16 Dicembre 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DI UN LAVORATORE DELEGATO SINDACALE SE LE CRITICHE DIRETTE ALLA PROPRIA AZIENDA RISPETTANO I REQUISITI DELLA CONTINENZA FORMALE E SOSTANZIALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31395 DEL 2 DICEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n°31395 del 2 dicembre 2019, ha confermato, in tema di licenziamento di un lavoratore rivestito della carica di delegato sindacale, la illegittimità del provvedimento espulsivo per giusta causa, se le critiche mosse, ancorché incisive, rispettano i canoni della continenza formale e sostanziale.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Genova, in riforma della decisione del Tribunale di Imperia, nel dichiarare la nullità del licenziamento intimato ad un dipendente adibito a mansioni di operatore ecologico e rivestito della carica di delegato sindacale, condannava altresì, la società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento del conseguente risarcimento del danno. La Corte territoriale rinveniva la natura ritorsiva del licenziamento intimato al dipendente che aveva rilasciato una dichiarazione ad un quotidiano relativa allo spostamento di un collega di lavoro tra due Comuni, rilevando il rispetto della c.d. continenza sostanziale della manifestazione di critica (in ordine ai fatti dichiarati: spostamento territoriale del collega, difficoltà della raccolta di rifiuti "porta a porta", condizioni dell'appalto pubblico stipulato con il Comune circa il numero minimo di operatori ecologici da adibire) nonché dell'ulteriore requisito della continenza formale (non essendo stati utilizzati toni dispregiativi, volgari, denigratori, polemici).

Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso, eccependo un'inaccettabile dilatazione del diritto di critica, sotto il profilo del requisito della continenza formale, non avendo attentamente valutato l'uso del mezzo della stampa, intrinsecamente idoneo a ledere l'immagine del datore di lavoro.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso rilevando, preliminarmente, che tutte le circostanze riferite dal lavoratore a mezzo stampa erano corrispondenti al vero (id: continenza sostanziale), come accertate dalla Corte distrettuale che aveva precisato altresì, che dette dichiarazioni non avevano effettivamente cagionato un danno economico alla società e che nessuna reazione era stata adottata dal Comune in questione.

La Corte distrettuale, hanno continuato gli Ermellini, esaminando le concrete modalità di espressione del pensiero, aveva ritenuto rispettato il limite anche della continenza formale, non essendo stati adottati toni dispregiativi, volgari, denigratori, polemici.

Quanto all'esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, secondo consolidata giurisprudenza, può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia, che è alla base del rapporto di lavoro, e costituire giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell'ordinaria convivenza civile.

Per completezza, hanno concluso gli Ermellini, nell'ipotesi di critica espressa da lavoratore con funzioni di rappresentanza sindacale all'interno dell'azienda si è sottolineato come il diritto di critica goda di un'ulteriore copertura costituzionale costituita dall'art. 39 Cost., nel momento in cui l'espressione di pensiero è finalizzata al perseguimento di un interesse collettivo, sicché, si è affermato che il lavoratore sindacalista è titolare di due distinti rapporti con l'imprenditore: come lavoratore, in posizione subordinata con il datore di lavoro, e come sindacalista, invece in una posizione parificata a quella della controparte in virtù delle richiamate garanzie costituzionali.

 

RITORSIVO IL LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE CHE RIFIUTA DI FIRMARE UN ACCORDO PEGGIORATIVO DELLA PROPRIA RETRIBUZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31527 DEL 3 DICEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 31527 del 3 dicembre 2019, ha affermato la natura ritorsiva del licenziamento intimato da un datore di lavoro ad una lavoratrice che si era rifiutata di sottoscrivere un accordo a mezzo del quale avrebbe subito una decurtazione dello stipendio in corso.

In effetti, il caso esaminato riguarda una lavoratrice che si è rifiutata di firmare l'accordo con il quale le veniva ridotto lo stipendio e, come conseguenza, aveva subito il provvedimento del licenziamento da parte della società giustificato, apparentemente, dalla soppressione del posto di lavoro ai fini di una più efficiente ed economica gestione dell’ufficio del personale cui la risorsa era addetta.

Anche la Corte di Appello aveva notato che il datore di lavoro non era riuscito a fornire una prova che legasse la ristrutturazione dovuta alla crisi economica ed il licenziamento della lavoratrice, lasciata a casa il giorno successivo in cui si era rifiutata di sottoscrivere l'accordo con il quale le veniva imposto di ridursi lo stipendio.

La Cassazione, pertanto, ha confermato la nullità del licenziamento, ritenendolo ritorsivo in quanto scaturito da un’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, disponendo la reintegra della dipendente e confermando la sentenza di secondo grado.

Data la mancanza del nesso causale tra la motivazione della modifica organizzativa disposta dal datore e la soppressione della particolare posizione lavorativa della dipendente, era così evidente l'intento ritorsivo da parte della società.

 

E’ ISCRIVIBILE ALLA GESTIONE COMMERCIANTE IL COADIUVANTE DEL SOCIO NON ISCRIVIBILE ALLA PREDETTA GESTIONE PER MANCANZA DEI REQUISITI SOGGETTIVI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31286 DEL 29 NOVEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 31286 del 29 novembre 2019, ha statuito che è possibile iscrivere alla gestione commercianti il coadiuvante familiare, benché il familiare (socio e amministratore della Srl) non abbia i requisiti soggettivi di iscrivibilità.

