito dalla Corte territoriale, hanno colto l’occasione per rimarcare che il concetto di assistenza al familiare disabile deve essere inteso in senso ampio non potendosi ricondurre semplicemente alla mera attività di accudimento.

Pertanto, atteso che nel caso de quo la prestatrice aveva comunque dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza nelle giornate di assenza dal lavoro per la fruizione di permessi previsti dalla L. n° 104/92, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato l’illegittimità dell’atto di recesso datoriale.

 

I RIPOSI COMPENSATIVI CONNESSI ALL'IMPEGNO PER IL SERVIZIO ELETTORALE SONO ESCLUSI PER I LAVORTORI IN CIGS.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 29774 DEL 19 NOVEMBRE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 29774 del 19 novembre 2018, ha statuito che la piena funzionalità del rapporto di lavoro costituisce presupposto indispensabile per l'applicazione della normativa in tema di fruizione di riposi compensativi per i dipendenti che adempiono funzioni in occasione di consultazioni elettorali.

Nel caso de quo, la Corte di Appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda di un lavoratore tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per motivi disciplinari a causa dell'assenza ingiustificata nel posto di lavoro per tre giorni. Nello specifico la Corte riteneva provati gli addebiti contestati relativi ai tre giorni di assenza che, ex adverso, il lavoratore assumeva fruiti a titolo di riposo compensativo connesso ad espletamento di funzioni elettorali sebbene, per lo stesso periodo risultasse posto in cigs.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore insoddisfatto.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso premettendo che l'art. 119 del T.U. delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei Deputati, dispone: "in occasione di tutte le consultazioni elettorali…….. coloro che adempiono funzioni presso gli uffici elettorali…… hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alla durata delle relative operazioni. I giorni di assenza dal lavoro …. sono considerati a tutti gli effetti, giorni di attività lavorativa". L'art. 1 della legge n°69/92, di interpretazione autentica del citato art. 119, ha chiarito che i lavoratori impegnati in funzioni elettorali hanno diritto al pagamento di specifiche quote retributive, in aggiunta alla ordinaria retribuzione mensile, ovvero a riposi compensativi, per i giorni festivi o non lavorati eventualmente compresi nel periodo di svolgimenti delle operazioni elettorali.

Dal tenore letterale delle norme sopra richiamate, hanno continuato gli Ermellini, si evince che la finalità del legislatore sia tesa ad evitare che le funzioni cui è chiamato il lavoratore, non si traducano in una penalizzazione sul piano del rapporto di lavoro; si evince, pertanto, che la piena funzionalità del rapporto di lavoro costituisce presupposto indispensabile per la relativa applicazione.

Quanto sopra, hanno concluso gli Ermellini, esclude che la disciplina possa trovare applicazione, anche in via estensiva, nell'ipotesi in cui il lavoratore impegnato nello svolgimento di funzioni elettorali, si trovi in cassa integrazione e cioè in una situazione nella quale le reciproche obbligazioni principali a carico delle parti del rapporto di lavoro, costituite dalla prestazione dell'attività di lavoro e dalla corresponsione della retribuzione, sono sospese.


LA CARTELLA ESATTORIALE, NON PRECEDUTA DA AVVISO DI ACCERTAMENTO DEVE ESSERE ADEGUATAMENTE MOTIVATA NELLA PRETESA ERARIALE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 31270 DEL 4 DICEMBRE 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 31270 del 4 dicembre 2018, ha statuito che la cartella esattoriale, non preceduta da avviso di accertamento, deve essere adeguatamente motivata nella pretesa erariale, in modo tale da permettere al contribuente di verificarne la fondatezza e non ledere il diritto di difesa.

IL FATTO

Ad una società veniva notificata una cartella di pagamento avente ad oggetto l’iscrizione a ruolo di somme a titolo di “interessi di sospensione”, a seguito di revoca di due provvedimenti di sospensione ruolo.

La società impugnava prontamente l’atto dinanzi alla giustizia tributaria sostenendo che lo stesso non fosse sufficientemente motivato, non essendo indicati gli atti presupposti che erano stati temporaneamente sospesi, i tipi di tributo, le relative annualità di riferimento ed il criterio per la quantificazione degli interessi richiesti.

La C.T.P. respingeva il ricorso, mentre la C.T.R. accoglieva l’appello della società rilevando che i criteri di ordine generale indicati dalle leggi n. 241/90 e n. 212/2000 dovevano ritenersi applicabili anche alla cartella di pagamento, nella quale dovevano essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano determinato l’iscrizione a ruolo, mentre nel caso di specie l’atto conteneva solo l’indicazione degli estremi di provvedimenti di sospensione ad esso non allegati.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio con la sentenza de qua hanno rigettato in toto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria ricordando in premessa come da orientamento di legittimità, consolidato in materia,  la cartella esattoriale, ove non preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 ( Cass. n. 9799/2017 e n. 26330/2009).