La Corte d'Appello di Firenze, a conferma della sentenza del Tribunale di primo grado, respingeva la richiesta dell’INPS di pagamento di varie cartelle di pagamento generatesi sulla pretesa di iscrizione alla gestione commercianti della coadiuvante familiare (madre) del titolare (figlio), benché questi era da ritenere soggetto non attivo.

Più in dettaglio, il caso in commento riguarda un socio e amministratore di una Srl, che non svolgeva per la stessa società alcuna attività abituale e prevalente. La madre di tale soggetto era a sua volta amministratrice della stessa Srl e comunque iscritta alla gestione separata, occupandosi della contabilità e dei rapporti con altre imprese della Srl.

Orbene, secondo gli Ermellini, nonostante tale situazione non consentirebbe l’iscrizione alla gestione commercianti della coadiutrice familiare del figlio, perché quest’ultimo non iscrivibile come titolare dell’impresa non prestando attività personale, continuativa e prevalente, la situazione andava risolta con l’applicazione in via analogica dell’art. 1 della legge 1397/1960 (assicurazione obbligatoria per gli esercenti attività commerciali), trattandosi della c.d. “lacuna in senso proprio”, così come definita dalla Cassazione SS.UU. n° 10680/1994.

Pertanto, sulla base di tale interpretazione analogica, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato il seguente principio di diritto: “il socio di una società a responsabilità limitata, anche se non attivo dal punto di vista della gestione personale dell'attività d'impresa commerciale, è tenuto a versare i contributi dovuti presso la gestione previdenziale commercianti, di cui alla L. n. 613 del 1996, per il familiare (in questo caso la madre) che partecipi personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza e sia, nel contempo, in possesso delle licenze ed autorizzazioni richieste dalla legge o dai regolamenti per l'espletamento della stessa attività lavorativa”.

 

SE IL DATORE NON HA ADOTTATO TUTTE LE MISURE NECESSARIE PER SCONGIURARE IL SINISTRO, AL LAVORATORE INFORTUNATO SPETTA IL PIENO RISARCIMENTO NONOSTANTE LA SUA CONDOTTA INCAUTA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 30679 DEL 25 NOVEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 30679 del 25 novembre 2019, ha statuito che il datore di lavoro è sempre tenuto a risarcire pienamente il lavoratore a seguito di un infortunio, finanche quando lo stesso si sia comportato incautamente.

Il caso in esame ha riguardato un operaio infortunatosi a seguito del crollo di un capannone metallico di proprietà dell'ente per il quale stava lavorando.

La Corte d'Appello, ritenendo che fosse stato lo stesso operaio a concorrere in maniera preponderante alla determinazione dell'evento, data la sua decisione di svolgere il lavoro nonostante le indicazioni contrarie e senza essere sufficientemente informato sulle caratteristiche dell'opera, aveva fissato il risarcimento al lavoratore solamente nella misura del 35% del totale.

A seguito di ricorso presentato dal dipendente, la Corte di Cassazione ha dichiarato che il datore di lavoro è tenuto a proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante l'imprudenza e la negligenza di quest'ultimo”.

Pertanto, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato il seguente principio di diritto in base la quale “il dovere di protezione si configura perché il datore ha poteri unilaterali di organizzazione e direzione della produzione”, con l’effetto che l'inadempimento all'obbligo di protezione esclude, pertanto, il concorso di colpa e fa ricadere la responsabilità dell'evento dannoso esclusivamente in capo al datore di lavoro.

 

INFORTUNIO SUL LAVORO E RESPONSABILITA’ SOLIDALE: IN PRESENZA DI UN CONTRATTO (DI FATTO) D’APPALTO, IL COMMITTENTE E’ RESPONSABILE IN VIA SOLIDALE NEL CASO DI INFORTUNIO DEL LAVORATORE DELL’APPALTATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26614 DEL 18 OTTOBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 26614 del 18 ottobre 2019, ha (ri)statuito, in tema di infortunio sul lavoro, la responsabilità solidale fra committente ed appaltatore qualora vi sia l’affidamento di un lavoro in appalto all’interno dell’azienda anche in mancanza di una qualsiasi evidenza contrattuale.

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha riconosciuto la responsabilità delle due società che, coordinandosi tra loro, si occupavano una della selezione e assegnazione del personale alle diverse destinazioni, mentre l’altra fruiva delle prestazioni degli animatori per i propri scopi imprenditoriali. Pertanto, secondo i Giudici distrettuali, la tutela antinfortunistica ricade su tutti i collaboratori, anche in caso di mancato perfezionamento del contratto, purché sia provata la consapevolezza dell’imprenditore circa l’attività svolta dal prestatore d’opera, poi infortunatosi.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della società datoriale condividendo l'operato dei Giudici di merito. La Corte territoriale, hanno argomentato gli Ermellini, ha accertato in concreto gli elementi indiziari ritenuti convergenti ad esprimere l’effettiva responsabilità solidale fra appaltatore e committente, il quale è obbligato a fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio e a predisporre quanto necessario a garantire la loro sicurezza relativamente agli impianti ed a coordinarsi con l’appaltatore nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi.

Orbene, a parere degli Ermellini, il committente è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie al fine di tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori anche se dipendenti di un’impresa appaltatrice.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Carissimi Colleghi, con questo numero si conclude il nostro impegno istituzionale per l’anno 2019 di Formare…informando. Vi auguriamo buone festività ed un proficuo 2020.

   Arrivederci con il n. 1/2020 della rubrica “Formare…Informando” per il giorno 13.01.2020

 

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Natalia Andreozzi e Francesco Pierro.

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Modificato: 16 Dicembre 2019