Nel caso in specie, hanno specificato gli Ermellini, la cartella recava la sola indicazione dei provvedimenti di sospensione adottati, dei quali uno non era stato neppure comunicato alla contribuente, e dell’ammontare degli interessi, senza specificazione del tasso applicato e delle somme sui quali essi erano stati calcolati, suddivise tra imposte dirette, imposte indirette, addizionali regionali ed Irap. Risultava pertanto corretta l’affermazione del Giudice a quo secondo cui la genericità di tali indicazioni non consentiva alla società di verificare la fondatezza, sia nell’an che nel quantum, della pretesa impositiva dedotta nella cartella e dunque di esercitare pienamente, rispetto ad essa, il proprio diritto di difesa.

In nuce, trattandosi di vizio originario dell’atto, di per se stesso idoneo a determinarne l’invalidità, a nulla rilevava il fatto che l’Ufficio successivamente abbia esplicitato in sede di controdeduzioni quali fossero i tributi cui erano riferiti i provvedimenti di sospensione, per cui il ricorso è stato rigettato.

 

LEGITTIMA LA CESSIONE DA PARTE DI UNA SOCIETÀ PARTECIPATA DI AZIONI ALLA CONTROLLANTE A UN PREZZO INFERIORE RISPETTO A QUELLO DI MERCATO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 30335 DEL 23 NOVEMBRE 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 30335 del 23 novembre 2018, ha statuito che non è abuso del diritto la vendita sottocosto infragruppo alla società controllante di pacchetti azionari per avere liquidità.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, hanno accolto le doglianze di una società partecipata che, per ottenere rapidamente liquidità, aveva ceduto azioni alla propria controllante a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, confermando il proprio orientamento giurisprudenziale in materia, hanno ribadito che l'elusione d’imposta e la disciplina di cui all'art. 37 bis del DPR n.600/73 si modulano in maniera differente in presenza di un gruppo di imprese.

Infatti, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
Per la S.C., affinché possa configurarsi l'elusione d’imposta occorrono tre distinti elementi:

  • vantaggio fiscale indebito;
  • aggiramento di obblighi e divieti, sicché il contribuente costruisce un espediente per realizzare un risultato diverso da quello che viene ordinariamente vietato dal sistema;
  • assenza di valide ragioni economiche.

Pertanto, il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diversa dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale.

In nuce, il carattere abusivo va sempre escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda.

 

DURANTE IL PATTO DI PROVA LO SVOLGIMENTO DI MANSIONI DIVERSE NON DETERMINA LA REINTEGRA NEL POSTO DI LAVORO 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31159 DEL 3 DICEMBRE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 31159 del 3 dicembre 2018, ha statuito che la reintegra nel posto di lavoro è prevista solo nei casi di nullità del patto di prova.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Cagliari, a riforma del Tribunale di Sassari, riteneva illegittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore e condannava la società alla reintegra nel posto di lavoro, oltre al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 18 della Legge 300/1970.  La decisione si basava sul fatto che il lavoratore era stato adibito a mansioni diverse rispetto a quelli indicate nel patto di prova e che tale violazione, oltre alla conversione del rapporto del lavoro, rendeva il licenziamento illegittimo.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini hanno riformato la sentenza della Corte d’Appello esprimendo un interessante orientamento, secondo cui data la libera recedibilità durante il patto di prova ad esso non può essere applicato il regime reintegratorio per un licenziamento illegittimo, ma la sola ipotesi più circoscritta del risarcimento del danno per il periodo di prova rimasto incompiuto.

Dunque, per i supremi Giudici il licenziamento che discende da un patto di prova illegittimamente costituito (nullità genetica), ossia per assenza di una comunicazione scritta anteriormente all’inizio della prestazione, per mancata indicazione delle mansioni da svolgere e l’ipotesi di patto apposto ad una successione di contratti, rende il licenziamento illegittimo perché carente di una valida giustificazione.  Al contrario, un patto validamente costituito ma compiuto in difformità, come nel caso di assegnazione a mansioni diverse, comporta il solo diritto del lavoratore all’indennizzo per il pregiudizio subito.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

Carissimi Colleghi, con questo numero si conclude il nostro impegno istituzionale per l’anno 2018 di Formare…informando. Vi auguriamo buone festività ed un proficuo 2019.

Arrivederci con il n. 1/2019 della rubrica “Formare…Informando” per il giorno 07.01.2019

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 17 Dicembre 2018